Introduzione al “Paradiso”

La leggenda del Paradiso

Quando Dante muore, la notte fra il 13 e il 14 settembre 1321, a Ravenna, il Paradiso è completato, eppure ai figli che si affannano nelle ricerche, la Cantica risulta sospesa: mancano gli ultimi tredici Canti.
È Iacopo a ritrovarli in una nicchia del muro, nascosta da una tenda, otto mesi dopo, grazie alle indicazioni del padre stesso, apparso in sogno. Così la Commedia può essere offerta ai lettori nella sua integralità. Inutile dire che Iacopo e Pietro di Dante sono tra i primi commentatori. Leggenda? Probabilmente: ma ben evidenzia l’alone di mistero e suggestione che circonda l’opera del poeta il quale, sin dal 1316, ha informato il suo pubblico della composizione del Paradiso, dedicato al suo mecenate, Cangrande della Scala, con una lettera importante in cui definisce il titolo della Commedia, il suo oggetto, l’intendimento che la anima.
Tra il 1318 e il 1320 dalla corte veronese di Cangrande della Scala, senza comunque dissapori con gli Scaligeri, si sposta con la sua famiglia, che da poco era riuscito finalmente a riunire intorno a sé, a Ravenna, dove scrive Gianfranco Bondioni, «Dante è il maestro riconosciuto e venerato di un gruppo di intellettuali che raccoglie parecchi esuli fiorentini e lo stesso signore della città, Guido Novello da Polenta; qui non ha doveri da assolvere, né professionali né politici». A Ravenna trova quella tranquillità d’animo necessaria al completamento del Paradiso, che ha un respiro «mondiale, senza più residui di contingente»; e se da un lato la condanna e la proposta dantesca si estendono a tutta l’Italia, all’Europa, al mondo, dall’altro al mondo intero si estende la sua proposta di civiltà. «Non deve stupire che egli abbia sentito la necessità di un porto tranquillo per riuscire a terminare la terza cantica: i canti finali del Paradiso avevano bisogno di strumenti poetici del tutto inediti, della massima concentrazione e della massima tranquillità per riuscire ad esprimere attraverso figurazioni di drammatica intensità e poesia l’approdo estremo del viaggio» (Gianfranco Bondioni).
Dante aveva riposto speranze di gloria, in questa Cantica; ma andarono tutte deluse: infatti l’alloro poetico, supremo riconoscimento per un poeta del Trecento, venne attribuito ad un certo Albertino Mussato (1261-1329), per la tragedia di stampo senechiano Eccerinis (1315). Eppure il poeta fiorentino avrebbe avuto tutti i diritti a questa «laurea»: la sua opera, compendio del sapere filosofico e letterario dell’età medievale, ha nel Paradiso, per certi versi così inaccessibile e poeticamente arduo, la sua espressione più alta.

La struttura del Paradiso

Per ragioni di simmetria, anche il Paradiso deve essere scandito in nove parti, cui se ne aggiunge una decima: ai nove cieli, infatti, ecco seguire l’Empireo che è pura luce intellettuale, luogo mistico e trascendente dove risiede Dio, circondato dalle nove gerarchie angeliche, e la candida rosa, l’assemblea dei beati osannanti.
Questo lo schema generale, tenendo presente anche la corrispondenza tra le Arti e i nove Cieli:

Cielo Potenze anime come appaiono le anime Arti
Luna: ispira l’incostanza dei comportamenti Angeli: proteggono i singoli uomini mancarono ai voti immagini tenuemente luminose che conservano tracce di sembianze umane Grammatica
Mercurio: dona l’amore per la gloria terrena Arcangeli: incaricati dei grandi compiti spiriti tesi al conseguimento della gloria terrena spiriti splendenti che cantano e danzano e si celano nel proprio splendore Dialettica
Venere: dona la tendenza all’amore Principati: governano le potenze terrene spiriti amanti splendori che si muovono più o meno velocemente a seconda del loro grado di visione di Dio Retorica
Sole: rende sapienti gli spiriti Potestà: combattono nella lotta fra Bene e Male spiriti sapienti luci che cantano e danzano e formano tre corone concentriche Aritmetica
Marte: influisce sugli spiriti militanti Virtù: governano i grandi mutamenti storici combattenti per la fede e martiri punti luminosi che formano una croce in cui lampeggia Cristo Musica
Giove: rende le anime giuste e pie Dominazioni: mediano sulla terra il potere di Dio sul tempo spiriti giusti splendori che cantando formano le lettere della scritta DILIGITE IUSTITIAM QUI IUDICATIS TERRAM; poi si raccolgono nella M dell’ultima parola che si trasforma, mentre si aggiungono altre anime in un’aquila araldica, simbolo dell’Impero Geometria
Saturno: ispira il desiderio di raccoglimento Troni: mediazione della giustizia divina tra finito e infinito spiriti contemplativi dal cielo di Saturno si alza verso l’Empireo una scala di luce lungo la quale salgono e scendono o si soffermano sui diversi gradini gli splendori delle anime Astronomia
Stelle fisse Cherubini: mediazione della sapienza divina tra finito e infinito spiriti trionfanti luci accese dal sole di Cristo; attorno alla più luminosa di esse fa corona di luce cantando l’angelo Gabriele: i beati salgono all’Empireo Fisica e Metafisica
1° Mobile o Cristallino Serafini: mediazione della carità divina tra finito e infinito i nove cori angelici nove cerchi luminosi che ruotano a velocità diverse attorno a Dio, che è un punto matematico di grandissima luminosità Morale
Empireo   tutti i beati e tutti gli angeli I beati si presentano come un fiume di luce fra due rive di luce da cui emergono e in cui si immergono le faville degli angeli; poi lo spettacolo muta e Dante vede le anime disposte a formare un anfiteatro candido per il colore delle vesti delle anime: è la candida rosa, in mezzo a cui, come api, volano gli angeli  

 

I cieli della Luna, di Mercurio, di Venere, di Sole, di Marte, di Giove, di Saturno, delle Stelle fisse e del Primo Mobile sono ancora elementi dell’universo fisico, anche se innaturale e miracoloso è il volo di Dante e Beatrice dall’uno all’altro e frutto di una grazia specialissima è l’incontro con i beati che scendono dalla candida rosa per incontrare il poeta. Solo l’Empireo è il vero Paradiso, luogo immateriale e spirituale dove Dante vede il trionfo del Bene e si immedesima nella visione di Dio.
Ogni cielo è governato da un pianeta che infonde negli uomini una virtù o, comunque, una caratteristica. I beati che compaiono in questi cieli hanno mostrato, in vita, la corrispondente virtù.

Così:

  – gli spiriti che mancarono ai voti hanno acquisito dalla Luna l’incostanza,
  – gli spiriti attivi sono stati influenzati dalla velocità di Mercurio
  – gli spiriti amanti da Venere
  – gli spiriti sapienti dalla forza illuminante del Sole, che porta a penetrare la perfezione geometrica del cosmo e della verità;
  – gli spiriti combattenti da Marte, che esprime energia, volontà, ardore, aggressività, qualità che le anime sante hanno rivolto al Bene
  – gli spiriti giusti da Giove,
  – gli spiriti contemplanti da Saturno.

Nel cielo delle Stelle fisse Dante e Beatrice vedono tutti i beati celebrare il trionfo di Cristo e di Maria, mentre dal Primo Mobile possono osservare le nove gerarchie angeliche che ruotano intorno a Dio. Serafini, Cherubini, Troni, Dominazioni, Virtù, Potestà, Principati, Arcangeli, Angeli sovraitendono un cielo come intelligenze motrici. I Serafini, i più vicini a Dio, muovono il Primo Mobile, il cielo più grande e più ricco di Bene, il più veloce. Via via che si avvicinano alla terra immobile, i cieli rallentano il loro movimento.
Inutile ricordare che il modello astronomico che regge l’impianto del Paradiso dantesco, è quello elaborato dallo scienziato alessandrino Claudio Tolomeo (II sec.d.C.), autore dell’Almagesto che eredita la tradizione astronomica precedente, sistematizzando soprattutto i risultati delle ricerche di Ipparco e delle teorie di Aristotele. Il sistema tolemaico (o geocentrico, perché pone la terra al centro dell’universo) rimane in vigore sino al XVI secolo e verrà definitivamente superato nel XVII. Anche il sistema dei cieli, come quello dei cerchi infernali e delle cornici, segue una logica meritocratica e gerarchica: tutti i beati sono ripieni di letizia, ma alcuni sono in posizione “periferica” rispetto ad altri, alcuni hanno meriti minori di altri.
Il Paradiso ripropone la visione sociale di tipo piramidale cara al Medioevo. Al vertice Dante vedrà l’imperatore dell’immenso ed eterno regno: Dio.

I personaggi

Il Paradiso non offre connotazioni spazio-temporali. Rarissime sono, se si eccettua la grandiosa visione del Canto I, le descrizioni del paesaggio o le indicazioni cronologiche: per cui risulta impossibile scandire in termini di ore o di periodi del giorno il percorso dantesco. È presumibile che il poeta lo immaginasse tutto concentrato in una sola giornata, il 13 aprile del 1300, ma meglio non fare arbitrarie illazioni. Il Paradiso è fuori dal tempo e dalla spazio, la nota caratteristica è la luce, che si intensifica di cielo in cielo, sino ad essere la tangibile espressione del bene, nell’Empireo. I personaggi non presentano la plastica grandezza dei dannati infernali, né l’acuto scavo psicologico degli espianti: sono piuttosto esempi di differenti condizioni esistenziali, attraverso cui si perviene a Dio. Il loro compito è anche, al di là dell’esigenza artistica di dare vivacità e varietà al percorso del poeta nei cieli, di sciogliere i dubbi degli uomini.
       
La funzione didattico-allegorica della Commedia emerge con particolare evidenza proprio in questi momenti dottrinali nei quali il poeta compendia il sapere del suo tempo, e offre al lettore soluzioni a dubbi di vario genere: dall’origine delle macchie lunari, al problema della diaspora degli Ebrei, all’imperscrutabilità della giustizia divina
I beati non si vedono: di loro Dante intuisce solo la silhouette dentro una sfera di luce, oppure ne coglie i sembianti sbiaditi e diafani. Spesso sono punti luminosi o globi splendenti. La loro figura appare solo nel consesso della mistica rosa, quando il poeta li vede seduti nei loro seggi, vestiti di una candida tunica. Anche Dante-personaggio si ridimensiona: spesso ribadisce lo stupore, la gioia, la letizia di trovarsi nel regno della beatitudine, ma i suoi interventi nell’azione della Cantica sono ridotti al minimo: i beati leggono in Dio i suoi dubbi e i suoi problemi, sanno chi è e che cosa vuole, sono disponibili, in nome della carità, ad aiutarlo. Un momento in cui Dante assume un ruolo da protagonista lo troviamo proprio al centro della Cantica, quando incontra l’antenato Cacciaguida e riceve la profezia dell’esilio.
Alcuni personaggi (san Pietro, Giustiniano, Carlo Martello) disquisiscono sui problemi degli uomini: la realtà politica, la corruzione della Chiesa ritornano spesso nelle riflessioni del poeta che non sa disgiungere terra e cielo, ma, anzi, dimostra come queste due realtà stiano in rapporto dialettico e più che mai si conferma nel valore della propria missione di portavoce dei valori di pace, proteso a indicare all’umanità la via della salvezza.

Beatrice è la guida di Dante: simbolo della fede e della teologia, deve cedere il proprio compito, nelle ultime battute, a san Bernardo di Chiaravalle, poiché il pieno congiungimento con Dio avviene nella dimensione dell’ascesi, con l’aiuto di facoltà irrazionali.

Un leit-motiv: la luce

Il viaggio in Paradiso è scandito da successive illuminazioni: il poeta capisce di essere salito a un cielo più alto dall’intensificarsi della luminosità. Dio stesso appare come pura luce e gli ultimi versi della Cantica parlano di una Grazia specialissima che Dio concede a Dante per consentirgli di comprendere il mistero dell’Incarnazione. La mistica rosa, che contiene i beati, sfolgora di luce, Dio appare come punto geometrico immateriale ma luminoso, gli angeli hanno il viso raggiante e le ali d’oro. In contrasto con il buio e il linguaggio blasfemo e violento dell’inferno, i cieli paradisiaci si contraddistinguono per lo sfolgorio della luce e per l’armonia delle note dei canti intonati dai beati.
Spesso lo spettacolo è troppo bello perché il poeta sappia descriverlo: e così entrano in gioco artifici retorici come la recusatio, che esprime il rammarico di non saper rendere con parole le visioni, o arditi neologismi che testimoniano, ancora una volta, il gusto di Dante per lo sperimentalismo linguistico. E’ certo che il volgare viene usato con estrema padronanza anche per elaborare ardue questioni teologiche o sottili disquisizioni: nessuna difesa avrebbe potuto essere più efficace che dimostrarne la ricchezza lessicale, la duttilità, la pregnanza in campi complessi come la teologia e la filosofia tradotte in termini poetici.

[Autori: Maria Adele Garavaglia e Giuseppe Bonghi; LINK della fonte]

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