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UN BILANCIO SULLA DIDATTICA A DISTANZA


L’emergenza coronavirus ha costretto la scuola italiana a fare i conti con una metodologia didattica mai sperimentata prima, almeno non in modo esclusivo. La didattica digitale, infatti, è nata per accompagnare quella tradizionale non per sostituirla. Di punto in bianco è venuta a mancare la presenza a scuola, la condivisione degli spazi, a volte troppo stretti e solo ora tutti iniziano a rendersene conto (gli addetti ai lavori lo sanno da molto tempo), il bello e il brutto della vita scolastica fatta di “gioie e dolori”, di inevitabili attriti ma anche di empatia. La didattica non è una scienza esatta, ognuno la interpreta come vuole o anche come può. “Ho fatto il possibile” si dice spesso, ma è bene ricordare che i margini di miglioramento ci sono sempre.

La “buona volontà” è uno dei mezzi attraverso il quale spesso si veicolano i saperi. Tanta buona volontà, da parte dei docenti, ha permesso di praticare la DaD, anche senza una formazione specifica. Ma anche gli studenti erano impreparati e sono stati costretti a metterci tutta la loro “buona volontà”, anche se non tutti. E pure fra i docenti ci sarà stato qualcuno meno impegnato, tanto lo sapevamo fin dall’inizio, o quasi, che l’anno si sarebbe concluso con “tutti promossi”, a risarcimento parziale di quell’incidente di percorso che si è rivelata essere l’emergenza Covid19. Per qualcuno, anzi tanti, molto più di un incidente ma in questa mia riflessione vorrei affidarmi a quel #tuttoandràbene che è stato il motto della reclusione forzata imposta dal diffondersi del contagio, oltre a ogni limite immaginabile.

Per una volta, dopo la rimozione della pedana avvenuta nella maggior parte delle aule scolastiche, docenti e discenti si sono ritrovati sullo stesso piano: davanti al pc o tablet, a volte davanti allo smartphone che è l’unico dispositivo che i ragazzi, e molte famiglie, ritengono davvero utile, ognuno a casa propria. Camerette, studi con librerie traboccanti di libri, forse mai letti, sale da pranzo, cucine, armadi (sì, quelli che si trasformano in postazioni d’ufficio senza occupare tanto spazio), sgabuzzini, sottotetti con travi a vista, giardini o terrazze (con l’aumento della temperatura) hanno fatto da sfondo a tante videolezioni che, in qualche modo, hanno tentato di salvare il salvabile. Un anno scolastico disgraziato che, solo davanti a concerti improvvisati dai terrazzini e inno nazionale cantato a squarciagola, ha avuto la parvenza di qualcosa di più di un semplice “ci rivediamo a settembre”. Forse.

Video è la parola che ha caratterizzato le nostre vite per il lungo periodo di reclusione forzata (scusate ma lockdown a me non piace). Videoconferenze, videochiamate con amici e parenti per non perdersi di vista, video prodotti dagli insegnanti per spiegare le regole (secondo la metodologia della flipped classroom), video prodotti dagli studenti per dimostrare le competenze digitali che andavano valutate.

Video è il verbo latino che significa “vedo”. Eppure io ho visto davvero poco. Le telecamere erano spesso spente per non rallentare la connessione, così non sapevo mai cosa succedesse dietro le quinte. Quando, alla fine della lezione, notavo qualcuno stazionare sulla piattaforma Meet, comprendevo che dietro a una telecamera spenta si possono fare un sacco di cose, perdendo la cognizione del tempo.

Audio è un altro verbo latino che significa “ascolto”. Eppure io ho ascoltato ben poco. I microfoni spesso spenti, per non far sentire giustamente gli strilli dei fratellini o le urla di madri esasperate da una permanenza entro le mura domestiche che non è un’abitudine per chi non fa la casalinga, ma spenti anche per poter fare una telefonata in tranquillità o semplicemente per non rispondere a una domanda dei prof. Non potete immaginare la tempestività con cui i microfoni si rompevano, eppure erano perfettamente funzionanti fino a un attimo prima. “Non so perché” era la risposta di rito, rigorosamente scritta in chat.

L’audio degli insegnanti è, al contrario, sempre rimasto acceso. A beneficio dei discenti, certo, ma anche esposto a orecchie indiscrete. Quale genitore ha mai chiesto di entrare in aula durante le lezioni? Nella cameretta del figlio, però, ci è entrato senza bussare e senza chiedere il permesso. Anche se nessuno ha nulla da nascondere – insomma, se in classe c’è qualcuno che legge il giornale o smanetta con il cellulare, con le poche ore a disposizione per la DaD non credo che si sia divertito a perdere tempo, piuttosto i refrattari si saranno semplicemente rifiutati di fare i videocollegamenti, visto che non hanno costituito un’esclusiva tra gli strumenti messi in atto – può essere poco gradita una supervisione non autorizzata da parte delle famiglie.

Cos’è davvero successo durante le videolezioni al di là del monitor? Nella maggior parte dei casi non lo sappiamo. Ma nel momento in cui siamo stati obbligati a valutare questo percorso i dubbi sono stati tanti. Come valutare le competenze chiave europee senza poter distinguere tra chi non ha partecipato per problemi tecnici (soprattutto la connessione che in certe zone è scadente oppure a causa dell’utilizzo in contemporanea di più dispositivi, da parte di altri componenti della famiglia per lavoro o studio) e chi invece non ne ha proprio avuto voglia? Come giustificare il ritardo nella consegna dei compiti se non sappiamo distinguere tra varie scuse accampate e poco impegno? Come obbligare chi non vuole partecipare a una lezione dialogata per timidezza o anche perché non vuole farsi sentire dai familiari? Come comprendere se i risultati sono stati scadenti per mancanza di impegno oppure per la mancata comprensione di certi argomenti? E’ già molto difficile che qualche allievo chieda apertamente spiegazioni in classe, figuriamoci nel contesto della videolezione.

Insomma, la valutazione rappresenta uno dei nodi, se non il più importante, da sciogliere prima di poter affermare che la Didattica a Distanza potrebbe diventare prassi nell’educazione, seppur accompagnata dalla didattica in presenza.

Finora ho riflettuto immaginando una completa disponibilità da parte degli studenti a seguire la DaD, avendone i mezzi e mettendoci o meno tutto l’impegno possibile. Che dire degli altri? Di chi non ha potuto rimanere in contatto con la “scuola a distanza”, nonostante i milioni di € stanziati dal MI, sempre troppo tardi comunque. Si parla di 1.600.000 fra bambini e ragazzi per i quali la DaD ha probabilmente coinciso con un anticipo delle vacanze estive. Con tanto di promozione assicurata.

Ci sono in Italia delle realtà scolastiche difficili in cui, nonostante l’impegno di dirigenti e docenti, già in tempi normali è complicato stabilire relazioni soddisfacenti con le famiglie. La mancanza di motivazione è a monte, la latitanza è la regola e con le lezioni a distanza è venuto a mancare anche quel contatto tra scuola e famiglia, fatto di incontri in presenza, che non sempre ha successo. Ma almeno si tenta.

La Dad non ha rimosso gli ostacoli, ne ha creati altri. Tecnologici ma non solo.

La maggior parte degli allievi che hanno una famiglia alle spalle e che trovano dentro di sé una forte motivazione per non rimanere indietro, si è adeguata a questa nuova modalità senza traumi, anzi, considerando soprattutto il lato positivo che deriva dall’acquisizione di una maggiore autonomia nello studio e senso di responsabilità. Tre mesi li hanno fatti crescere più che non un intero anno. Ricordate le competenze chiave europee? “Imparare ad imparare” è senz’altro la competenza in cui un buon numero di studenti si è cimentata ottenendo anche un discreto successo. Ma chi non ha voglia di imparare, neppure se accompagnato e preso per mano, quanti stimoli può avere per farlo da solo?

Nonostante il “tutti promossi”, con la dispersione scolastica si dovrà fare i conti. E non mi riferisco solo a chi dalla Dad non è nemmeno stato raggiunto. Parlo anche di quegli allievi che, pur in presenza di lacune grandi come baratri, sono stati promossi, non importa se con il 6 o il 5 o il 4, e dovranno fare i conti con una preparazione che non permetterà loro di proseguire gli studi nella classe successiva, dovendo recuperare le materie insufficienti, nere o rosse che siano, e nello stesso tempo stare al passo con i nuovi programmi. Immagino che da parte di questi allievi non ci sia la consapevolezza delle difficoltà cui andranno incontro. Per loro la promozione è ciò che conta, poi si vedrà.

Concludo questa lunga riflessione (nonostante abbia cercato di essere sintetica…) facendo una considerazione: la DaD ha davvero per certi versi creato le condizioni ideali per praticare la flipped classroom, la “scuola capovolta” che costringe gli studenti a gestire la propria autonomia nell’apprendimento. Però dalle faccette sciupate di molti allievi e allieve che ho potuto osservare per i saluti finali, ho avuto l’impressione che più che flipped le classi siano state shakerate. Insomma, da un giorno all’altro li abbiamo messi in un mixer, li abbiamo scossi un po’, a volte con successo altre volte apparentemente senza esito alcuno, e forse il cocktail che ne è uscito deve raggiungere la consistenza giusta. Forse abbiamo sbagliato ricetta.

Una cosa è certa: solo il rientro in aula permetterà a tutti i nodi di venire al pettine. Poi cercheremo, se potremo e come potremo, di correre ai ripari.

[immagine da questo sito]

COME REAGISCONO I GENITORI DI FRONTE ALLA BOCCIATURA DEL FIGLIO?


Una domanda banale, se volete. Basterebbe una risposta: “Male” e io avrei finito di scrivere il post.

Ma la questione è molto più complessa perché le reazioni sono varie e cambiano a seconda del sentimento che fa da propulsore: rabbia, dolore, frustrazione, sconforto, desolazione, vergogna, sensazione di impotenza o di fallimento, incapacità di accettare un torto o, per meglio dire, quello che si ritiene tale. Potrei continuare ma tutti i sentimenti che animano i genitori, almeno nell’immediatezza della notizia della bocciatura di un figlio, portano a uno stato d’animo che si può sintetizzare così: impossibilità di considerare ottimisticamente ciò che accadrà in futuro. Il “prima”, con tutto il bagaglio di responsabilità anche personali, scompare di botto per lasciare il campo libero a un “dopo” che non sembra presagire nulla di buono. Come quando si percepisce una catastrofe imminente.

Non c’è nulla di catastrofico nel perdere un anno di scuola. Lo so, è difficile crederlo, ma è così. So già che qualcuno obietterà: “Brava, tu stai dall’altra parte…”. Certo, ma sto dall’altra parte da talmente tanti anni che un’idea su questo spinoso argomento me la sono fatta e cerco solo di trasmettere un messaggio positivo a quei genitori che ora soffrono, ne sono consapevole, ma che sbagliano quando pensano che un anno di scuola buttato al vento possa essere motivo di una frustrazione così grande. E sbagliano, certi genitori, a lasciare quasi del tutto esclusi i figli che si trovano ad essere “vittime di questa sciagura”, che dovrebbero stare al centro della loro attenzione e, invece, spesso vengono messi in un angolino in attesa che mamma e papà “elaborino il lutto”. Come se il dolore fosse tutto loro e dovesse trovare sfogo prendendosela, ad esempio, con la scuola, i docenti, il sistema che non funziona.

Sono finiti i tempi in cui l’ex ministro Mariastella Gelmini, con estrema soddisfazione, inneggiava alla scuola che boccia:

«Siamo tornati ad una scuola che non promuove tutti. E che distingue tra persone che studiano e persone che non studiano. Tra persone che si comportano bene e persone che non si comportano bene. Una scuola che promuove tutti non è una scuola che fa il bene del ragazzo.» (LINK)

Correva l’anno 2009 e i dati degli scrutini finali avevano registrato un aumento consistente delle non ammissioni all’Esame di Stato di II grado, delle bocciature in generale e anche delle bocciature dopo l’esame (3000 studenti in più rispetto all’anno precedente).

Confesso che allora mi trovavo completamente d’accordo con la Gelmini. Tanto da non tollerare la lezioncina che, da tutt’altro genere di pulpito, arrivava dal professor Umberto Veronesi (che si riferiva, però, solo alla bocciatura degli studenti prossimi alla maturità):

«Io sono convinto che il fallimento, o la «sconfitta finale», se vogliamo, non sia dei ragazzi bocciati, ma della scuola, intesa come sistema formativo ed educativo nel suo insieme.» (LINK)

Quella di Veronesi fu una conclusione molto riduttiva, tipica di chi non passa nove mesi in un’aula scolastica.

Più condivisibili mi apparvero allora le parole di Marco Rossi Doria che aveva preso parte alla diatriba, pur concentrandosi sull’aspetto educativo in relazione ai comportamenti errati degli studenti, e che con le aule scolastiche ha una certa dimestichezza:

«La scuola riprenda pure a bocciare ma fornisca anche maggiori possibilità a ciascuno. E la politica la smetta di sottovalutare la fatica e la complessità del compito che la scuola si assume ogni giorno e di lesinare denaro. Perché a imparare si impara ovunque. Ma non c’è un altro posto dove si può dar senso a quel che si apprende, dove le generazioni convivono fuori della famiglia e dove genitori e insegnanti possono mettersi intorno a un tavolo e ricostruire, insieme, le funzioni educative.» (LINK)

Perché tra le due posizioni appare più sensata quella di Rossi Doria? Proprio per il fatto che mette in primo piano i rapporti scuola-famiglia, la condivisione delle responsabilità. Ogni professore che si vede costretto a bocciare un allievo, se ha un minimo di coscienza ed è consapevole del lavoro svolto, condivide con i genitori di quell’allievo lo stesso senso di frustrazione, di impotenza, di fallimento. Insomma, bocciare non piace a nessuno (o quasi… non metto in dubbio che ci siano ancora dei docenti sadici) ed è fondamentale che una bocciatura, come male estremo proprio per il bene dello studente/figlio, non veda contrapposti su differenti schieramenti la scuola e la famiglia, l’un contro l’altro armati.

Sono cambiati i tempi, dicevo. Le statistiche dimostrano che si boccia sempre meno. Lo si fa in casi estremi, quando le lacune in più discipline sono tali da compromettere il proseguimento degli studi. In questi casi perdere un anno non è un male ma un bene, a patto che la decisione dei docenti venga rispettata e condivisa dalle famiglie.

Quale può essere, dunque, la soluzione? Cercare di superare assieme il momento difficile, senza il palleggiamento di responsabilità cui a volte si assiste in questi casi.

Senza contare che certe reazioni non giovano a nessuno. Usare violenza, come le cronache di questi giorni riportano, oltre a non essere la soluzione rappresenta un messaggio negativo nei confronti dei ragazzi stessi. L’educazione e il rispetto che insegniamo a scuola sono del tutto vanificati da comportamenti irrazionali che, se negli intenti dovrebbero servire a difendere i figli da soprusi o torti (sempre presunti, ovviamente), danneggiano oltremodo l’azione educativa della scuola e ne denotano l’assenza in famiglia. Quale idea di giustizia si offre ai ragazzi nel momento in cui si cerca di risolvere il contenzioso a suon di botte?

Nemmeno reazioni apparentemente più pacifiche, come per esempio un ricorso alle vie legali, può essere una soluzione. Servirebbe solo a dare ai ragazzi l’illusione di poter essere difesi sempre, a prescindere dalle responsabilità personali. Ma nella vita sappiamo bene che le cose stanno diversamente.

Una bocciatura non è mai inaspettata, non è un fulmine a ciel sereno. Specialmente ora, grazie al registro elettronico, le famiglie sono puntualmente informate sul profitto dei figli, le comunicazioni arrivano in tempo reale, mettendo in primo piano sia le difficoltà sia gli strumenti che la scuola offre per superarle. Purtroppo gli insegnanti non sono dotati di bacchetta magica in grado di convertire i 4 o 5 in 6 e nemmeno i giudici hanno questo potere. Tutt’al più vanno a caccia di qualche vizio di forma e, nel caso in cui sfortunatamente lo trovino, ciò non cambia la sostanza.

Nemmeno far credere ai giovani che la forma abbia più valore della sostanza sembra una soluzione. Certamente non è una buona lezione di vita.

[immagine tratta da questo sito]

LA BOCCIATURA NON PIACE? BASTA RIFARE LO SCRUTINIO

scrutinioLa notizia ha creato in me molto sconcerto. Il fatto è accaduto all’ITIS Feltrinelli di Milano dove quattro studenti, risultati non ammessi alla classe successiva sul tabellone esposto lunedì, magicamente in due giorni sono stati salvati – per il momento il giudizio è sospeso– e al posto della bocciatura hanno rimediato qualche debito da saldare entro fine estate.

Cos’è successo, in pratica? Due professori, di italiano e matematica, non hanno considerato la media matematica dei voti, suscitando le proteste degli studenti che hanno indotto la dirigente ad annullare quello scrutinio, rivalutando subito la classe. Ma non è tutto: nella stessa classe, una terza liceo scientifico, un “rimandato” è stato promosso e altri due studenti si sono ritrovati con il debito in una materia e non due come era stato deciso.

La cosa, a mio parere, più sconcertante è la giustificazione addotta dalla dirigente, Annamaria Indinimeo, per il doppio scrutinio: «Possibile e doveroso rimediare quando c’è un errore. I ragazzi hanno segnalato che non c’era corrispondenza con i voti sul registro elettronico e avevano ragione. Perché avrei dovuto aspettare il ricorso? Il Tar mi avrebbe chiesto di ripetere lo scrutinio, l’ho fatto direttamente».

Questo è uno dei risvolti negativi dell’adozione del registro elettronico, dirà qualcuno. In realtà le cose stanno diversamente. Cercherò di spiegarlo in modo semplice, anche per i non addetti ai lavori.

Il registro elettronico segnala la media matematica, senza tenere nel debito conto tutti quei fattori – partecipazione alle lezioni, interesse dimostrato nei confronti della materia, impegno nello studio, esecuzione delle attività domestiche, partecipazione alle attività di recupero organizzate dalla scuola… – che concorrono alla valutazione sommativa. Quest’ultima, infatti, non consiste nella mera media matematica ma deve tener conto dell’intero percorso. Certamente l’ago della bilancia penderà più da una parte o dall’altra nei casi di arrotondamento per eccesso o per difetto.

In questo caso, però, pare che i voti siano drasticamente scesi, forse di un punto intero. Infatti, come spiega la dirigente, «la proposta di voto dei due professori era discordante dalla media matematica perché gli insegnanti hanno riconosciuto un peso diverso ai singoli voti orali e scritti. I criteri della valutazione non erano stati comunicati alla classe quindi ai ragazzi i conti non tornavano».

Ecco, quindi, che l’errore non è del registro elettronico ma dell’uomo, in questo caso dei due professori.

La trasparenza è un dovere cui non ci si può sottrarre. Ecco quello che è stato deciso nel liceo in cui insegno: nella programmazione annuale ciascun docente scrive in modo chiaro che non sarà la media matematica a determinare il voto finale bensì quella ponderata che tiene conto, appunto, del diverso peso che possono avere differenti tipi di verifica.

Personalmente adotto un’altra strategia: nella valutazione di ogni singola prova fisso dei livelli di sufficienza differenti dal classico 60%, avvertendo preventivamente gli allievi. In questo modo ogni prova ha il giusto peso e la media è veritiera. L’aggiustamento della media finale, dunque, dipenderà dal merito – o demerito – di ogni studente.

A questo punto credo che la dirigente abbia avuto la coda di paglia: se è successo questo significa che non era presente al primo scrutinio oppure non aveva di fronte i voti della classe. Posso assicurare che la mia dirigente ha presenziato a tutti gli scrutini con davanti il registro elettronico e tutte le valutazioni del quadrimestre, materia per materia. Tutto ciò forse non salva da un ricorso al TAR ma offre ottime possibilità che i voti non vengano contestati. Almeno spero.

[fonte: Corriere.it; immagine da questo sito]

REGISTRO ELETTRONICO: IL RISCHIO HACKER NON CANCELLA I VANTAGGI PER PROF E FAMIGLIE

scrutiniIl mio nuovo post pubblicato sul blog del Corriere.it “Scuola di Vita” tratta un argomento di grande attualità: il registro elettronico. Purtroppo le notizie da cui ho preso spunto non sono edificanti ma, prendendo in esame i “vizi” e le “virtù” del registro on line, a conti fatti, a mio parere, non è da bocciare, anzi.
La prima parte introduce l’argomento e indica la normativa di riferimento. Quindi se siete curiosi di sapere quali sono i vantaggi offerti dal registro digitale ai professori, alle famiglie e agli studenti, vi invito a continuare la lettura sul sito del Corriere.it.

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Ci sono due notizie che in questi giorni hanno calamitato l’attenzione di noi prof, e non solo, in relazione al registro elettronico. Una riguarda degli studenti, perlopiù minorenni, che hanno violato il sistema di sicurezza riuscendo a modificarsi i voti a loro piacimento. L’altra, invece, tratta il caso di un docente che si rifiuta ostinatamente di utilizzare il registro elettronico adottato nella sua scuola su delibera del Collegio dei Docenti. Il Dirigente Scolastico le ha provate tutte per vincere la resistenza dell’insegnante, senza alcun esito. Niente da fare: lui è convinto di adempiere ai suoi obblighi compilando e aggiornando diligentemente un registro cartaceo che ha acquistato di tasca sua.

Due facce della stessa medaglia ma il rischio della manomissione del registro da parte degli studenti e le resistenze dei docenti (il caso citato non è affatto isolato e l’analfabetismo informatico dei prof è cosa nota) possono essere considerati motivi sufficienti per bocciare la tecnologia in aula?

Vorrei iniziare dal primo caso. Certamente non voglio difendere il collega ma è doveroso sottolineare che l’obbligo di adottare il registro elettronico, preannunciato a suo tempo dall’ex ministro Profumo nell’ambito del più ampio progetto di dematerializzazione che interessa tutta la Pubblica Amministrazione (legge n. 135/2012), di fatto non è applicabile. Il MIUR, infatti, ha dovuto fare un passo indietro perché non ha i fondi da destinare alla digitalizzazione delle scuole, anche se dei passi avanti notevoli sono stati compiuti in ambito burocratico (per esempio, l’invio dei plichi telematici per le prove scritte dell’esame di Stato, le istanze on line per la partecipazione dei docenti alle commissioni d’esame, le iscrizioni scolastiche da parte delle famiglie …).

Diverse scuole, tuttavia, hanno imparato l’arte di arrangiarsi attingendo al Fis e ai contributi volontari delle famiglie – sempre più scarsi, in verità – onde creare i presupposti per l’adozione del registro elettronico. Non si tratta, infatti, di acquistare solamente il software. Perché il sistema funzioni è indispensabile che le scuole siano dotate di una rete wireless a banda larga efficiente, ovvero, come si legge nel documento #labuonascuola pubblicizzato dal governo, ultralarga, e di un numero adeguato di computer a disposizione dei docenti.

Purtroppo i costi dell’operazione sono altissimi perché, oltre ai dispositivi da fornire, dobbiamo anche tener conto delle tariffe delle linee telefoniche – ADSL. Dati recenti attestano un costo mensile superiore ai 7 euro per studente, anche se questa cifra personalmente mi pare esagerata. Ad ogni modo, l’adozione del registro elettronico senza aiuti da parte dello Stato non può essere un’imposizione proprio per i motivi esposti sopra.

Un altro problema non trascurabile è relativo alla validità legale dei dati caricati on line. In questo caso, è necessario che il D.S. dia delle garanzie a tutela dei docenti e preveda una serie di norme molto rigide cui attenersi.

Nel liceo in cui insegno, ad esempio, la firma sul registro elettronico è autenticata nel momento in cui, all’inizio della lezione, il professore inserisce i suoi dati che possono essere modificati – errori e omissioni sono sempre possibili – nell’arco delle 24 ore. Anche l’inserimento dei voti è regolamentato: deve essere tempestivo, comunque non oltre le 24 ore, e nel caso di errori è necessario inoltrare richiesta scritta al D.S. per modificarli, operazione che deve essere autorizzata e da effettuare in tempi stabiliti.
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[immagine dal sito linkato; logo blog “Scuola di Vita” © Corriere.it]

PROF SEQUESTRA CELLULARE AD ALUNNO: ACCUSATO DI FURTO

cellulare_scuolaL’utilizzo del cellulare a scuola è vietato durante l’intera durata delle lezioni (quindi anche durante l’intervallo e i cambi d’ora). Lo dice una nota ministeriale che generalmente viene inserita nel regolamento dei vari istituti. La trasgressione può portare anche a sanzioni disciplinari nel caso il telefonino venga utilizzato durante i compiti in classe. Inoltre è prevista una sanzione pecuniaria, fino a 5000 euro, quando vengono scattate, all’interno dell’edificio scolastico, delle fotografie con il cellulare senza aver ottenuto il permesso della persona interessata.

Fin qui la norma. Ma cosa deve/ può fare il docente nel caso in cui trovi un allievo che usa il cellulare durante le lezioni? I comportamenti da tenere in genere vengono descritti dal regolamento d’istituto. Normalmente si procede in questo modo: si sequestra il telefonino (avendo cura di togliere la batteria per renderlo inutilizzabile), lo si “impacchetta” siglando i risvolti e segnando nome e cognome dell’allievo, la classe, la data e il nome dell’insegnante che ha colto in flagrante il malcapitato. Il “pacchetto” va poi consegnato in presidenza che avvertirà la famiglia dell’accaduto (meglio, comunque, scrivere una nota sul libretto in modo da rendere edotti i genitori fin da subito) e la inviterà a ritirare l’oggetto.

Fatta questa premessa (per i non addetti ai lavori), la notizia che riporto ha dell’incredibile.

Siamo a Forlì, in una scuola media. Un docente sorprende un alunno che sta usando il cellulare e guarda foto hard. Glielo ritira e agisce come da prassi descritta sopra.

La madre del ragazzino, anziché profondersi in scuse come sarebbe stato auspicabile, si presenta a scuola, non solo per ritirare il telefonino, accompagnata da un avvocato e denuncia il docente per furto.

Alle rimostranze dell’insegnante, che sottolinea anche il “materiale non scolastico” che il figlio stava “esaminando” sul telefonino, la donna replica che in fondo quelle foto non erano così disdicevoli in quanto la donna indossava pure il perizoma. 😯

Credo che questa notizia non abbia bisogno di commenti. Piuttosto mi pongo una domanda: dove andremo a finire? Ha ragione, forse, Renzi, quando sostiene che noi insegnanti siamo eroi … non tutti ma molti.

Io non ho tanta voglia di scherzare su questo argomento. Consiglio, comunque, la lettura di un divertente post firmato da Reginaldo Palermo per La tecnica della Scuola.

Vi riporto solo il catenaccio:

Qualche suggerimento: modificare i regolamenti di istituto e liberalizzare tutto. Il cellulare potrà essere tranquillamente usato, ma non come corpo contundente (se si dovesse rompere la famiglia potrebbe chiedere i danni). Se uno studente lo usa per guardarsi un video hard, collegatelo subito alla LIM, proiettate il filmato e fatevi 4 risate liberatorie tutti insieme.

[LINK della fonte; immagine da questo sito]

A SCUOLA IN TRINCEA: IL CATTIVO RAPPORTO TRA (CERTI) GENITORI E (CERTI) PROF

rapporti-scuola-famigliaIo nel titolo l’ho messo tra parentesi quel certi. Sì, perché ne sento di tutti i colori sul cattivo rapporto tra docenti e genitori, eppure io i casi in cui c’è stata qualche incomprensione con i genitori li posso contare sulle dita … di una sola mano. Ascolto aneddoti, leggo articoli, sento le lamentele dei miei stessi colleghi e mi sento fortunata. Poi, non sono nemmeno sicura che si tratti solo di fortuna. Credo che il problema sia il modo in cui ci si rapporta e, per quanto irritante sia l’atteggiamento di certi genitori (e ‘stavolta non lo metto tra parentesi), personalmente sfodero tutte le armi diplomatiche – che nella vita privata non possiedo, ahimè – per arrivare ad un confronto sereno. Il che non significa necessariamente che io debba aver sempre ragione, tuttavia il segreto sta nel far sentire in torto la controparte.

Leggendo un articolo apparso sul Corriere di oggi, anche se posso decisamente ritenermi fortunata, ottengo la conferma che a sbagliare siano talvolta non solo i genitori ma anche i docenti. Ne riporto alcuni stralci, invitando alla lettura integrale perché, pur non trattandosi di lettura edificante, quanto meno ci si può riflettere su.

Lo studente, che si nasconde dietro il nome del pilota Fernando Alonso, chiede aiuto su Internet: «Un prof mi ha ritirato il cellulare e se l’è tenuto, posso denunciarlo?». Risposta pronta di Woody: «Sì. È Furto!!! Potresti registrare una conversazione, lo porti a dire che te lo ridarà quando vuole lui!!! Fallo, avrai il coltello dalla parte del manico!!! Odiosi prof!!!». Benvenuti nel campo di battaglia della scuola italiana. Studenti in guerra contro insegnanti. Come sempre. Ma, ed è questa la novità, sempre di più spalleggiati dai genitori. Liceo di Roma: alla professoressa gli studenti fanno sparire gli occhiali, lei perquisisce gli zaini. Quando a casa i ragazzi raccontano tutto, qualche papà invece di sgridare il figlio va dai carabinieri e denuncia l’insegnante per abuso dei mezzi di correzione. Noale, Venezia, scuola media: un ragazzino viene scoperto a imbrattare le aule. La dirigente scolastica lo convoca, la madre non la prende bene. Le si presenta davanti, l’afferra per il collo e la spinge contro il muro. La donna torna a casa, la preside va al pronto soccorso.

Alcune osservazioni da addetta ai lavori sono d’obbligo.
In primo luogo, il regolamento d’istituto deve riportare: le modalità di ritiro del cellulare se usato dagli studenti durante le attività didattiche (in teoria sarebbe compreso l’intervallo, l’assemblea di classe o d’istituto e pure un’ora “buca”, in cui la classe sia lasciata scoperta per mancanza di personale per la supplenza … generalmente in questi casi si chiude un occhio), in modo da evitare qualsiasi contestazione da parte dell’allievo e dei genitori. Solitamente il telefonino va ritirato, dopo aver chiesto al possessore di togliere la sim, impacchettato, siglando ogni risvolto dell’involucro, apponendo le generalità dello studente (nome cognome e classe) nonché quelle del prof che ha provveduto al sequestro, quindi va portato in presidenza dove la famiglia (se l’allievo è minorenne) andrà a ritirarlo dopo aver sentito il parere del dirigenze.
Se da parte dello studente viene registrata una conversazione all’insaputa del docente, sarà lui a commettere un reato e a pagarne le conseguenze. Quindi, raccomando ai ragazzi di fare molta attenzione nel chiedere consigli sul web: spesso chi risponde è solo un cattivo studente e di legge ne capisce poco o nulla; il suo intento è solo vendicarsi di qualche brutta esperienza personale prendendosela con tutta la categoria.

In secondo luogo, mai e poi mai mettere le mani negli zaini degli studenti, tanto meno nelle loro tasche o procedere ad una perquisizione in tutta regola. L’atteggiamento corretto è: chiedere allo studente di svuotare zaino e tasche mettendo il contenuto sul banco, facendo attenzione che apra tutte le lampo, interne ed esterne.

Sull’ultimo caso è meglio stendere un velo pietoso: è più che evidente che la violenza non porta mai buoni frutti. Chi sfoga la rabbia in questo modo più che un essere umano, dotato di raziocinio, è un animale, con tutto il rispetto per gli animali.

Imperia, scuola elementare. La bimba, sei anni, graffia e punta la matita contro i compagni. La maestra la fa sedere vicino alla cattedra. I genitori minacciano un esposto alla Procura: così la danneggiano psicologicamente. «Li ho chiamati, ragionando è stata trovata una soluzione. Abbiamo fatto dei gruppi, che a turno girano nella classe». In questo modo Franca Rambaldi, a capo dell’ufficio scolastico provinciale, è riuscita a calmare le acque. «Le famiglie sono troppo ansiose, vanno subito in crisi, si irritano facilmente, alla minima difficoltà partono all’attacco». I genitori non si fidano più degli insegnanti, credono che tocchi a loro sopperire all’educazione inadeguata, alle carenze della scuola. Insomma, si sentono «sindacalisti dei propri figli». «Se non si restituisce dignità alla professione degli insegnanti, se non si rinnova la partecipazione dei genitori e degli studenti, allora la microconflittualità è destinata a crescere», ipotizza amaramente Gianna Fracassi, segretaria della Flc-Cgil.

A proposito di matite conficcate sul dorso delle mani, mio figlio (24 anni passati) ha ancora una punta di graffite ben in vista ma io non ho mai protestato né ho chiesto alla maestra in che modo sia stata punita la responsabile, anzi, me la sono presa con lui dicendogli che qualcosa avrà pur fatto per meritarselo, specie se da parte di una graziosa bimbetta bionda con le treccine. Lui non l’ha presa bene ma credo che la coscienza non l’avesse perfettamente a posto.

Che le famiglie siano in crisi e che spesso si dimostrino eccessivamente ansiose, non stento a crederlo. Il tempo per seguire i figli, specie se piccoli, è poco e, benché si dica spesso che quel che conta è la qualità non la quantità, a volte il tempo difetta sia nell’una sia nell’altra. Io generalmente non criminalizzo i genitori perché so quanto sia faticoso star dietro ai figli, avendo poco tempo, mille cose da fare, poco o nessun aiuto e una gran stanchezza addosso. Si cerca di fare quel che si può e non sempre i figli ascoltano le raccomandazioni dei genitori, il che genera un senso di frustrazione che, in persone dotate di scarso equilibrio psichico, può portare a scaricare su altri le proprie responsabilità. E questi altri sono i docenti. Sì, perché alla scuola si chiede di educare, e fin qui nulla da eccepire visto che accanto all’istruzione, la formazione è altrettanto importante. Però ormai alla scuola si chiede di sostituirsi ai genitori e se i sistemi educativi non collimano con quelli adottati (o, per meglio dire, che si adotterebbero) in famiglia, si arriva inevitabilmente allo scontro.

Dice bene la sindacalista Gianna Fracassi: alla scuola va restituito il valore di un tempo, ai docenti deve essere riconosciuta la dignità della professione. Ma per arrivare a ciò è fin troppo evidente che non solo i genitori devono cambiare, anche gli insegnanti devono meritarsi quella dignità che, a causa di pochi, stanno perdendo tutti, anche chi la meriterebbe di suo.

QUI trovate la lettera che mi hanno inviato dei genitori al cui figlio ho ritirato il cellulare durante un’ora di lezione pomeridiana. E’ passato un po’ di tempo, quell’allievo non era nemmeno uno dei miei (e i suoi genitori non li avevo mai visti) … spero di non commettere un illecito.

[l’immagine è tratta da questo sito]

DETENUTO PARLA CON I PROF DEL FIGLIO VIA SKYPE

TRIESTE. Detenuto parla con i prof del figlio attraverso Internet. La Direzione penitenziaria di Trieste e la Magistratura di sorveglianza hanno autorizzato – per la prima volta nella storia della realtà penitenziaria italiana – che T.M., detenuto nella casa circondariale di Trieste, avesse un videocolloquio con gli insegnanti del figlio minore che risiede in un comune della provincia di Udine.
L’assistenza al detenuto è stata offerta dall’associazione onlus “Auxilia” attraverso i suoi volontari, utilizzando Skype e attrezzandosi con due diverse postazioni informatiche. (Il Piccolo)

E poi ci sono quelli che malignano che certi genitori si disinteressano dei figli …

A PROPOSITO DEI VOTI SU INTERNET


Leggo sul blog La 27esima ora, nel sito del Corriere, un interessante articolo firmato Maria Silvia Sacchi. La giornalista si chiede se sia o meno utile che le scuole registrino su apposite pagine web i risultati scolastici degli allievi, con l’intento di informare in tempo reale, o quasi, la famiglia sulla situazione scolastica del figlio. La riflessione, che condivido pienamente, nasce dalla considerazione che se da una parte l’iniziativa può servire a tenere sotto controllo i figli quando i genitori sono lontani – ad esempio i separati o quelli che vivono per lunghi periodi fuori casa -, dall’altra il mezzo informatico medierebbe tra genitori e figli allontanandoli sempre più.

Ecco l’articolo:

Probabilmente, è l’età. La mia.

Eppure è un po’ di tempo che mi interrogo sui voti messi su internet. Sempre più spesso le scuole offrono questa opportunità. Inserisci username e password nell’apposita schermata e “vedi” (quello che un tempo era) il diario di tuo/a figlio/a.

E’ un bene? E’ un male? E’ neutro?

Neutro no. Ha pregi e difetti. Questo è il mio pensiero, naturalmente.

Il pregio è che permette anche al genitore lontano – per lavoro, per la separazione tra i coniugi, per un problema personale – di poter partecipare alla vita scolastica del proprio figlio/a.

Il difetto è che in qualche modo “media” tra figli e genitori. Rende il rapporto meno diretto. Come molte comunicazioni telematiche finiscono per fare.

Perché i bambini/e, i ragazzi/e, non hanno neanche il più gusto di dirti per primi che hanno preso un bel voto, fatto una bella interrogazione, risposto a tutte le domande dello scritto: tu lo sai già, è scritto lì, sul tuo schermo. Allo stesso modo, non devono neanche prendersi la responsabilità di farti (o non farti) vedere il diario con quel voto o quella nota che proprio farebbero volentieri a meno…Anche quello è lì, sul tuo schermo.

E, poi,ci sei tu, il genitore e quella pagina web, che controlli.

Non so. Un po’ di tempo fa Diving in un commento al post sul fatto di fare i figli da giovani, diceva a proposito della scuola: : “Negli States i ragazzini non hanno più libri bensì iPads! – e i prof sono i primi ad essere entusiasti!” Le tecnologie sono davvero un aiuto enorme (pensiamo a quanti chili in meno sulle spalle di bambini/e e ragazzi/e, ma perché servono tanti libri?! Veramente, un completo mistero per me come siano necessari tutti quei chili sulla schiena e per di più in età in cui il corpo non è ancora forte e nel suo assetto definitivo, ma questo è un discorso diverso).

E’ l’idea dello schermo-controllo-deresponsabilizzazione che mi lascia perplessa. O no?

Io personalmente sono contraria anche perché, in questo modo, si favorirebbe la “latitanza” dei genitori, già poco presenti ai colloqui con i docenti. Certamente il mondo d’oggi impone una superorganizzazione per poter far fronte ai mille impegni; così spesso il tempo per i colloqui con i professori viene ritagliato, a volte in modo davvero acrobatico, tra un permesso orario – una giornata di ferie se in una sola mattinata si riesce a parlare con più insegnanti – la spesa, la pausa pranzo o il ritiro del figlio più piccolo all’asilo. Molte volte ho visto genitori in apprensione durante l’attesa, con quello sguardo furtivo rivolto all’orologio o la mano veloce che scorre sulla tastiera del cellulare per comporre sms di istruzioni al partner, nello sfortunato caso in cui la coda sia eccessivamente lunga e si perda più tempo del previsto. Tanto che, alla fine, quando arriva il proprio turno, il colloquio si risolve in un veloce scambio di battute e si ha l’impressione – almeno io ce l’ho – che tutto interessi a quella mamma o a quel papà fuorché avere delle notizie sul figlio. Tutto si risolve in un atto di presenza e nulla più.
Ecco, nei casi come quelli illustrati, poter accedere ad Internet magari alle due di notte e controllare i voti dei figli sarebbe un gran bel vantaggio. Ne gioverebbe meno il rapporto scuola-famiglia molte volte evidenziato come mezzo insostituibile per poter collaborare fattivamente per migliorare il percorso scolastico dei giovani studenti.

C’è un altro motivo, però, che mi porta a dubitare che la pubblicazione dei voti su Internet sia una buona idea. Lo illustra in modo efficace un commentatore sul blog menzionato:

In una delle scene iniziali di War Games (1983) il giovane protagonista entrava nel server della scuola e modificava i suoi voti (anzi giudizi, con le lettere, perché solo qui in italia siamo tornati al paleolitico dei numeri), poi per galanteria anche quelli della futura fidanzata. Considerando quello che succede durante i compiti in classe (fino agli esami di stato), in situazioni oggettivamente difficili di subire controlli, un normale studente smanettone, nella tranquillità della sua stanzetta, quanto ci metterà a violare il server del suo istituto (basta dare un’occhiata a alcuni siti di scuola per capire che sono un paio di generazioni informatiche dietro le capacità degli smanettoni).
Una volta si usava il bianchetto, ora la tastiera. Figuriamoci poi quando verà richiesta la firma digitale dei documenti scolastici da parte dei genitori….

Ecco, io ho pensato la stessa cosa. Dirò di più: mi è venuta in mente uno strip pubblicato molti anni fa sulla Settimana Enigmistica. Purtroppo non l’ho conservato, anche se ricordo bene di averne fatto una fotocopia gigante da appendere in sala insegnanti. Erano i tempi in cui io il computer lo odiavo e non sapevo nemmeno usarlo. Comprendo bene quanto sia difficile descrivere delle vignette ma ci proverò.

Nella prima si vede un bambino che smanetta tutto contento sulla tastiera del pc e dice: “Sono entrato nel sito della scuola e ho cambiato tutti i miei voti” (ovviamente s’intende che quelli originali non fossero proprio belli … 😦 )
Nella seconda si vede il bambino che consulta Internet e rimane interdetto. ❓
Nella terza si vede lo stesso bambino afflitto che, osservando il monitor, dice: “La scuola è entrata nel mio pc e ha cambiato tutti i giochi con schede didattiche”. 🙂

Alla fine penso che la prima eventualità si potrebbe tranquillamente verificare (anche se il danno sarebbe minimo: i professori avrebbero comunque i voti veri trascritti sul registro!). La seconda, invece, è ancora fantascienza, considerati i potenti mezzi informatici di cui dispongono le scuole.

[immagine da questo sito]

COMPITI A CASA? NO, GRAZIE. I GENITORI FRANCESI SI RIBELLANO

Ogni tanto ne sentiamo parlare. I compiti a casa sono scomodi, soprattutto per i genitori. Spesso si passano interi pomeriggi alla scrivania con i figli, specie se non particolarmente brillanti, e quella dei compiti per casa è considerata una vera schiavitù. Se poi gli insegnanti li assegnano anche per le vacanze (Natale, Pasqua, estate .. non importa, le vacanze sono vacanze ecchecaspita!), intere famiglie si sentono prigioniere entro le mura domestiche perché i figli devono lavorare.

E che dire dell’insana abitudine di sostituirsi ai figli – specie se piccoli, diciamo quelli che frequentano le elementari – nell’esecuzione del lavoro domestico così si fa più in fretta e una passeggiatina magari la si riesce a fare? Certo, i genitori credono di fare pochi danni, nella convinzione che prima o poi i bambini raggiungano una completa autonomia. Ma amare sorprese riserva il prosieguo degli studi …

Ieri al TG1 ho sentito che sempre più diffuso, in particolare per i ragazzi più grandi, è il ricorso a dei tutor disponibili su alcuni siti Internet. Oppure particolarmente affascinante, a quanto pare, è l’idea di fare i compiti assieme ai compagni via skype. Mentre una volta ci si incontrava a casa dell’uno o dell’altro, ora si sta comodamente seduti davanti al proprio pc, nella propria cameretta, immortalati da una telecamera e dotati di microfono al posto dell’obsoleta cornetta del telefono. E così le ore che gli studenti passano davanti al computer si moltiplicano, anche se con le più buone intenzioni.

Tornando alle famiglie e alla loro scarsa predisposizione ad accogliere gli obblighi scolastici dettati dagli insegnati, come se questi ultimi si divertissero a fare i sadici e basta, in Francia è in atto una vera e propria ribellione: almeno per le prossime due settimane, saranno i genitori a chiedere ai propri figli di non svolgere alcuna attività domestica. Cartelle chiuse oltre l’orario scolastico. Come potremmo chiamarlo? Lo sciopero degli zaini?

Questo singolare boicottaggio è stato ideato dalla Fcpe (la principale associazione che raccoglie i genitori dei ragazzi iscritti alle scuole pubbliche transalpine) con lo scopo di protestare contro “l’inutilità e l’ingiustizia” dei compiti a casa assegnati ai bambini che frequentano gli istituti elementari francesi. La protesta è partita da un blog e, com’era facile immaginare, ha raccolto già 22.000 adesioni e ha sviluppato un acceso dibattito sui quotidiani francesi.

I contestatori affermano che non solo i benefici degli esercizi scolastici a casa non sono mai stati provati scientificamente, ma che i compiti sono spesso causa di profondi litigi tra genitori e figli. Senza contare che i compiti sarebbero un motivo di discriminazione tra i bambini più fortunati che possono contare sull’aiuto di qualche familiare in casa e quelli che invece devono arrangiarsi da soli.

Anche se lo scopo di questa iniziativa è quello di organizzare due settimane senza compiti a casa e di immaginare assieme altri modi per comunicare il lavoro fatto in classe e anche se il Francia esiste una legge del 1956 che vieta agli insegnanti di assegnare compiti a casa ai bambini delle scuole primarie – legge che è aggirata dai maestri che assegnano delle attività da svolgere tenendo impegnati i bambini per più di un’ora la sera – credo che lo “sciopero” serva a ben poco se i genitori sono convinti che i compiti siano inutili e ingiusti. Nel momento in cui non si fidano dell’insegnante, come possono sperare di dar vita ad un dibattito sereno su questo argomento?

[notizia de Il Corriere]

BOCCIATA IN PRIMA ELEMENTARE: GIUSTO O SBAGLIATO?

Lì per lì la notizia mi aveva lascita perplessa: Assunta, sei anni, è stata bocciata in prima elementare. E’ successo a Lacco Ameno, Ischia. I genitori, però, non ci stanno: la scuola non li aveva nemmeno avvertiti della possibilità di una bocciatura e poi Assunta era stata abbandonata dagli insegnanti, relegata nell’ultima fila senza che nessuno si occupasse di quei piccoli problemi di apprendimento che, tra l’altro, non avevano nemmeno impensierito una psicologa che l’aveva visitata durante l’anno scolastico.

Letta così, la notizia può suscitare indignazione: ma come, una piccola e innocente scolara, che aveva collezionato solo qualche insufficienza nel primo quadrimestre (a detta della madre Maria), deve sopportare l’umiliazione di ripetere l’anno, all’inizio della sua avventura scolastica, solo perché i suoi problemini sono stati sottovalutati? Naturalmente, di primo acchito tutti solidali con la famiglia che ha annunciato il ricorso al TAR.

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