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LETTERA DI UNA PROFESSORESSA A UNA CATTIVA MADRE

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Dopo la lettera del papà di Mattia che si vantava di non aver fatto svolgere i compiti delle vacanze al figlioletto, eccone un’altra, questa volta scritta da una madre: la dott.ssa Francesca Romana Tiberi, psicologa, laureata in Scienze della Formazione.

Ne riporto il testo pubblicato sulla rivista on line Orizzonte Scuola:

Sono una cattiva madre perché non costringo mia figlia a estenuanti pomeriggi di compiti.

Sono una cattiva madre perché non presto abbastanza attenzione alle note di demerito che le insegnanti danno a mia figlia per non aver finito i compiti.

Sono una cattiva madre perché quando è malata non le faccio recuperare tutti i compiti persi.

Sono una cattiva madre perché la domenica non si studia… potrei continuare ore, sono una cattiva madre lo so, ma so anche di essere la migliore mamma che mia figlia possa avere perché a me interessa che lei sia felice e che ami imparare!

Non permetterò a nessun insegnante di far odiare lo studio e la conoscenza a mia figlia, a costo di esser giudicata irresponsabile!

Ed ecco la mia replica.

Cara signora Francesca Romana,

che Lei sia una cattiva madre lo ha ammesso, quindi non sarò io a doverglielo dire. Tuttavia, da insegnante, non posso esimermi dal fare qualche osservazione sulle Sue parole che ritengo molto gravi, considerando anche il fatto che Lei, a quanto pare, di professione fa la psicologa.

Lei, quando aveva l’età di Sua figlia, non ha mai passato estenuanti pomeriggi di compiti? Non so quanti anni abbia ma credo che, con il passare del tempo, i compiti assegnati a scuola siano sempre di meno. O forse Lei aveva una madre altrettanto cattiva? Non so, può essere. Ad ogni modo, mi sembra che Lei sia sopravvissuta a un così grave flagello.

Non Le pare logico, inoltre, che quando un bambino si assenta perché malato, i compiti servano a recuperare le lezioni perse? O al limite, se proprio l’argomento trattato in classe non è chiaro, non Le pare logico rivolgersi all’insegnante e pregarlo/la di perdere un po’ di tempo a rispiegare la lezione, in modo che Sua figlia, e i suoi compagni, ne possano trarre beneficio?

Lei davvero crede che la felicità di un bambino si misuri in base al tempo che, durante la domenica, può sottrarre all’esecuzione delle attività assegnate? Ma se anche così fosse, non ci sarebbe nulla di male, a patto che se ne parli con gli insegnanti, quelle persone così cattive e insensibili che hanno come unico scopo quello di rendere infelici le povere creature (oppure i genitori che si sentono in dovere di seguire passo passo i figli nell’esecuzione dei compiti, sostituendosi a loro, se è il caso).

C’è una circolare ministeriale del 1969 (precisamente la n. 177 del 14 maggio di quell’anno) che così recita:
“Questo Ministero è venuto nella determinazione di disporre che agli alunni delle scuole elementari e secondarie di ogni grado e tipo non vengano assegnati compiti scolastici da svolgere o preparare a casa per il giorno successivo a quello festivo, di guisa che nel predetto giorno non abbiano luogo, in linea di massima, interrogazioni degli alunni, almeno che non si tratti, ovviamente, di materia, il cui orario cada soltanto in detto giorno”.

Anche se con l’autonomia scolastica le vecchie circolari (mai abrogate, tra l’altro) non hanno più un ruolo prescrittivo, la cosa più logica sarebbe quella di mettersi a tavolino e discutere con il consiglio di classe (o interclasse alle elementari), serenamente, senza far valere diritti inesistenti (trascorrere in pace la domenica … io, insegnante, lavoro sempre) ma semplicemente arrivare ad un accordo tra le parti. Ad esempio, se i “compiti della domenica” sono assegnati il mercoledì, nessuno impone di eseguirli per il lunedì successivo proprio la domenica.

Lei, che è anche psicologa, davvero crede che impedendo a Sua figlia di fare i compiti – con le conseguenti note di demerito che da cattiva madre ignora, senza pensare che l’effetto su Sua figlia non è esattamente edificante – la renda una bambina felice e vogliosa di imparare? Imparare cosa? A fare la furba? A sottrarsi ai doveri che, una volta cresciuta, non potrà evitare? E come affronterà la vita di domani che impone obblighi cui non possiamo sottrarci? Allora per Sua figlia non ci saranno note di demerito ma qualche calcio nel fondoschiena. Ha presente il mondo del lavoro? Magari no, magari è una libera professionista e fa quel che vuole. Magari non lo è e ha trovato il modo di vivere felice senza dover fare ciò che le sembra scomodo, insignificante e anche alquanto dannoso.

Lei è davvero convinta che siano i docenti a far odiare la scuola, con tutti quegli obblighi che minano il diritto alla felicità di bambini e bambine, torturati da orchi e streghe che nemmeno nelle fiabe?

Lei crede di essere ritenuta un’irresponsabile. A mio modesto avviso, Lei non lo è, non solo quello, almeno. Nemmeno la ritengo una cattiva madre. Credo solo che sia Lei, non gli orchi e le streghe, a vivere in una fiaba.

Quando ne uscirà, si renderà conto che interferire in modo irrazionale nelle questioni didattiche può solo essere deleterio per Sua figlia. Forse allora se ne pentirà. Ma di certo non avrà insegnato alla bambina a vivere assumendosi delle responsabilità. Non è aggirando gli ostacoli che si cresce ma superandoli.

Ah già, Lei è una psicologa. Non ha bisogno di lezioni.

(La lettera è stata pubblicata anche su Orizzonte Scuola)

[immagine da questo sito]

COMPITI A CASA: UNA PETIZIONE ON LINE PER ABOLIRLI

diritto allo studioIncredibile ma vero: una petizione on line per abolire i compiti a casa, per gli studenti della scuola dell’obbligo (a rigor di logica biennio compreso, quindi) – è stata lanciata non dai genitori stufi dei carichi di lavoro cui sono costretti i figli ma da un dirigente scolastico.

Maurizio Parodi è un preside genovese e in pochi giorni la sua petizione ha raccolto un largo consenso. Ciò non stupisce quanto le motivazioni addotte da questo zelante dirigente che, forse, vuole accattivarsi le simpatie dei genitori per non avere problemi.

Vediamo le motivazioni e le mie personali obiezioni:

1. Procurano disagi e sofferenze soprattutto agli studenti già in difficoltà, suscitando odio per la scuola e repulsione per la cultura. Di compiti non è mai morto nessuno, caro Parodi, e chi odia la scuola i compiti nemmeno si sforza di farli, glielo assicuro.

2. Avvantaggiano gli alunni che hanno genitori premurosi e istruiti … costringono spesso le famiglie a sostituirsi ai figli per completare i compiti a casa assegnati dagli insegnanti. Suvvia, cade anche lei nella trappola! I bambini e i ragazzi devono svolgerli da soli e, con la correzione in classe (che i docenti devono fare), possono rendersi conto degli errori e cercare di farne tesoro.

3. L’efficacia di questo studio domestico non è mai stata dimostrata da nessuna ricerca scientifica. Ok, ma non è mai stato dimostrato nemmeno il contrario.

4. I compiti a casa, inoltre, “favoriscono l’abbandono scolastico” che colpisce gli alunni più deboli. Questa poi… chi abbandona gli studi non lo fa perché sono troppe le attività da svolgere a casa, tanto non le svolge nemmeno; al contrario, rafforzare lo studio sugli argomenti trattati in classe con una certa autonomia nel pomeriggio aiuta a colmare le lacune o almeno ad evidenziare delle difficoltà che possono essere superate chiedendo ulteriori spiegazioni all’insegnante.

5. L’Ocse ha anche dimostrato che il carico eccessivo di lavoro domestico è controproducente. Ha dimostrato? E come? L’Ocse ha semplicemente rilevato che il carico di lavoro cui sono sottoposti gli studenti italiani (si parla di quindicenni, comunque) è superiore a quello dei “colleghi” europei. Ciò sulla base dei risultati di test che sono lontani anni luce dalla didattica che si pratica nelle nostre scuole, mentre nel resto d’Europa la pratica del teaching to the test è consolidata. Caro Parodi, pensi che negli USA lo stesso presidente Obama si è espresso a favore dell’abolizione dei test, considerati inaffidabili.

La ciliegina sulla torta sta, comunque, nell’affermazione finale di questo dirigente: «L’alternativa ai compiti è quella di insegnare ad imparare agli alunni in classe.» Non credo che gli insegnanti assegnino i compiti a casa e in classe leggono il giornale. Ma cosa dice?

[fonte: Repubblica.it]

MA DAVVERO GLI STUDENTI ITALIANI FANNO TROPPI COMPITI?

diritto allo studioRecentemente sono usciti i risultati di un’indagine svolta dall’Ocse sui compiti a casa, dalla quale i nostri studenti sono risultati i più sgobboni, con le loro 9 ore di media di studio domestico, di conseguenza i più tartassati dai docenti. Ma davvero i quindicenni italiani – tale, infatti, è la fascia d’età presa in considerazione dall’Ocse – hanno troppi compiti da svolgere a casa?

Chiariamo subito che, come ho già avuto modo di dire altrove (LINK), le attività domestiche andrebbero calibrate in base alle reali necessità degli studenti senza essere abolite del tutto, specialmente quando i diretti interessati sono i ragazzi che frequentano le scuole superiori. I compiti a casa, infatti, hanno lo scopo di consolidare i contenuti appresi e di sviluppare le competenze attraverso attività di vario tipo: un’analisi del testo, una relazione di laboratorio, degli esercizi di matematica o fisica o chimica, una traduzione o un’esercitazione in cui vengano applicate le regole apprese durante la lezione mattutina. Di tutto questo c’è bisogno, ma i compiti a casa non devono sostituire il lavoro dell’insegnante. Quindi, non bisognerebbe assegnare come attività domestica lo studio autonomo di un capitolo di storia oppure di un autore di letteratura. Casomai va benissimo proporre una schematizzazione oppure una mappa concettuale in cui fissare i contenuti appresi, al fine di consolidare il metodo di studio.

Detto questo, i risultati dell’indagine Ocse, seppur meritevoli d’attenzione, non tengono conto del “tempo scuola” cui sono abituati i nostri studenti . Vale la pena ricordare che in Italia gli adolescenti iscritti alle scuole secondarie di II grado soggiornano nelle aule scolastiche per 1000 ore di media ad anno scolastico, contro la media europea attestata attorno alle 700 ore. Questo perché i nostri curricoli sono più “corposi” e soprattutto obbligatori, mentre in molti paesi europei solo una parte del curricolo è prestabilito, lasciando gli studenti liberi di scegliere come integrarlo. Non è difficile da comprendere, dunque, che il maggior carico di lavoro cui sono sottoposti gli studenti italiani – in teoria, in pratica molto spesso i compiti vengono svolti male se non addirittura copiati – dipende dal numero delle ore e delle discipline scolastiche presenti nel loro piano di studi.

C’è un’altra considerazione da fare: quando si parla di “compiti” non si può pensare ai soli esercizi da svolgere per rafforzare le competenze ma si deve far riferimento allo “studio” in senso lato. Anche dal punto di vista linguistico spesso si intende la parola come sinonimo di “dovere” – è compito tuo – quando invece la si dovrebbe interpretare seguendo l’etimologia che ci riporta al verbo latino completare (più esattamente complitare, che ha la stessa radice di compleo, “completare, portare a termine” ) ad indicare un’attività di “completamento”, appunto, rispetto al lavoro fatto a scuola.
Purtroppo i nostri studenti, specie quelli più grandi, sono convinti che i compiti siano assegnati per sfizio personale dell’insegnante e che li debbano svolgere, poco importa se male o bene, per farlo contento. Se a questa convinzione aggiungiamo il deleterio utilizzo di internet e il proliferare di siti cui attingere per svolgere agevolmente – diciamo pure copiare – i compiti assegnati, comprendiamo bene che questa attività serve a poco. Studiare, invece, è un’operazione che impegna lo studente in prima persona e soprattutto significa, sempre stando all’etimologia, impegno.

Alla luce di tutte queste considerazioni ben si comprende che le 9 ore di media sono adeguate al tipo di lavoro che lo studente deve svolgere. Certamente non è condivisibile l’opinione espressa dal ministro del MIUR Stefania Giannini che ha criticato “l’insana abitudine” di assegnare compiti a casa riconducendola ad una didattica frontale la quale, a suo dire, va superata. Ma che c’entra la didattica frontale, mi domando. Se, ad esempio, porto i ragazzi al cinema e poi chiedo, come attività domestica, di produrre una scheda d’analisi del film visto, non ho fatto didattica frontale. Se dopo una visita d’istruzione assegno una relazione sull’esperienza, il “compito” non è in relazione alla didattica frontale. Se un collega di Fisica richiede la stesura della relazione su un esperimento eseguito in laboratorio, la sua didattica è tutt’altro che frontale, visto che soggetti attivi sono i ragazzi stessi, pur seguendo le sue istruzioni.

Il ministro Giannini, inoltre, prospetta la fine dei compiti a casa grazie all’organico funzionale. In sintesi: dato che il ministero deve assumere almeno 150 precari – glielo chiede l’Europa, naturalmente, altrimenti se ne guarderebbe bene – e dato che con il riordino degli istituti di istruzione secondaria di II grado molte cattedre sono state tagliate, quindi non ci sarebbe bisogno di tutte queste assunzioni, qualcosa da far fare ai neoimmessi in ruolo bisogna pur trovarla. Ecco che la scuola potrebbe venire incontro ai ragazzi in difficoltà con delle lezioni supplementari, svolte di pomeriggio e gratuitamente dal surplus di personale docente, all’interno dello stesso istituto scolastico. La parola magica di questo governo è stata fin da subito “scuola aperta”. Apriti scuola al posto di Apriti Sesamo, insomma, peccato non ci sia alcun tesoro da scoprire. Bisognerebbe, poi, chiedere agli studenti quanto siano felici di barattare i compiti a casa con un maggior numero di ore da trascorrere a scuola

Secondo alcuni il progetto del ministro potrebbe servire ad abbattere quelle “disparità socio-economiche” che renderebbero, a detta dell’Ocse, l’assegnazione dei compiti a casa poco democratica. Personalmente non concordo con l’Ocse perché, per esperienza diretta, almeno per ciò che riguarda i quindicenni, posso affermare che spesso proprio i ragazzi meno avvantaggiati sono più bravi, hanno maggior senso del dovere, vogliono farcela e si applicano nello studio anche senza controlli da parte dei genitori, costretti a lasciarli soli a casa nel pomeriggio. I “figli di papà”, invece, trovano mille scuse per non fare i compiti, sono meno motivati e sanno che, nella peggiore delle ipotesi, possono contare sulla disponibilità dei genitori ad inscriverli in una scuola privata dove ottenere, senza troppa fatica, il sospirato diploma.
Ovviamente queste sono considerazioni generali perché i casi singoli possono essere molto diversi.

Rimanendo in tema, prima dell’inizio delle vacanze natalizie, giocando d’anticipo una dirigente ha “consigliato” ai docenti di non infierire, lasciando liberi i ragazzi di passare la pausa natalizia senza farli sentire ostaggio dei compiti. Ida Iannelli , a capo dell’istituto comprensivo “Salvemini” di Taranto, ha infatti pubblicato una circolare che recitava: “In occasione delle festività natalizie […] rivolgo l’invito di non assegnare compiti al fine di far trascorrere anche agli alunni e alle famiglie un periodo di tranquillità”.(LINK).

Non mi resta che rivolgere agli studenti e alle famiglie una domanda: le vacanze sono state davvero “un periodo di tranquillità”? In attesa, beninteso, di una ripresa delle lezioni piuttosto intensa, dato che nella maggior parte delle scuole il primo quadrimestre sta per concludersi.

QUANTO STUDIANO I NOSTRI RAGAZZI?

La domanda avrebbe, nella più probabile delle ipotesi, una sola risposta: troppo poco. Certo, si deve prendere in considerazione il fatto che ci sono studenti molto bravi e coscienziosi che studiano anche troppo, però ogni giorno ci troviamo di fronte studenti svogliati, annoiati, disinteressati che non hanno intenzione di spendersi troppo nell’esecuzione dei compiti e nello studio domestico. Generalizzare non è mai bene, comunque.

In un report dell’Istat, “La scuola e le attività educative”, emerge un dato significativo: il 38,3% delle studentesse si impegna molto nello studio contro una quota assai più modesta di maschi (24,9%) che perlopiù tendono a non sprecarsi troppo, accontentandosi della sufficienza (il 21,3% rispetto al 14,1% delle femmine). I maschi, inoltre, sono più settoriali delle femmine perché tendono ad impegnarsi di più nello studio delle materie che preferiscono (il 13,1% rispetto al 9,4%).

Nello stesso report si quantifica lo studio domestico, a seconda dell’ordine di scuola frequentato: per i bambini delle elementari (scuola primaria) il numero medio di ore giornaliere passate sui libri è di 1 ora e 46 minuti che diventano 2 ore e 9 minuti per gli alunni iscritti alla secondaria di primo grado (scuola media).

Alle superiori (secondaria di secondo grado) si studia di più, almeno si dovrebbe. Ma il tempo dedicato alle attività domestiche cambia a seconda dell’indirizzo di studi prescelto: chi frequenta il liceo dedica allo studio circa 40 minuti in più al giorno (2 ore e 49 minuti) rispetto a chi frequenta un istituto tecnico o professionale (circa 2 ore).

Sui dati emersi mi sento in dovere di fare qualche commento.
Innanzitutto l’apprendimento non ha tempi prefissati: c’è chi sa concentrarsi nello studio e nell’esecuzione dei compiti, senza cedere a tentazioni varie (pc, telefonino, tv, merenda …) e necessita di minor tempo; chi, invece, non sa organizzarsi lo studio, non ha un posto tranquillo dove la concentrazione è assicurata (chi riuscirebbe a studiare in un luogo facilmente raggiungibile da pianti di fratelli minori, urla materne, cartoni animati alla televisione, chiacchierate telefoniche delle sorelle maggiori con il fidanzato?) e tergiversa perché ogni altra cosa da fare è senz’altro preferibile, non solo rischia di perdere più tempo ma anche di sprecarne la maggior parte senza concludere nulla.

Non parliamo poi del metodo di studio: quando arrivano al liceo, per esempio, gli studenti sono convinti di averne uno infallibile … peccato, però, che spesso quel metodo sia inadeguato. Gli insegnanti non sono dei dittatori che impongono la loro volontà, semplicemente danno dei suggerimenti sul metodo invitando gli studenti non brillanti a tentare qualche strategia diversa perché, evidentemente, gli strumenti utilizzati non sono quelli giusti. D’altra parte, non pretendono certo che i consigli debbano essere seguiti minuziosamente da quegli allievi che, pur seguendo metodi diversi, ottengono risultati soddisfacenti.

Un altro fattore condiziona fortemente lo studio domestico, nel senso che accorcia o allunga notevolmente i tempi: l’attenzione in classe. Chi segue le lezioni attentamente e prende appunti (sto parlando sempre dei più grandi, cioè quelli che frequentano la scuola superiore) sarà notevolmente agevolato nell’esecuzione delle attività domestiche e con ogni probabilità perderà meno tempo e memorizzerà meglio i contenuti appresi.

In conclusione, non bisogna sottovalutare i fattori individuali. Se qualcuno mi chiedesse quante camicie stiro in un’ora, risponderei quattro. Ma so perfettamente che qualcun altro ne stirerebbe cinque o anche solo tre. Dipende dagli strumenti a disposizione (non ho un ferro altamente tecnologico!) e dalla ricerca o meno della perfezione. A me piace stirare bene esattamente come ad alcuni studenti piace studiare bene. Non a tutti, però.

[fonte: Tuttoscuola.com; immagine da questo sito]

COMPITI A CASA: IL MINISTRO PROFUMO DÀ RAGIONE AI GENITORI FRANCESI

Ha fatto davvero notizia la protesta dei genitori francesi contro i compiti a casa per i bambini delle elementari. La discussione ora si è allargata a molti siti giornalistici e non. Anche il ministro Profumo si è sentito in dovere di dire la sua. E ha dato ragione alle mamme e ai papà d’Oltralpe.

«Una versione di latino può essere anche copiata da internet. Credo sia più interessante far lavorare i ragazzi con strumenti logico-deduttivi. O farli uscire da casa per seguire un progetto organizzato dalla scuola. Sì, sono d’accordo nel dare meno compiti a casa», così commenta.
Mi permetto di osservare che la protesta francese riguarda i bimbi che frequentano le primarie. Che c’entrano le versioni di Latino? E poi, non pare che abbia scoperto l’acqua calda: sono anni che ripeto quanto sia inutile dare dei brani da tradurre a casa quando si sa benissimo che i ragazzi sul web trovano le traduzioni già pronte. E poi, cosa significa “far lavorare i ragazzi con strumenti logico-deduttivi”? Forse non lo facciamo già noi insegnati? Quanto ai progetti, in tutte le scuole di ogni ordine e grado ce ne sono molti, troppi. Alcuni decisamente inutili anche se la maggior parte è di certo interessante. Inoltre mi permetto di osservare che “farli uscire da casa per seguire un progetto organizzato dalla scuola” – cosa che già si fa in moltissime scuole, specialmente nell’ambito degli scambi – sarebbe improponibile nei pomeriggi liberi, al posto delle attività domestiche. Gli allievi, specie quelli delle superiori, si ribellerebbero perché, si sa, in nome della cultura si fanno anche sacrifici, ma rigorosamente durante l’orario scolastico. E poi ci chiedono comunque di terminare i programmi, di presentarsi agli scrutini con “un congruo numero di valutazioni”.

«Dobbiamo insegnare a fare gruppo, ed evitare che gli studenti si isolino nella loro cameretta. D’altronde – aggiunge il ministro – credo che in classe imparino solo una parte delle loro competenze. Il resto arriva da altri input. Piuttosto, tra i banchi, si cominci a pensare di preparare i ragazzi ai test di ingresso delle università», prosegue il ministro. Quindi, dovremmo seguirli nei pomeriggi in attività che diano loro degli input (caro ministro, qualche idea, please!), costringerli ad uscire dalle aule scolastiche senza obbligarli ad isolarsi entro le mura domestiche, trovare qualcosa di interessante da proporre (come fosse facile!) e prestare un servizio gratuito. Immagino che il ministro non possa elargire fondi per pagare le attività extrascolastiche, ovvero quelle che per i docenti sono in eccedenza rispetto all’orario. Ma andiamo avanti.
Alle superiori dovremmo, dunque, preparare gli studenti a superare i test d’ingresso per l’università. Un training to the test, insomma, in aggiunta,verosimilmente, a quello che già molti fanno per i test InValsi. E all’Esame di Stato la commissione cosa chiede? I contenuti presenti nel programma oppure si accerta che i maturandi abbiano la preparazione adeguata per l’ingresso all’università? E negli istituti tecnici o professionali in che cosa devono essere particolarmente istruiti i ragazzi che si apprestano ad entrare nel mondo del lavoro? A fare la fame perché il lavoro non c’è?

«Visto che, finalmente, la scuola si è lasciata dietro la polvere della tradizione – continua il ministro Profumo – ora è il caso di pensare anche ad un modello nuovo dei compiti a casa. Sono cambiati i contorni del mondo dell’istruzione, possiamo quindi cambiare anche le relazioni». Che possono essere altro dalla traduzione, la versione in prosa, la risoluzione di un problema o il capitolo di storia. Profumo pensa forse che un modello nuovo di compiti a casa sarebbe più gradito? E a scuola che si fa? Si continua a tradurre, risolvere problemi, studiare la storia chiedendo scusa se siamo così tradizionali da non riuscire nemmeno a modificare un po’ la didattica?

Insomma, a me pare che sia facile parlare. Ma dalle parole a i fatti ce ne vuole. E che dire di un po’ di formazione per gli insegnanti? Se ne parla ma alla fine non si fa nulla.

[fonte Il Messaggero]

COMPITI A CASA? NO, GRAZIE. I GENITORI FRANCESI SI RIBELLANO

Ogni tanto ne sentiamo parlare. I compiti a casa sono scomodi, soprattutto per i genitori. Spesso si passano interi pomeriggi alla scrivania con i figli, specie se non particolarmente brillanti, e quella dei compiti per casa è considerata una vera schiavitù. Se poi gli insegnanti li assegnano anche per le vacanze (Natale, Pasqua, estate .. non importa, le vacanze sono vacanze ecchecaspita!), intere famiglie si sentono prigioniere entro le mura domestiche perché i figli devono lavorare.

E che dire dell’insana abitudine di sostituirsi ai figli – specie se piccoli, diciamo quelli che frequentano le elementari – nell’esecuzione del lavoro domestico così si fa più in fretta e una passeggiatina magari la si riesce a fare? Certo, i genitori credono di fare pochi danni, nella convinzione che prima o poi i bambini raggiungano una completa autonomia. Ma amare sorprese riserva il prosieguo degli studi …

Ieri al TG1 ho sentito che sempre più diffuso, in particolare per i ragazzi più grandi, è il ricorso a dei tutor disponibili su alcuni siti Internet. Oppure particolarmente affascinante, a quanto pare, è l’idea di fare i compiti assieme ai compagni via skype. Mentre una volta ci si incontrava a casa dell’uno o dell’altro, ora si sta comodamente seduti davanti al proprio pc, nella propria cameretta, immortalati da una telecamera e dotati di microfono al posto dell’obsoleta cornetta del telefono. E così le ore che gli studenti passano davanti al computer si moltiplicano, anche se con le più buone intenzioni.

Tornando alle famiglie e alla loro scarsa predisposizione ad accogliere gli obblighi scolastici dettati dagli insegnati, come se questi ultimi si divertissero a fare i sadici e basta, in Francia è in atto una vera e propria ribellione: almeno per le prossime due settimane, saranno i genitori a chiedere ai propri figli di non svolgere alcuna attività domestica. Cartelle chiuse oltre l’orario scolastico. Come potremmo chiamarlo? Lo sciopero degli zaini?

Questo singolare boicottaggio è stato ideato dalla Fcpe (la principale associazione che raccoglie i genitori dei ragazzi iscritti alle scuole pubbliche transalpine) con lo scopo di protestare contro “l’inutilità e l’ingiustizia” dei compiti a casa assegnati ai bambini che frequentano gli istituti elementari francesi. La protesta è partita da un blog e, com’era facile immaginare, ha raccolto già 22.000 adesioni e ha sviluppato un acceso dibattito sui quotidiani francesi.

I contestatori affermano che non solo i benefici degli esercizi scolastici a casa non sono mai stati provati scientificamente, ma che i compiti sono spesso causa di profondi litigi tra genitori e figli. Senza contare che i compiti sarebbero un motivo di discriminazione tra i bambini più fortunati che possono contare sull’aiuto di qualche familiare in casa e quelli che invece devono arrangiarsi da soli.

Anche se lo scopo di questa iniziativa è quello di organizzare due settimane senza compiti a casa e di immaginare assieme altri modi per comunicare il lavoro fatto in classe e anche se il Francia esiste una legge del 1956 che vieta agli insegnanti di assegnare compiti a casa ai bambini delle scuole primarie – legge che è aggirata dai maestri che assegnano delle attività da svolgere tenendo impegnati i bambini per più di un’ora la sera – credo che lo “sciopero” serva a ben poco se i genitori sono convinti che i compiti siano inutili e ingiusti. Nel momento in cui non si fidano dell’insegnante, come possono sperare di dar vita ad un dibattito sereno su questo argomento?

[notizia de Il Corriere]