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“L’ADOLESCENZA NON E’ UNA MALATTIA”: UNA “LEZIONE” DI ALESSANDRO D’AVENIA

Ho poco tempo per commentare ma credo che questa “lezione” sia, oltre che bellissima, anche costruttiva per chi fa la professione più bella (e anche una delle più complesse) del mondo: l’insegnamento.

Buona lettura.

I PROF VISTI DAGLI STUDENTI: MACCHIETTE O MODELLI DA EMULARE?

argentero scuola

Gli insegnanti vengono studiati, analizzati, passati ai raggi x dai loro studenti, che spesso si dilettano in chiave ironica a farne l’imitazione che ne evidenzia soprattutto i difetti ma a volte anche qualche pregio. […]

In buona sostanza gli studenti sono coloro che meglio conoscono i loro professori, sono coloro che li osservano da ogni punto di vista, scherzosamente ne fanno la parodia, ma soprattutto li valutano come persone ed in particolare come insegnanti. […]

Questo significa che il docente è fortemente osservato da tanti occhietti vispi a cui non sfugge nulla e che registrano tutto quello che accade in classe. […]

Vuol dire che un docente oltre ad essere preparato e competente, deve sapere comunicare, deve sapere catturare l’attenzione dei ragazzi, deve sapere coinvolgere tutta la classe, deve sedurre con l’arte del parlare. Un bravo insegnante dovrebbe essere ammirato dai propri studenti, tanto da non consentire loro di individuare i suoi difetti, ma deve esaltare i suoi pregi diventando un riferimento positivo. In quel caso l’imitazione non sarà basata su chiave ironica e il prof. non rischia di diventare una macchietta, ma l’imitazione diventerà emulazione e gli alunni la consacreranno, adottandola come stile di vita. Dalle imitazioni degli studenti si comprende bene che per i ragazzi gli insegnanti non sono tutti uguali: ci sono quelli che fanno ridere e vengono imitati per le loro performance e ci sono quelli che vengono emulati per tutta la vita. […]

LINK all’articolo originale

[nell’immagine Luca Argentero in una scena del film “Bianca come il latte rossa come il sangue”]

UN CONCORSO PER GIOVANI ASPIRANTI GIORNALISTI

Dal blog di Alessandro D’Avenia sono venuta a sapere di un concorso per liceali che aspirano a diventare giornalisti. So che in molte scuole ci sono le redazioni dei giornalini (purtroppo con i miseri fondi a disposizione i numeri in uscita sono sempre meno e credo sia giunto il momento di lasciar stare l’edizione cartacea e limitarsi a quella on line) e sono sempre più strette le collaborazioni con i quotidiani che riservano agli studenti uno spazio settimanale in cui vengono pubblicati i loro articoli. So anche che quello del giornalista è un mestiere che affascina i ragazzi con particolari doti di scrittura … anche se i giornalisti non sempre scrivono bene!

Insomma, credo sia un’iniziativa interessante per molti studenti. Il concorso è lanciato dal sito cogitoetvolo.it e si chiama Teen reporters. Cliccando sui link si possono trovare tutte le informazioni utili.

A SPASSO CON I PROF


Seguo sempre il blog di Alessandro D’Avenia e ho appena letto un post che davvero fa riflettere. Partendo da un testo di Pavel Aleksandrovič Florenskij, si chiede:

Quando allenteremo la fatica di quegli stanchi “tram” chiamati programmi, e passeggeremo, liberi di comprendere davvero il mondo che ci circonda e attraverso quel mondo noi stessi?

QUI potete leggere il suo articolo.

[nell’immagine: Spangenberg – Schule des Aristoteles, da questo sito]

PROF IN TRINCEA? NO, IN GIARDINO

Da qualche tempo seguo il blog di Alessandro D’Avenia, giovane professore di lettere nonché scrittore affermato, dopo il successo di Bianca come il latte rossa come il sangue, replicato dall’ultimo nato, il bel romanzo Cose che nessuno sa.

Mi piace molto come scrive, senza abbondare in retorica ma rinunciando, finalmente, al linguaggio gretto e scurrile che gli scrittori moderni, tipo Federico Moccia, utilizzano nel tentativo di far breccia nel cuore delle ragazzine, felici fruitrici di mediocri romanzi romantici dove il bello di turno è anche maledetto … fino a redenzione subita per amore, solo per amore.

Dai romanzi di Alessandro D’Avenia traspare soprattutto la sua abilità scrittoria nonché la cultura che ha solide basi classiche che spesso e volentieri fanno capolino tra le pagine di Cose che nessuno sa, anche quando nessuno se l’aspetterebbe.

Leggendo il suo blog (dove perlopiù pubblica articoli che scrive su varie testate o le interviste che concede ai giornalisti, quando non fa i resoconti delle presentazioni del romanzo, in giro per l’Italia) mi sono resa conto che Alessandro non è solo uno scrittore straordinario, nel vero senso della parola, ma è anche un professore sui generis. Innamorato della sua professione, dei suoi studenti, dei libri che legge ad alta voce affascinando quel pubblico di uditori spesso distratti come sanno essere degli adolescenti costretti per ore in un’angusta aula scolastica.
Io credo al prof D’Avenia quando dice di riuscire a catturare l’attenzione dei suoi studenti, gli credo quando afferma che riesce a leggere in poco tempo interi libri dell’Iliade. Io non ce la farei e in un primo momento mi sono chiesta come ce la faccia lui. Ma poi ho capito che lui certamente ha il carisma che noi prof, che facciamo solo i prof, che mettiamo solo voti, che giudichiamo i nostri studenti nell’orale e nello scritto, che abbiamo poco tempo per discutere sui temi cari alle giovani menti e agli spiriti ancora acerbi … noi non ce la facciamo ad affascinarli così tanto semplicemente perché noi siamo solo dei docenti, non scrittori affermati che vengono presi dì’assalto da fan urlanti che invocano un autografo. Noi firmiamo solo note sui libretti, tutt’al più. E qui sta la differenza.

Detto questo, spero che nell’improbabile caso in cui D’Avenia legga questo mio post, non si senta offeso perché io, anzi, lo stimo, lo apprezzo moltissimo, vorrei essere come lui, non solo per catturare l’attenzione del pubblico in classe, ma anche perché, se fossi come lui, vorrebbe dire che finalmente avrei pubblicato un libro, avrei realizzato il sogno della mia vita. Il mio intento, in questo lungo preambolo, era quello di far capire a chi mi legge che io sono davvero un’estimatrice del giovane siciliano trapiantato al nord, nella città della Madonnina. E lo ribadisco perché ciò che sto per riportare, dal blog di Alessandro, sarà più chiaro.

Tempo fa, in un’intervista in cui si chiedeva di commentare il drastico calo di iscrizioni al liceo classico, D’Avenia aveva dichiarato la sua convinzione che gli studi umanistici sono ancora in grado di appassionare gli allievi e che il liceo classico merita un rilancio. Anzi, gli studi umanistici secondo lui vanno potenziati. A partire dalle medie. Per D’Avenia il latino dovrebbe essere inserito fin dalla prima media. «Lo studiavano 50 anni fa, gli studenti di oggi non sono diventati più scemi, siamo noi che abbiamo abbassato il tiro». (LINK)

Oggi sul blog il prof-scrittore ha pubblicato la lettera di un collega che insegna al liceo classico e che, con tono rassegnato e amaro, esprime il suo parere: gli studi umanistici non vanno più bene, oggi serve altro, con il latino ed il greco non si trova un lavoro, scenari più ampi si aprono studiando l’inglese e l’informatica.

Non mi dilungo a parlare di questa lettera che sembra tanto quella di un professore di liceo classico ormai stanco, demotivato ed arreso di fronte ai molteplici interessi dei giovani d’oggi che, a suo parere, cercano altro, soprattutto la promozione facile, senza fatica. E il classico, con la lingua di Cicerone e quella di Socrate sembra precludere questa possibilità. Senza contare i genitori che remano contro

Insomma, com’era facile immaginare, Alessandro non è per nulla d’accordo con il collega. Nella replica alla sua lettera, ha scritto delle cose molto belle, secondo me. Ve ne riporto qualche stralcio, invitandovi alla lettura completa del post a questo LINK.

[…] Lei dice che oggi il professore di lettere (classiche in particolare) «è un uomo solo e un soldato di trincea».

Mi spiace, ma io non mi sento in guerra con nessuno e se lei lo è le auguro finisca presto: nessuno sta bene in trincea. Io sono in bella compagnia degli autori che studio e insegno, non ho nemici che, dal contenuto della sua lettera, immagino siano i ragazzi (e i genitori dietro di loro). Il paragone che usa però è illuminante: proprio questo è il problema, molti oggi nella scuola si sentono in trincea. E lo capisco. La scuola è diventata una guerra, ma se c’è una cosa che dobbiamo cambiare è proprio questa. La scuola è una relazione tra genitori, docenti e studenti, alleati verso un fine comune: l’educazione armonica degli stessi studenti, docenti, genitori, in un rapporto che se curato, anche con fatica, porta tutti a crescere. Come mai invece tutti si fanno la guerra? Non sarà che non stiamo curando quella relazione come sarebbe necessario?

Un maestro è colui che risveglia in un altro essere umano forze e sogni potenziali e ancora latenti. Egli è chiamato a fare della propria unicità e del proprio intimo coltivarsi (la sua cultura) un dono al discepolo, che altrimenti non desidererà coltivare sé stesso, scoprendo chi è e che storia irripetibile è venuto a raccontare. Il maestro in sostanza è un pro-vocatore: uno che chiama l’altro ad assumere la propria vita come compito, come vocazione. Io non sono in trincea, non mi nascondo sottoterra, ma lavoro la terra. Mi sento invece un giardiniere che si prende cura delle sue piante, le difende e le aiuta a crescere dritte verso la luce per mettere radici più profonde. La cultura è il concime, l’acqua e le cure perché il seme dia frutto. Inoltre non sono per niente «solo» come dice lei di sentirsi. […]

Se ai ragazzi tutto quello che noi abbiamo da dare non arriva, il problema non è di «sistema», ma di «persone» che ci vivono e lo alimentano. Dobbiamo fermarci e riflettere, trovare soluzioni nuove. La cultura dà frutto solo se prende tutta la persona nel suo concreto esistente, non in astratto, e i ragazzi spesso ravvisano nella vita della scuola una sorta di grande finzione.

Non Le scrivo dall’eden della scuola, ma dalle normali fatiche di un giardino difficile, da difendere giorno per giorno dagli attacchi della scirocco, della tramontana, delle cavallette e della mia pigrizia. Ma di una cosa sono sicuro: quel giardino non è la mia trincea e a lavorare in quel giardino non sono solo, altrimenti non saremmo qui a dialogare.

A SCUOLA NON C’È MAI TEMPO by ALESSANDRO D’AVENIA

Che ne pensate?

Una ragazza ha letto in classe un articolo sul primo giorno di scuola che avrei voluto se fossi stato un alunno, apparso su un quotidiano all’inizio dell’anno scolastico e divenuto per molti ragazzi e professori un banco di discussione interessante. La classe di questa ragazza ha reagito con un entusiasmo che lei stessa non si aspettava. Hanno quindi deciso di fotocopiare l’articolo e metterlo nelle caselle dei professori, in trepidante attesa di una reazione. Avevano l’impressione di scatenare una rivoluzione pacifica, fatta di idee, che avrebbe aperto uno spazio, una speranza. Cosa è accaduto?

“Volevo raccontarti le reazioni (magari avessero reagito, in realtà) al tuo articolo. All’inizio avevamo scritto due righe spiegando che l’articolo aveva particolarmente colpito tutta la classe e che ci sarebbe piaciuto parlarne con loro… Ciò che ci ha colpito, in negativo, è che per la maggior parte non hanno reagito, o non hanno il tempo per reagire”.

Nessuna reazione: non c’è il tempo. Non c’è mai tempo per ascoltare la vita che chiede verità. Se protestano con violenza, se occupano, non c’è lo spazio: non si è nello stesso luogo. Se provano a ragionare con parole che hanno discusso e fatto proprie, non vengono ascoltati. Non c’è tempo. Tempo! Ecco ciò che serve ad educare: spazio e tempo. Spazio e tempo preso e dato a loro. É vero noi insegnanti abbiamo poco tempo tra programmi e interrogazioni, ma non possiamo ogni tanto fare qualcosa di straordinario, magari fuori orario? Trovare un po’ di tempo per ascoltare, soprattutto quando hanno qualcosa da proporre? Non avere tempo o non trovarlo è dire: non lo meriti. E fa tanto più male quanto più un ragazzo ha sperato di riceverlo.

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