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#DANTE700: LE DONNE NELLA COMMEDIA DANTESCA

PREMESSA

Sta per concludersi l’anno dantesco in ricordo del settecentesimo anniversario della morte del poeta fiorentino. Non si può dire che questo evento sia passato inosservato. Mai come quest’anno sono stati pubblicati volumi di vario genere sulla vita e sulle opere dell’Alighieri. Nel mio piccolo voglio condividere con i lettori e le lettrici un mio “studio” sulle presenze femminili nella Commedia. Di seguito trovate la presentazione mentre i capitoli che compongono lo studio saranno pubblicati nella sezione “Pagine” di questo blog (sulla barra laterale, alla voce “Letteratura italiana”, sezione dedicata a Dante Alighieri).

BUONA LETTURA!

    

Tomba di Dante – Ravenna

Non tutte le donne nominate nella Commedia occupano uno spazio considerevole: alcune sono protagoniste altre solo comparse, ad alcune il poeta dà voce mentre di altre riporta solo i nomi. Sono poche numericamente (42 a fronte di circa 500 uomini, fra personaggi che interagiscono con Dante o solamente citati nell’opera) ma alcune hanno una storia che merita di essere raccontata. Non solo, possiamo dire che certe protagoniste, come Francesca da Rimini, Pia de’ Tolomei e Piccarda Donati, devono la loro fortuna imperitura proprio ai versi danteschi. Talvolta si tratta di storie miste a leggende che ancora oggi sopravvivono nelle tradizioni popolari, come il “Salto della Contessa”: una rievocazione storico-medievale che si tiene a Gavorrano in Maremma, ispirata alla tragica vicenda della senese Pia, alla quale la cantautrice Gianna Nannini ha dedicato un musical.

     Che dire di Paolo e Francesca, condannati all’abbraccio eterno nel cerchio dei lussuriosi? La loro storia è documentata, non è certo una leggenda anche se ha ispirato i cantastorie successivi. Un esempio è “La baronessa di Carini” che ha come protagonista Laura Lanza, costretta a sposare un uomo che non ama e punita con la morte assieme all’amante Ludovico Vernagallo. All’amor non si comanda o, come dice Dante attraverso Francesca, Amor ch’a nullo amato amar perdona

     Ci sono storie di donne che, pur sottratte con la forza al convento e costrette al matrimonio, sono rimaste sempre fedeli nel cuore a colui che avevano scelto come sposo: Gesù Cristo. È la storia di Piccarda Donati che, sottratta alla dolce chiostra, non serba rancore nei confronti di chi le ha usato violenza perché nella beatitudine ha ritrovato il vero Amore. Simile l’esperienza di Costanza d’Altavilla che viene rivissuta attraverso le parole di Piccarda.

     Dante è fiorentino e in più parti del poema fa riferimento alla sua città, perlopiù con un tono di rimprovero. Di certo non ha mai perdonato i suoi concittadini per l’esilio subito e continua a sperare in un ritorno per meriti poetici. Come sappiamo, a Firenze non metterà più piede. La città è dipinta come corrotta, abitata da gente senza scrupoli e, a causa della continua lotta tra fazioni, non riesce a trovar pace. Inevitabilmente questo “luogo di corruzione” è abitato da donne altrettanto disdicevoli. Nella, moglie di Forese Donati, è una delle poche a mantenere dignità e decoro. Come può evitare il poeta di fare il confronto con le fiorentine dei tempi passati? Ecco che l’elogio di Cacciaguida, nel XV canto del Paradiso, rende merito alle donne modeste, felici e fortunate di una Firenze ancora racchiusa entro le antiche mura.

     C’è anche chi, pur avendo una storia da raccontare, è solo un’ombra silenziosa, assieme ad altre, nel cerchio dei lussuriosi: è la regina cartaginese Didone di cui Dante ricorda solo la colpa di non essere rimasta fedele al marito Sicheo e di essersi uccisa per amore (di Enea, naturalmente). Forse l’infelix Dido avrebbe meritato una “particina” nel poema dantesco e poi, come Virgilio ci insegna, alla fine era stata perdonata da Sicheo… la condanna di Dante, invece, è senza appello. Nella ricostruzione della sua storia, vediamo come la lussuria di Didone sia in un certo senso incolpevole: in fondo la regina fu vittima di un complotto tra dee – Venere e Giunone – che la spingono tra le braccia dell’eroe troiano. Avrebbe forse meritato un posto nel Limbo tra gli Spiriti Magni. O forse avrebbe potuto ottenere un’altra collocazione se l’autore della Commedia avesse inventato un luogo dove premiare gli afflitti e sfortunati amanti.

     Molte donne nominate nel poema appartengono ai miti classici (le Arpie e le Furie, per esempio), altre non hanno identificazione certa. È il caso di Matelda che il pellegrino incontra nell’Eden, prima di riunirsi finalmente a Beatrice. Presente nei canti finali del Purgatorio, a partire dal XXVIII, ha il compito di condurre le anime a purificarsi nei fiumi Lete ed Eunoé. Calata in un paesaggio rigoglioso paragonato a quello in cui vivevano gli uomini dell’età dell’oro, rappresenta la perfetta felicità che Dio aveva riservato al genere umano nel paradiso perduto a causa del peccato originale. Sebbene Matelda non sia identificabile con nessuna donna storicamente esistita (vengono fatte varie ipotesi ma nessuna è prevalente), come personaggio ha un forte significato allegorico: ella rimanda alla vita contemplativa e alla giustizia, a lei è riservato il compito di “condurre” Dante da Beatrice di cui precede l’entrata in scena che avviene nel XXX canto del Purgatorio.

     Si può dire che Beatrice sia la vera protagonista della vita e dell’opera di Dante Alighieri? Certamente sì, perché senza di lei non sarebbe stata nemmeno scritta la Commedia. Non importa se stiamo parlando di un personaggio letterario, al di là dell’identificazione con la Bice Portinari vicina di casa del poeta. Quello che conta è il ruolo che la donna ebbe nell’evoluzione poetica di Dante e per questo è necessario partire dalla Vita Nuova che ripercorre la storia d’amore e di poesia indispensabili per comprendere la genesi della Commedia e il passaggio dall’amor alla caritas che il poeta compie nei suoi versi, distinguendosi da tutti i poeti precedenti. Se alla fine dell’opera giovanile l’autore non avesse espresso la volontà di trattare della donna amata in modo più degno, sperando di dicer di lei quello che mai non fue detto d’alcuna, non sarebbe probabilmente mai nato il capolavoro dantesco. Infatti, alla fine rivolge una preghiera a Dio affinché la sua anima se ne possa gire a vedere la gloria de la sua donna, cioè di quella benedetta Beatrice, la quale gloriosamente mira ne la faccia di colui qui est per omnia secula benedictus.

    Non solo la sua anima ma anche il suo corpo giungerà al cospetto della benedetta Beatrice. L’accoglienza non sarà delle migliori ma, dopo aver fatto comprendere al poeta i propri errori (il famoso traviamento), la donna beata sarà per Dante una guida sicura attraverso i cieli, con il suo sguardo e con il sorriso lo aiuterà a superare i limiti umani per comprendere i misteri di Dio. Alla fine, ripreso il suo posto nella Candida Rosa, rivolgerà al poeta l’ultimo sorriso affidandolo a San Bernardo per la parte conclusiva del viaggio. Ormai, grazie alla salus conquistata per mezzo di Beatrice, Dante è pronto alla contemplazione de l’amor che move il sole e le altre stelle.

INTRODUZIONE

CAPITOLO 1: LE FIORENTINE

CAPITOLO 2: FRANCESCA DA RIMINI

CAPITOLO 3: DIDONE

CAPITOLO 4: PIA DE’ TOLOMEI

CAPITOLO 5: MATELDA

CAPITOLO 6: PICCARDA DONATI E COSTANZA D’ALTAVILLA

CAPITOLO 7: BEATRICE

PERCHÉ LEGGERE (ANCORA) “I PROMESSI SPOSI” A SCUOLA

Non è di certo una novità: sono molti anni che esperti e non si chiedono se non sia il caso di abolire la lettura del romanzo di Alessandro Manzoni a scuola. Una lettura obbligatoria da ben 147 anni e che per lo più annoia gli studenti e, aggiungo io, mette in crisi molti docenti che o non sanno come “trattare” didatticamente questo romanzo o non sono capaci di farne una lettura critica sì, ma anche un po’ innovativa.

L’ultima provocazione arriva dalla rivista Pagina 99 che nell’edizione del 19 maggio scorso mette in bella mostra sulla copertina un titolo molto perentorio: “Liberiamo gli studenti dai Promessi Sposi”. E in modo altrettanto perentorio aggiunge nel sommario: “È arrivato il momento di cambiare”. Di questo avviso sembrano essere professori come Giunta e Gardini e scrittori come Camilleri.

Già due anni fa l’allora Presidente del Consiglio Matteo Renzi aveva addirittura dichiarato che la lettura dei Promessi Sposi dovrebbe essere abolita per legge. Però nel discorso rivolto alla platea di studenti universitari della Luiss School of government, aveva aggiunto: «una volta proibiti diventano affascinanti, e si rivelano essere un capolavoro assoluto».

Ora, io non concordo con Pagina 99 e gli “esperti” citati né con Renzi che maldestramente vorrebbe appellarsi al fascino del proibito. Se il romanzo di Manzoni venisse tolto dai programmi scolastici nessun giovane si avvicinerebbe alla lettura delle avventure di Renzo Tramaglino e Lucia Mondella per puro diletto. Senza contare che I Promessi Sposi non sono facilmente leggibili senza la guida del docente o dei curatori – a volte eccellenti – delle edizioni scolastiche del romanzo.

La scorsa estate, accingendomi a insegnare nuovamente, dopo qualche anno di pausa, I Promessi Sposi in una classe seconda liceale, anch’io mi sono posta una domanda: ha ancora senso leggere Manzoni a scuola? La mia risposta è stata senza indugio affermativa ma immediatamente seguita da un altro quesito: che cosa può rendere davvero avvincente – se non proprio appassionante – la lettura scolastica di questo romanzo così antico? Ho cercato di spiegare perché, a mio avviso, è ancora importante leggere Manzoni a scuola nella prefazione del libro di cui i miei allievi ed io stiamo curando la pubblicazione:

Perché si studia ancora a scuola il romanzo di Alessandro Manzoni? È una domanda che spesso gli studenti – e anche qualche docente – si pongono. Forse perché I promessi sposi è il romanzo per antonomasia, racchiude in sé ogni aspetto tipico della narratologia, perché imparando a conoscerlo, ad analizzarlo e ad apprezzarlo ci si impossessa di una chiave di lettura universale, una specie di passepartout che permette poi di affrontare la lettura di qualsiasi altra opera narrativa.
Ma al di fuori degli schemi scolastici tradizionali, I promessi sposi è un romanzo avvincente, con la sua galleria di personaggi e situazioni, con la descrizione, a volte garbatamente ironica, di caratteri differenti e debolezze umane che è possibile trovare, al di là della vicenda particolare, in ogni tempo e luogo.
[…] Seguendo le vicende di Renzo, Lucia e tutti i personaggi che animano il capolavoro manzoniano, abbiamo la possibilità di “metterci nei loro panni”, di prendere le parti di chi agisce nel modo a noi più congeniale, di pensare a cosa avremmo fatto noi in una certa situazione. Ecco, allora, che qualche spunto per una lettura più attiva del romanzo ci può essere, facendo anche un po’ di esercizio di scrittura, non semplicemente quella scolastica, quella del “temino” fatto per bene, formalmente corretto e rispondente alla traccia. Una scrittura creativa senza timore di andare “fuori” perché quello che gli allievi scriveranno, lo cercheranno dentro di loro sulla scia delle emozioni che questa lettura susciterà.

Così, capitolo dopo capitolo, sono nati gli spunti per “rivedere” le avventure dei due protagonisti attraverso le loro stesse testimonianze – a volte ironiche e scherzose, talvolta anche caricaturali per certi personaggi come don Abbondio – restituite attraverso varie tipologie di testi che gli allievi, divisi in gruppi, hanno elaborato: articoli di cronaca, interviste, interviste incrociate, pagine di diario, lettere … e non mancano i luoghi, anch’essi protagonisti a loro modo di questo romanzo. Sono nate così le “guide turistiche” del palazzotto di don Rodrigo, del castello dell’Innominato, del convento di Pescarenico, senza tralasciare i consigli per una bella gita in quel ramo del lago di Como che volge a mezzogiorno.

Un piccolo assaggio… BUONA LETTURA!

INTERVISTA (IMPOSSIBILE) A DON ABBONDIO

[fonti: tecnicadellascuola.it; iltempo.it; immagine da questo sito]

LA PROF AUGURA A TUTTI BUONE FESTE

Auguro a tutti di passare un periodo sereno con le persone che amate, dimenticando almeno per un po’ che stiamo vivendo un periodo difficile. Ho trovato una bella poesia di Salvatore Quasimodo che sembra molto attuale, anche se scritta qualche decennio fa.

«Natale» di Salvatore Quasimodo

Guardo il presepe scolpito,
dove sono i pastori appena giunti
alla povera stalla di Betlemme.
Anche i Re Magi nelle lunghe vesti
salutano il potente Re del mondo.
Pace nella finzione e nel silenzio
delle figure di legno: ecco i vecchi
del villaggio e la stella che risplende,
e l’asinello di colore azzurro.
Pace nel cuore di Cristo in eterno;
ma non v’è pace nel cuore dell’uomo.
Anche con Cristo e sono venti secoli
il fratello si scaglia sul fratello.
Ma c’è chi ascolta il pianto del bambino
che morirà poi in croce fra due ladri?

buone-feste
[IMMAGINE DA QUESTO SITO]

Mastro-don Gesualdo, la religione della roba.

Lo ribloggo a favore dei miei studenti di quinta (sperando che lo leggano!).
Grazie Mara.

Paveseggiando

Mastro don gesualdo

“Suonava la messa dell’ alba a San Giovanni; ma il paesetto dormiva ancora alla grossa. […] Tutt’ a un tratto, nel silenzio, s’ udì un rovinio , la campanella squillanite di Sant’ Agata che chiamava aiuto, usci e finestre che sbattevano, la gente che scappava fuori in camicia.”

                                                                                      [Mastro-don Gesualdo- Giovanni Verga]

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VE LO RACCONTO IO “IL” VERGA

stupidario maturitàRaduno insieme i tre grandi romanzieri, accomunati da un’unica infelice sorte; quella di comparire nei programmi d’esame insieme alla lettura integrale delle loro opere. Il Verga con I Malavoglia, Svevo con La coscienza di Zeno e Pirandello, solitamente, con Il fu Mattia Pascal.
Trattandosi di prosatori, lo studio dei loro testi, nonché la loro interpretazione, risulta abbastanza abbordabile dagli studenti.

Ho detto “abbastanza”, sia ben chiaro.

L’elegante termine “pizzoso” riferito a Verga ha origine dall’esclamazione che sgorga spontanea ogniqualvolta gli studenti sentono nominare I Malavoglia: “Uffa, che pizza!”.
Giovanni verga era “un siciliano mal ambientato a Milano perché siciliano”: così se ne torna a casa “dove si sente molto più importante e si mette a scrivere cose sulla vita dei pescatori poveri che non potranno mai, per colpa dell’ostrica e del suo ideale, diventare ricchi e nobili come lui”.

Nei Malavoglia l’argomento di particolare difficoltà è quello dei “lupini”. Tutti li nominano, ma cosa siano nessun lo sa:

-Commissaria: “Che cos’è la Provvidenza nei malavoglia?”
-Esaminanda: “Barca”
-Commissaria: “Ssssì…E poi? Chi c’era sulla Provvidenza?”
-Esaminanda: “Bastianazzo”
-Commissaria: “Va bene, ma cosa trasportava la Provvidenza oltre Bastianazzo?”
-Esaminanda: “Lupini”
-Commissaria: “(Sospiro) Allora?! Che succede?”
-Esaminanda: “Naufragio”
-Commissaria: “Oh! E Bastianazzo?”
-Esaminanda: “Annega”
-Commissaria: “E i lupini?”
-Esaminanda: “Morti tutti”

Un altro diciottenne invece affermò trionfante che sulla Provvidenza “c’era un carico di lupare”, svelando in tal modo gli oscuri traffici del boss ‘Ntoni, il quale aveva un figlio che si chiamava Bastianazzo “perché era grande e grosso come un bastione”.
Come dei Promessi Sposi, anche dei Malavoglia è richiesta all’esame la lettura completa; ma pure in questo caso gli studenti barano. Si comprano un “bignamino”, leggiucchiano qualche riassunto qua e là apprendendo superficialmente. E i risultati si vedono.
Un giorno che, stanca di sentirmi ripetere sempre le stesse cose, domandai di essere edotta sul personaggio dei Malavoglia nomato Piedipapera, venni scambiata per una tipa in vena di scherzi: “Ma prof.! Mi sta prendendo in giro, lo so! Piedipapera è un personaggio dei Puffi!”. Accennando invece in classe a Tigre reale, storia della passione morbosa tra una donna sensuale e un giovane senza nerbo, mi capitò di sentirmi porre la domanda: “Ma come facevano, se lui era senza nerbo?”

Tratto dallo “Stupidario della maturità” di Mitì Vigliero Lami LINK

DANTE NON SI TOCCA. FRANCESCO PROFUMO IGNORA LE RICHIESTE DI GHERUSH92

Oggi pomeriggio, durante il question time trasmesso in diretta da Montecitorio, la parlamentare del PdL Paola Frassinetti ha posto un’interrogazione al ministro del MIUR, Francesco Profumo, riguardo alla proposta avanzata da Gerush92 (sedicente organizzazione di ricercatori e professionisti – il cui ruolo non è stato ben definito – che gode dello status di consulente speciale con il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite e che svolge progetti di educazione allo sviluppo, diritti umani, risoluzione dei conflitti) di togliere dai programmi delle scuole italiane la Divina Commedia di Dante Alighieri. come credo si sappia, l’accusa mossa al poema del poeta fiorentino è quella di antisemitismo, islamofobia ed omofobia. In una parola: razzismo.

Il ministro dell’Istruzione ha ribadito l’importanza dello studio del poema dantesco nel percorso formativo degli studenti italiani. Profumo ha anche citato i nuovi regolamenti compresi nella riforma dell’istruzione secondaria di II grado, per quanto riguarda acquisizione delle competenze da parte degli studenti, in particolare laddove si esplicita che il patrimonio culturale condiviso, il fondamento comune del sapere che la scuola ha il compito di trasmettere alle nuove generazioni, affinché lo possano padroneggiare e reinterpretare alla luce delle sfide sempre nuove lanciate dalla contemporaneità, lasciando nel contempo all’autonomia dei docenti e dei singoli istituti ampi margini di integrazione e, tutta intera, la libertà di poter progettare percorsi scolastici innovativi e di qualità, senza imposizioni di metodi o di ricette didattiche. Ciò ha comportato la rinuncia ai cataloghi onnicomprensivi ed enciclopedici dei “programmi” tradizionali. Dante Alighieri e la sua Commedia, secondo il ministro, fanno irrinunciabilmente parte di quel patrimonio culturale condiviso. Insomma, Dante non si tocca.

Soddisfatta della replica del ministro, la Frassinetti ha concluso l’intervento citando in parte il contenuto di un post pubblicato sul suo blog:

Per l’Italia e per l’Europa Dante Alighieri rappresenta un pilastro fondamentale sul quale si basa la nostra cultura e la nostra identità. I giovani non possono che trarre vantaggi dalla lettura della Divina Commedia che trasmette valori immutabili e fondamentali. Il fatto che consiglieri di un ente pressoché sconosciuto che opera nel campo della cooperazione sociale si siano permessi di criticare lo studio di Dante nelle nostre scuole è un’insopportabile ingerenza. Non voglio neanche entrare nel merito dell’argomento perché mi sembrerebbe offensivo per le nostre intelligenze, voglio solo ribadire che questi signori sarebbe meglio che si occupassero degli ambiti di loro competenza. Siamo noi semmai a doverci preoccupare che il consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite abbia consulenti così poco competenti ma prendendo spunto proprio dal nostro Dante diciamo: ” non ti curar di loro ma guarda e passa….”.

VIA LA “DIVINA COMMEDIA” DAI PROGRAMMI SCOLASTICI! LA PROPOSTA DI «GHERUSH92» PERCHÉ DANTE SAREBBE ANTISEMITA, ISLAMOFOBO E OMOFOBO


Leggo la notizia e ho bisogno di stropicciarmi per bene gli occhi. Ad operazione conclusa, ahimè mi rendo conto di aver letto giusto. Secondo alcuni componenti della «Gherush92», organizzazione di ricercatori e professionisti che gode dello status di consulente speciale con il Consiglio Economico e Sociale delle Nazioni Unite e che svolge progetti di educazione allo sviluppo, diritti umani, risoluzione dei conflitti, il poema dantesco, per meglio dire il DIVIN POEMA, andrebbe tolto dai programmi scolastici perché offende alcune categorie di persone che hanno diritto ad essere tutelate: gli Ebrei, gli Islamici e gli omosessuali.

La sconvolgente proposta è descritta in tutte le sue motivazioni (con tanto di elenco dei canti “incriminati”) in un articolo pubblicato su Il Corriere (LINK). Per non tediare i lettori, li invito a leggere l’articolo in questione. Mi limito a riportare la conclusione a cui giunge Valentina Sereni, presidente di Gherush92, che dà voce al gruppo di ricercatori che ha “studiato” il poema dantesco:

«Oggi il razzismo è considerato un crimine ed esistono leggi e convenzioni internazionali che tutelano la diversità culturale e preservano dalla discriminazione, dall’odio o dalla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, e a queste bisogna riferirsi; quindi questi contenuti, se insegnati nelle scuole o declamati in pubblico, contravvengono a queste leggi, soprattutto se in presenza di una delle categorie discriminate. È nostro dovere segnalare alle autoritá competenti, anche giudiziarie, che la Commedia presenta contenuti offensivi e razzisti che vanno approfonditi e conosciuti. Chiediamo, quindi, di espungere la Divina Commedia dai programmi scolastici ministeriali o, almeno, di inserire i necessari commenti e chiarimenti».

Concordo con le osservazioni del giornalista de Il Corriere:

Certo c’è da chiederci cosa succederebbe se il criterio proposto da «Gherush92» venisse applicato ai grandi autori della letteratura. In Gran Bretagna vedremmo censurato «Il mercante di Venezia» di Shakespeare? O alcuni dei racconti di Chaucer? Certo è che il tema del politicamente corretto finisce sempre più per invadere sfere distanti dalla politica vera e propria. Così Il Corriere in un articolo del 1996 racconta come, al momento di scegliere personaggi celebri per adornare le future banconote dell’euro, Shakespeare fu scartato perchè potenzialmente antisemita, Mozart perché massone, Leonardo Da Vinci perché omosessuale. Alla fine si decise per mettere sulle banconote immagini di ponti almeno loro non accusabili di nulla.

Aggiungo: queste persone hanno il coraggio di definirsi ricercatori? Dovrebbero sapere che ogni opera letteraria va inserita nel corretto contesto storico e culturale e che il messaggio, educativo o meno, che ogni autore trasmette va sempre riferito a quel contesto e non deve essere attualizzato.

Io sono semplicemente inorridita. Guarda un po’ al nostro Dante cosa doveva capitare a distanza di quasi sette secoli, poi! Non gli bastavano, poveretto, le traversie affrontate da vivo e anche dopo la morte?

[immagine da questo sito]

DANTE E PETRARCA: LA PREGHIERA ALLA VERGINE MARIA

In occasione della festa dell’Assunta (ne ho parlato QUI) riporto un bell’articolo di LAURA CIONI, pubblicato su Ilsussidiario.net.

IL “SOCCORSO” DI MARIA A DANTE E PETRARCA

L’ultimo canto della Commedia si apre con la preghiera alla Vergine, il Canzoniere si chiude con la canzone Vergine bella. Sebbene la critica dissuada dal cercare nessi espliciti tra i due testi, è evidente che alcune espressioni si richiamino per analogia e per opposizione.

Vergine madre, figlia del tuo figlio: così, per bocca di san Bernardo, la solenne intonazione teologica della preghiera dantesca.

Vergine bella, che di sol vestita,

coronata di stelle, al sommo Sole

piacesti sì, che ‘n te Sua luce ascose,

amor mi spinge a dir di te parole: è ancora un’apostrofe, di timbro lirico e soggettivo, più articolata del potente ossimoro dantesco.

umile e alta, più che creatura,

termine fisso d’etterno consiglio: Dante in due versi condensa il Magnificat e la profezia dell’incarnazione contenuta nel libro della Genesi.

Vergine santa d’ogni gratia piena,

che per vera et altissima humiltate…

tre dolci et cari nomi ai in te raccolti,

madre, figliuola et sposa.

E, poco sopra:

sola tu fosti electa,

Vergine benedetta,

che ‘l pianto d’Eva in allegrezza torni.

L’espressione di Petrarca, già nella terza e quarta stanza della sua canzone, è eco di una movenza di Donna del Paradiso di Jacopone: Figlio, pate e marito, a testimoniare la persistenza di un’unica dottrina e devozione, pur in contesti poetici e storici diversi.

Prosegue Dante:

tu se’ colei che l’umana natura

nobilitasti sì, che ‘l suo fattore

non disdegnò di farsi sua fattura.

Nel ventre tuo si raccese l’amore

per lo cui caldo nell’etterna pace

così è germinato questo fiore.

Qui se’ a noi meridiana face

di caritate, e giuso, intra i mortali,

se’ di speranza fontana vivace.

E Petrarca:

Vergine pura, d’ogni parte intera,

del tuo parto gentil figliuola et madre,

ch’allumi questa vita, et l’altra adorni,

per te il tuo figlio, et quel del sommo Padre,

o fenestra del ciel lucente altera,

venne a salvarne in su li extremi giorni.

Il mistero dell’Incarnazione è indicato da Dante con il simbolo ardente del fuoco, da Petrarca con quello della luce, entrambi di ascendenza biblica.

La vicenda umana dei due poeti ha conosciuto, come quella di ogni uomo, l’amarezza del fatto che la diritta via era smarrita. Ecco come prega Petrarca:

Con le ginocchia de la mente inchine,

prego che sia mia scorta,

et la mia torta via drizzi a buon fine.

Per lui il buon fine è la pace della stabilità in mezzo ai marosi della vita, l’ancora di una stella nella solitudine:

Vergine chiara et stabile in eterno,

di questo tempestoso mare stella,

d’ogni fedel nocchier fidata guida,

pon’ mente in che terribile procella

i’ mi ritrovo sol, senza governo.

[NELL’IMMAGINE: “Assunzione di Maria”, dipinto su tela di E.Porcini, DA QUESTO SITO]