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#COVID19: COME AVVERRÀ LA RIAPERTURA DELLE SCUOLE A SETTEMBRE?


Se dovessi rispondere in modo onesto alla domanda posta dal titolo potrei dire: non lo sappiamo. E potrei chiudere qui il post, il più breve nella storia di questo blog.

Visto che da settimane leggo proteste provenienti da ogni dove (genitori e no) riguardo al fatto che sono riprese varie attività (bar, ristoranti, spiagge, palestre… oltre a tutte le attività commerciali) ma la scuola è rimasta chiusa, inesorabilmente fino al termine previsto dai calendari regionali, sento l’esigenza di chiarire alcuni fatti, anche di natura legale, che non permettono di equiparare la scuola, pubblica o privata che sia, a qualsiasi attività economica.

La scuola non interessa nessuno, tanto non produce nulla in termini economici.

Questa è la prima affermazione cui vorrei controbattere. La scuola, in realtà, produce qualcosa che non può essere monetizzato: la cultura, l’istruzione, l’educazione di bambini e ragazzi su cui l’istituzione ha delle grosse responsabilità. Spero siano passati i tempi in cui quel politico che non voglio nemmeno nominare disse che con la cultura non si mangia. Certo, se la consideriamo in senso stretto è vero, ma la cultura permette a chiunque di potersi preparare e formare per il mestiere o la professione che da adulto svolgerà. La scuola non è un fast food, un mangia e fuggi, ha bisogno dei suoi tempi. La scuola e l’università sono luoghi in cui si semina e si raccoglie, ma soprattutto luoghi in cui si prepara quel buon raccolto per cui ciascuno, con impegno e dedizione, ha lavorato.
Quindi, se la scuola è rimasta chiusa non è perché non produce o perché a nessuno interessa il suo buon funzionamento. La sospensione delle attività didattiche in presenza (questo è il modo corretto di interpretare la “chiusura delle scuole” di ogni ordine e grado a causa del Coronavirus) è stata una decisione dolorosa ma quanto mai necessaria. La tutela della salute degli studenti e di tutto il personale scolastico è un dovere, sancito dalla Costituzione. L’articolo 32 recita: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”. Cos’è la scuola se non una collettività?

Sì, ma la Costituzione deve garantire anche il diritto allo studio.

Vero, tant’è che, sebbene la DAD sia partita in sordina, grazie alla buona volontà di migliaia di scuole che si sono subito attivate soprattutto per non perdere il contatto con gli studenti, per non lasciarli soli e per non dare l’idea che la sospensione delle lezioni potesse essere considerata vacanza, poi con il D.P.C.M. del 4 marzo 2020 è diventata attività obbligatoria. Scelta discutibile, è vero, considerando che non c’era stata la dovuta formazione dei docenti, la DAD non è prevista dal CCNL, non era accessibile a tutti (sto parlando anche dei docenti che non sono obbligati per contratto ad avere pc, webcam, connessione efficiente a casa propria), senza parlare dei problemi di privacy che il Garante ha pensato di liquidare al più presto con l’obbligo da parte delle famiglie di firmare la liberatoria.
Tutto ciò deve far pensare che la scuola non si è mai fermata. Ciò è confermato dal fatto che l’O.M. 11 del 16 maggio 2020 chiarisce che le attività svolte in DAD dovevano essere regolarmente valutate, pur con l’obbligo di promuovere tutti gli studenti. Cos’altro sarebbe stato possibile fare? Annullare un anno scolastico, danneggiando chi si è sempre impegnato e ha continuato a farlo con senso di responsabilità? Se davvero si fosse optato per l’annullamento dell’a.s. 2019/20, allora si sarebbe violato l’articolo 34 della Costituzione che garantisce il diritto allo studio.

Il Covid19 ormai non è più un problema, a settembre si può tornare in classe anche senza rispettare distanziamento e protocolli di sicurezza.

Questa è un’affermazione sbagliata e quantomai arrogante. Gli italiani, sempre pronti a esprimersi sul campionato di calcio, criticando le scelte di allenatori e arbitri, all’improvviso sono diventati esperti virologi.
Anche se i contagi sono in diminuzione, le terapie intensive fortunatamente si stanno svuotando e, nonostante la ripresa di molte attività, non si è vista una nuova esplosione come ventilato dagli stessi esperti, il virus c’è e non sappiamo quale potrà essere l’evoluzione nei prossimi mesi. Ciò non significa che dobbiamo vivere nel terrore, ci mancherebbe. Ma sottovalutare un nemico invisibile come il Covid19 è da irresponsabili.
Nel mondo la pandemia non si è affatto fermata (vedi Brasile, in generale l’America Latina, l’India, il recente nuovo focolaio in Germania) e, anche se certi esperti (purtroppo sono in grande disaccordo quindi non si sa davvero a chi credere) affermano che il virus si sia attenuato per motivi climatici, come l’innalzamento delle temperature, non sappiamo cosa succederà in autunno. Riaprire le scuole senza restrizioni, cosa comunque sconsigliata dallo stesso CTS, potrebbe portare, entro qualche settimana, a una nuova chiusura che metterebbe in seria difficoltà non solo la scuola stessa (la DAD, tanto vituperata, dovrebbe essere nuovamente ripresa) ma anche le famiglie che, di punto in bianco, si troverebbero nuovamente in emergenza con i figli a casa. E si sa, la scuola fa comodo come babysitting…

Oltre a ciò, non si può sottovalutare la responsabilità dei Dirigenti Scolastici che devono garantire la tutela della salute del personale docente e non docente e, soprattutto, degli studenti, valutando i rischi e mettendo in atto adeguate misure di protezione per evitare la diffusione del Coronavirus nelle classi. Quindi, la questione ha un carattere legale affatto trascurabile.

Hanno riaperto bar, ristoranti, palestre, teatri, cinema… solo la scuola non riapre.

Ed eccoci all’obiezione che personalmente odio di più. In primo luogo, perché sembra che siano i docenti a non voler riprendere le lezioni regolari. Non c’è nulla di più falso, anche perché la DAD è costata talmente tanta fatica che tutti noi vorremmo ritornare in aula, davanti ai nostri 26-28-30 allievi, se non di più, e abbandonare le lezioni a distanza che ci hanno visti impegnati per tre mesi davanti al pc, a volte 12 ore al giorno, 7 giorni su 7.
In secondo luogo perché chi si esprime in quei termini, non capisce che la scuola è un servizio che viene offerto ai cittadini e comprende ben 10 anni di frequenza obbligatoria. Quindi, è un servizio che lo Stato deve garantire come diritto allo studio e nello stesso tempo è un dovere per i bambini e i ragazzi fino al compimento del 16° anno di età.
Non mi risulta che bar, ristoranti, palestre, teatri e cinema, solo per fare alcuni esempi, prestino un servizio statale per di più obbligatorio nei confronti di minorenni. Insomma, se uno vuole farsi un aperitivo, mangiare una pizza, tenersi in forma, godersi uno spettacolo teatrale o cinematografico può farlo come libera scelta, nessuno lo obbliga. La scuola, invece, è obbligatoria.
Non solo, nei bar, ristoranti ecc. non si entra in massa, tutti nello stesso momento, tant’è vero che in quasi tutti i casi (forse ad esclusione dei bar) è necessaria una prenotazione, proprio per evitare la folla di persone che si riversa in quei luoghi nello stesso momento.
A scuola, quando suona la campanella, di solito la lezione inizia per tutti e ci sono scuole che hanno più di 1000 iscritti, qualcuna anche più di 2000. Chi obietta mi deve spiegare come si può far entrare in sicurezza una tale massa di persone, senza creare assembramenti.
Mettiamo pure che si risolva il problema con l’entrata scaglionata (che già di per sé comporta una dilatazione dell’orario scolastico con classi che iniziano e finiscono la mattinata in orari diversi, con ripercussioni evidenti anche sull’orario dei docenti), una volta che 28-30 allievi fanno ingresso in aula, come si fa a garantire il distanziamento previsto dai protocolli del CTS?

Mascherine no, plexiglas no, metà classe no… tutti questi no, che paiono alquanto imperativi, non sono accettabili.

Partendo dalla considerazione che le classi intere non possono fare ingresso a scuola come se nulla fosse successo, dividere le classi a metà appare la soluzione più logica. Non servirebbero né mascherine né divisori in plexiglas, basterebbe la distanza giusta a prevenire i contagi. Naturalmente con tutta una serie di precauzioni: consumare la merenda al banco perché la “libera circolazione” degli studenti nelle aree comuni imporrebbe l’uso della mascherina (come avviene nei luoghi chiusi anche adesso) e mangiare con addosso la mascherina sarebbe impresa ardua, la sanificazione dei servizi ogni volta che vengono usati, l’obbligo di arieggiare spesso le aule (come la mettiamo con finestre che spesso stanno su per miracolo?), di passare l’igienizzante su cattedra, sedia, pc di classe, cancellino… ogni volta che un docente finisce la lezione, oltre al fatto che evidentemente le entrate e le uscite debbano essere scaglionate. Tutto ciò comporterebbe un aumento di personale ausiliario che pare il MI abbia già previsto. Fortunatamente, aggiungo, visto che in un primo tempo sembrava che la pulizia fosse un atto dovuto per ciascun docente.

Metà classe significa il doppio dei docenti? Nossignori, di assumere personale docente, se non per il turn over, non se ne parla.

A parte il fatto che se io ho seguito per 4 anni un gruppo classe, non mi andrebbe di lasciarne metà nelle mani di un altro insegnante, né credo che ciò farebbe piacere ai ragazzi. Che faccio? Li scelgo uno ad uno, mi prendo i migliori? Oppure i più deboli che hanno bisogno di una guida sicura, da parte di chi li conosce già da tempo? Non è difficile capire che la soluzione non sarebbe ideale.

Metà classe significa che ci daranno il doppio delle aule?

Su questo vorrei glissare perché mi viene da ridere. I Dirigenti Scolastici da tempo invocano più spazi, proprio in previsione di un ritorno in aula non regolare. Purtroppo, però, lo Stato non può intervenire direttamente e delega Comuni, UTI, enti locali dai quali provengono, almeno per quanto ne sappia, le proposte più variegate e stravaganti. Potete andare a fare lezione in qualche teatro, cinema, stadio, padiglione della Fiera… Ora, non voglio sembrare schizzinosa o irriconoscente nei confronti di tanta buona volontà, ma tali proposte comportano dei problemi almeno per due motivi: logistici e pratici. Innanzitutto, bisogna vedere se gli enti proprietari sono disposti a una riconversione semi-permanente degli spazi messi a disposizione. In secondo luogo, quanto costerebbe tutto ciò? A chi spetterebbero gli oneri? A queste domande non ho una riposta, purtroppo. È tutto molto complicato.

Molte delle soluzioni proposte non tengono in alcun conto il problema logistico. Avere una succursale, sebbene provvisoria, a 8-10 km dalla sede centrale comporterebbe non solo delle difficoltà nella gestione dell’orario dei docenti e del loro trasferimento da una sede all’altra (insomma, non siamo mica obbligati ad avere un’automobile…) ma sarebbe complicato spostarsi anche per gli stessi studenti, specialmente i pendolari che nemmeno conoscono bene la città in cui ha sede la scuola. Senza contare che, almeno per l’utenza, sarebbe indispensabile la collaborazione da parte delle aziende dei trasporti che, a quanto ne sappia, non sono nemmeno tanto disponibili a ritoccare gli orari, tant’è che molti studenti hanno dei permessi permanenti di entrata posticipata e uscita anticipata proprio a causa dei mezzi di trasporto. Ovviamente sto parlando della realtà in cui vivo, non so quali siano le problematiche delle altre città, specie le più grandi.

Fate quello che volete ma basta con la Didattica a distanza!

Ecco l’ultima fastidiosa obiezione che giocoforza ho dovuto lasciare alla fine, dopo aver tentato di spiegare per quali motivi la ripresa a settembre sarà un vero rompicapo.
Riprendiamo in considerazione il fatto che le classi saranno quasi inevitabilmente divise a metà. Di ciò dobbiamo ringraziare i governi del passato che, a suon di tagli, hanno creato le cosiddette classi-pollaio e accorpato scuole per risparmiare sugli stipendi di dirigenti e docenti. Più allievi per classe significa meno docenti e quindi meno stipendi da pagare; accorpare le scuole significa diminuire il numero di dirigenti. Un bel risparmio.
Mai come in questo periodo, a causa del Covid19, ci si è resi conto di quanto sia stato deleterio operare tagli indiscriminati su Sanità e Scuola (a questo proposito vi invito alla lettura di un interessante editoriale di Guido Tonelli, pubblicato tempo fa sul Corriere della Sera). Oggi ne stiamo pagando le conseguenze e la soluzione, se per la Sanità in parte è stata trovata con l’assunzione straordinaria di personale medico e paramedico, sembra che per la Scuola non sia sentita come necessità impellente: in fondo, non salviamo vite

Quindi, se metà classe starà in aula, l’altra metà (con la dovuta turnazione) dovrà seguire le lezioni a distanza. Qualunque sia il modello di didattica mista che ogni scuola sceglierà, la DAD non potrà scomparire, almeno non dalle scuole secondarie di secondo grado. Le linee guida divulgate ieri dal Ministro dell’Istruzione “salvano”, almeno questo è l’intento, solo i bambini delle primarie. Per il resto, dovremo arrangiarci ed è necessario che i genitori si mettano il cuore in pace.

L’atteggiamento assunto dal Ministero, che viene letto come “arrangiatevi, fate quel che potete”, non è del tutto illogico. Lo Stato non conosce le varie realtà scolastiche e, anche per ciò che riguarda l’aspetto sanitario, le regioni possono avere situazioni diverse, quindi proporre un modello uguale per tutte le scuole del territorio nazionale sarebbe assurdo. Diciamo che la proposta di soluzioni diverse avrebbe potuto essere argomento di discussione fin da subito, almeno dal momento in cui era chiaro che non saremmo tornati a scuola entro giugno. La latitanza del Governo c’è stata, inutile negarlo. Ora possiamo solo attendere gli eventi, facendo tesoro dell’esperienza e sperando che agli errori del passato ora si possa porre rimedio guardando al futuro.

Sarà una lunga estate e per nulla tranquilla, temo.

[immagine da questo sito]

LA SCUOLA CONTA MENO DELLE IMPRESE

Riporto di seguito una lettera inviata al quotidiano Il Manifesto da una docente del Liceo Pasteur di Roma. L’oggetto è il DEF con cui il governo ha annunciato il saldo parziale dei debiti dello Stato nei confronti delle imprese.
Nella lettera la collega osserva che la scuola conta meno delle imprese. Certamente, perché le imprese contribuiscono a far girare l’economia e ad aumentare il PIL. Se chiudono, la depressione economica che ci ha ridotto quasi sul lastrico negli ultimi anni non avrà mai la possibilità di rientrare.

Le scuole, invece, non chiudono. Rimangono aperte grazie alla buona volontà (e il volontariato) del personale docente e ATA che le fa funzionare, nel miglior modo possibile.

Cosa può mai contare la scuola in questo panorama? Dispensiamo solo cultura e sforniamo gli operai, gli artigiani, i dirigenti, i politici, i professionisti, gli insegnanti di domani.

Domani è un altro giorno … forse lo Stato prima o poi ci penserà.

Nono­stante i tagli dra­co­niani, anche quest’anno le scuole ita­liane hanno rego­lar­mente fun­zio­nato e garan­tito la loro offerta for­ma­tiva a cen­ti­naia di migliaia di stu­denti. For­te­mente sot­to­di­men­sio­nato, il per­so­nale Ata ha lavo­rato a pieno ritmo e i docenti hanno svolto le loro fun­zioni stru­men­tali, di coor­di­na­mento, di recu­pero e di poten­zia­mento della didattica.

Oggi ci tro­viamo tut­ta­via in una situa­zione gra­vis­sima: il fondo d’istituto delle scuole ita­liane non ha la con­si­stenza eco­no­mica per coprire tutte le atti­vità di inten­si­fi­ca­zione, aggra­vio e straor­di­na­rio che il per­so­nale docente e non docente ha effet­tuato durante l’anno per garan­tire il rego­lare fun­zio­na­mento dei Piani dell’Offerta For­ma­tiva, pre­vi­sti dalla legge sull’autonomia. Poche migliaia di euro ero­gate come anticipo all’inizio dell’anno sco­la­stico dal mini­stero dell’Istruzione sono oggi l’unica con­si­stenza eco­no­mica di cui le scuole dispon­gono. In molte scuole la con­trat­ta­zione integra­tiva si sta chiu­dendo con una for­tis­sima ridu­zione dei com­pensi, assurti a cifre sim­boli­­che, in molte altre non si apre nep­pure. In molte scuole si sta attin­gendo al contri­buto volon­ta­rio delle fami­glie per pagare per­so­nale e docenti!

Dov’è finito il miliardo e tre­cento milioni di euro di cre­diti che le scuole vantano da anni nei con­fronti dell’amministrazione cen­trale? Quel cre­dito che alcune cir­co­lari ministeriali in pas­sato hanno ver­go­gno­sa­mente chie­sto alle scuole di inse­rire nell’«aggregato Z» del bilan­cio, così da ren­derlo ine­si­gi­bile?
Nel Docu­mento di Eco­no­mia e Finanza 2014 in discus­sione in par­la­mento nean­che una parola. E nes­sun depu­tato e sena­tore, impe­gnato in que­sto momento nella sua bat­ta­glia pro o con­tro il Def, ricorda che l’amministrazione cen­trale ha debiti non solo nei con­fronti delle imprese ma anche con tutte le scuole d’Italia, messe oggi in con­di­zione di non poter pagare i lavo­ra­tori. Com’è pos­si­bile che nono­stante gli otto miliardi di risparmi effet­tuati nel com­parto scuola solo con la legge 133/2008 (il 30% dei quali avrebbe dovuto essere rein­ve­stito nella scuola), il mancato rin­novo dei con­tratti degli inse­gnanti, il blocco degli scatti di anzia­nità, la pro­gres­siva ridu­zione dei fondi per il funzionamento della scuola e per le atti­vità di recu­pero e soste­gno, siamo oggi di fronte alla possibilità che il nostro sala­rio acces­so­rio, a fronte di un lavoro rego­lar­mente effettuato, non venga ero­gato? Il governo deve dirci se abbiamo lavo­rato pro bono. Deve dirlo a cen­ti­naia di migliaia di lavo­ra­tori. Deve avere il coraggio di dirci che, men­tre i poli­tici e i boiardi di Stato con­ti­nuano ad accu­mu­lare introiti e pen­sioni da favola, noi, docenti e non docenti delle scuole ita­liane, con uno sti­pen­dio medio di 1.200 euro al mese, abbiamo fatto, a nostra insa­puta, un volon­ta­riato coatto.
* docente Liceo Pasteur Roma

LA SCUOLA SECONDO MATTEO (RENZI): GLI INSEGNANTI COLLABORERANNO A COSTRUIRNE IL FUTURO

ASSEMBLEA 2012 DI CONFINDUSTRIA FIRENZE CON GIORGIO SQUINZI E MATTEO RENZIIn attesa di conoscere il nome del nuovo (o nuova) ministro dell’Istruzione, vediamo cosa pensa Matteo Renzi, appena incaricato dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano di formare il nuovo governo, sul futuro della scuola.

Non sono parole fresche di giornata, ma quelle pronunciate in occasione della candidatura a segretario del Pd, elezioni poi stravinte anche grazie al voto del 43% dei docenti italiani:

Gli insegnanti sono stati sostanzialmente messi ai margini, anche dal nostro partito. Abbiamo permesso che si facessero riforme nella scuola, sulla scuola, con la scuola senza coinvolgere chi vive la scuola tutti i giorni. Non si tratta solo di un autogol tattico, visto che comunque il 43% degli insegnanti vota PD. Si tratta di un errore strategico: abbiamo fatto le riforme della scuola sulla testa di chi vive la scuola, generando frustrazione e respingendo la speranza di chi voleva e poteva darci una mano. Il PD che noi vogliamo costruire cambierà verso alla scuola italiana, partendo dagli insegnanti, togliendo alibi a chi si sente lasciato ai margini, offrendo ascolto alle buone idee, parlando di educazione nei luoghi in cui si prova a viverla tutti i giorni, non solo nelle polverose stanze delle burocrazie centrali. Casa per casa, comune per comune, s cuo la per scuola, da gennaio 2014 i nostri insegnanti, i nostri assessori alla scuola, i nostri circoli, i nostri ragazzi saranno chiamati alla più grande campagna di ascolto mai lanciata da un partito a livello europeo, sul doppio binario di una piattaforma tecnologica dedicata e di un rapporto personale, vis a vis. Chiameremo il Governo, il Ministro, i suoi collaboratori a confrontarsi sulle proposte e sulle idee. E daremo risposte alle proposte degli insegnanti, non lasciandoli soli a subire le riforme, ma chiedendo loro di collaborare a costruire il domani della scuola”.

Un’idea chiara sulle condizioni della scuola, specialmente di noi docenti, ce l’ha. Ora non ha più bisogno di chiamare il governo. Il governo è lui. Saprà mantenere la promessa?

[fonte: Tuttoscuola; immagine da questo sito]

UDITE UDITE: PER L’ONOREVOLE ILARIA CAPUA GLI INSEGNANTI ITALIANI SONO PAGATI ANCHE TROPPO

capuaC’eravamo quasi dimenticati dell’infelice uscita di Renato Brunetta che, nel settembre 2010, aveva dichiarato: “Abbiamo un corpo insegnante forse tra i più pletorici generosi dei paesi industrializzati le performance della scuola non sono le migliori, il livello di apprendimento dei nostri scolari non è paragonabile a quello degli altri paesi. Il sistema costa tanto e rende poco. Non è neanche vero che gli insegnanti sono pagati poco, perché in altri paesi guadagnano di più perché lavorano di più.”(ne ho parlato QUI)

Non avevamo dimenticato, invece, il più recente progetto dell’ex premier Monti che ci voleva aumentare l’orario da 18 a 24 ore di cattedra, con l’unico scopo di risparmiare sugli stipendi e di creare un po’ di disoccupazione. Le battute infelici possiamo anche dimenticarcele, gli insulti no. E quella proposta era un vero e proprio insulto nei confronti di chi lavora seriamente, ben oltre le 18 ore passate in aula, e che vuole continuare a farlo.

Ma il Montipensiero fa proseliti e la calza della befana ci ha portato un regalo inatteso: l’intervista dell’onorevole Ilaria Capua (Scelta Civica) a Tuttoscuola (LINK)
Fra le altre (infelici) cose dette, c’è qualcosa che conferma, anche se onestamente non ne sentivamo il bisogno, di quanto poco del nostro lavoro capisca chi fa politica.

Il corpo docente è profondamente sottoutilizzato. Perché i professori lavorano 18 ore a settimana e hanno un giorno libero: questo oggigiorno non lo può fare nessun lavoratore. Occorre utilizzare gli insegnanti facendoli lavorare qualche ora in più a settimana: per contribuire al recupero degli allievi più fragili, per organizzare dei centri estivi, per andare incontro alle famiglie e ai bisogni della società odierna, diversa da quella di 20/30/40 anni fa, quando la scuola è stata arricchita di un corpo insegnante così numeroso. Penso che nessun lavoratore abbia così tanti privilegi. I docenti dicono di essere pagati poco, ma secondo me non sono poi pagati così tanto poco …”

Io cerco di non arrabbiarmi e per questo mi tengo calma. Dico solo che, parlando di privilegi, le mie lunghe vacanze di Natale sono state, com’era prevedibile, di grande lavoro con 150 prove da correggere. In pratica mi sono concessa solo due giornate senza compiti: il 25 dicembre e il 1 gennaio. Per il resto, ho sempre lavorato.

Alla signora onorevole, che fa la veterinaria – almeno faceva, visto che ora è occupata in politica, attività che le permette di godere di ben altri privilegi e soprattutto di ben altro stipendio – dico solo: «Venga pure a fare il mio lavoro, cara signora, e dopo mi saprà dire se i soldi che guadagno al mese, dopo trent’anni di “carriera”, sono troppi».

Ah, un’ultima cosa: io lavoro sabato e sto a casa lunedì. Che mi dice di tutti gli impiegati che hanno il sabato libero? Davvero è convinta che “questo oggigiorno non lo può fare nessun lavoratore”? E poi, con la sua laurea in veterinaria andrebbe a lavorare in un centro estivo? Io con la mia in Lettere no. E non dica che sono choosy, per favore. Tanto a scuola fino a metà luglio ci starò ugualmente: a fare i corsi di recupero per gli studenti con il Debito Formativo, le verifiche e gli scrutini. Come vede non ho alcun bisogno di essere spedita in un centro estivo. Anche se … là forse almeno mi riposerei.

Ballon d’essai. Alcune riflessioni sul taglio di un anno di scuola secondaria di secondo grado

Una riflessione talmente lucida e onesta da non aver bisogno di aggiunte. Condivisibile, dalla prima all’ultima parola.

CRITICA IMPURA

Di ALERINO PALMA

C’è una teoria che è un po’ più di una teoria. Dice che tutto quello che accade da vent’anni a questa parte nella scuola è frutto di un progetto di demolizione della scuola pubblica attraverso il suo dissanguamento. Questo progetto è iniziato con Berlinguer. La sua riforma tagliava un anno di scuola primaria. Produsse un esodo anomalo di maestre e maestri verso la scuola secondaria favorito da corsi di riconversione che apparentemente dovevano sanare la situazione dei precari storici. Per fortuna arrivò la Moratti che cancellò la riforma Berlinguer e impiegò altri quattro anni per presentare un’altra riforma. In questa riforma il taglio dell’ultimo anno era mascherato così bene sotto la forma pudica di un anno semifacoltativo che passò quasi inosservato. Poi, per fortuna, anche la Moratti è passata. In mezzo c’è stata la Gelmini sul cui operato non è degno che si spendano parole. Oggi i…

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SVENTATO (PER ORA) IL PERICOLO DELL’AUMENTO DELL’ORARIO, SI RIPARLA DELLA DIMINUZIONE DI UN ANNO DELLE SUPERIORI

Non c’è nulla da fare: sulla scuola i tagli s’han da fare, in una maniera o nell’altra.

Cancellato dal ddl stabilità l’aumento dell’orario per i docenti della scuola secondaria di primo e secondo grado (e ci siamo pure presi una bacchettata dal premier Monti), pare che il governo stia partendo al contrattacco. Secondo delle indiscrezioni riportate da Tuttoscuola.com, infatti, a Palazzo Chigi, mentre si discuteva dello sblocco degli scatti di anzianità per il 2011 (e tanto è bastato per sospendere lo sciopero del 24 u.s. da parte della maggioranza delle sigle sindacali), il discorso è scivolato sull’eventualità di accorciare di un anno il percorso di studi.

L’ipotesi di anticipare l’ingresso alla primaria a 5 anni è naufragata per il possibile effetto della doppia annualità di partenza e della determinazione di un’onda anomala lunga dodici anni con l’aumento del 20% dell’organico di scuola primaria. Impraticabile pure la riduzione di un anno della scuola secondaria di primo grado (ex scuola media) già proposta dodici anni fa dal ministro Berlinguer e non accolta con favore dai docenti.

Cosa rimane, dunque, per abbreviare il corso di studi e “licenziare” gli studenti a diciotto anni, come in gran parte d’Europa? Solo la decurtazione della secondaria di secondo grado. Anche questa proposta non è nuova. L’intenzione era più che manifesta nella riforma Gelmini: i cinque anni, infatti, sono stati suddivisi in due bienni e un anno conclusivo. Che c’è di più facile, dunque, dell’eliminare quell’ultimo anno? Certo, sulla carta è molto facile, tuttavia bisogna fare i conti con i programmi che dovrebbero essere completamente rivoluzionati e “spalmati” su quattro anni anziché cinque.

Naturalmente questa proposta ancora in germe ha solo ed esclusivamente un obiettivo: tagliare i posti di lavoro e, perciò, risparmiare sugli stipendi. A conti fatti, porterebbe alla riduzione del 20% delle 220mila cattedre attualmente esistenti, con la conseguente perdita di circa 44 mila posti per gli insegnanti. Se poi consideriamo che l’innalzamento dell’età pensionabile costringe a stare in cattedra i docenti ben oltre i 65 anni, la situazione potrebbe risultare catastrofica per i giovani insegnanti e per quelli, meno giovani, immessi in ruolo negli ultimi anni.

C’è, tuttavia, un’altra considerazione da fare. Gli studenti, a detta dei docenti universitari, sono sempre più ignoranti. Forse i nostri governanti sperano che, accorciando la durata della scuola superiore, si diano maggiormente da fare, sollevati dalla prospettiva di diplomarsi in meno tempo e, quindi, annoiandosi di meno?

E della scuola media non si parla mai. Non si dice, ad esempio, che è ferma al 1979, almeno per quel che concerne i programmi e lo spirito del ciclo di studi: preparare gli alunni ad affrontare il mondo del lavoro. Tuttavia, nel frattempo è stato elevato l’obbligo scolastico a 16 anni, includendo, dunque, anche il biennio della scuola superiore. Il tutto, senza un corretto adeguamento del biennio stesso che, diverso per i licei, gli istituti tecnici e professionali, di fatto non completa l’istruzione degli allievi che, nel caso in cui decidano di non frequentare oltre le scuole superiori, si trovano in balia del nulla, visto che la formazione professionale non ha il dovuto rilievo ed è scarsamente pubblicizzata. Insomma, un obbligo scolastico che si rispetti, dovrebbe contemplare un biennio unico, come prolungamento della scuola media, e dare ampie e corrette informazioni sulle opportunità che chi lascia gli studi “regolari” può avere.

In conclusione, nell’ambito dell’istruzione ci sono numerose lacune da colmare, a partire da una riforma seria della scuola media. E invece il nostro governo parla di accorciare la durata della scuola superiore, ritenendo la proposta di grande utilità alla scuola del futuro per arrivare al 2014 con un lavoro preliminare alle spalle. Continuando a spacciare per innovative proposte che hanno il solo scopo di risparmiare. E con quale coraggio si può anche solo pensare che la qualità dell’istruzione migliori senza investire e continuando a tagliare?

[immagine da questo sito]

MONTI DA FAZIO BACCHETTA I DOCENTI MA NON SA QUEL CHE DICE

Non ho visto l’intervista che Fabio Fazio ha fatto ieri al premier Mario Monti nel corso del programma di Rai 3 “Che tempo che fa”. Ho guardato il video e ritengo che sia molto grave l’aver bacchettato i docenti, rei di non aver accettato l’aumento dell’orario di cattedra da 18 a 24 ore (dal 28° minuto del video). In particolare, trovo offensivo che il presidente del consiglio parli di spirito conservatore e di corporativismo a proposito dei docenti, il cui comportamento andrebbe contro l’innovazione e l’ammodernamento del sistema scolastico. Trovo anche molto ipocrita che insista a mandare un messaggio falso che contribuisce ad influenzare l’opinione pubblica, da cui noi docenti siamo sempre criticati e giudicati, anche senza alcuna competenza da parte di chi ci attacca. Dovrebbe avere l’onestà di ammettere che ogniqualvolta si fanno proposte in merito alla scuola, si pensa solo a tagliare i posti di lavoro e peggiorare la qualità dell’istruzione.

A questo proposito, condivido le parole del segretario nazionale della CGIL Domenico Pantaleo, riportato da OrizzonteScuola.it.

Le dichiarazioni rese dal Presidente del Consiglio alla trasmissione televisiva “Che tempo che fa” sono gravissime perché offendono la scuola pubblica e gli insegnanti.

Confermano il carattere autoritario e liberista del Governo Monti, espressione dei banchieri e dei poteri forti, che intende privatizzare l’istruzione pubblica.

Il presidente del Consiglio non sa di cosa parla.

L’aumento dell’orario di lavoro a parità di salario era di 6 ore e non di 2, violava il contratto nazionale e non riconosceva le altre ore funzionali all’insegnamento. Si confonde l’orario di funzionamento delle scuole con quello di lezione frontale e, peraltro, senza alcuna attenzione al rapporto tra qualità della didattica e orario. Per queste ragioni il Parlamento ha cancellato quella norma con un emendamento.

Se qualcuno ha in testa di riproporre il tema dell’aumento dell’orario sappia che la FLC CGIL non è disponibile ad aprire alcuna discussione se non nell’ambito del rinnovo del contratto nazionale.

I veri conservatori sono Monti e Profumo che non hanno alcun progetto di innovazione della scuola pubblica italiana e stanno continuando sulla stessa linea di tagli del precedente Governo.

Sono lontani anni luce dai problemi veri dell’Italia e stanno portando il sistema d’istruzione al fallimento sociale. Alla disperazione delle nuove generazioni, vittime delle loro politiche di austerità, non offrono alcuna risposta. Ma non ci fanno paura perché siamo riusciti a realizzare con gli studenti una forte unità che saprà ricostruire una scuola migliore e aperta a tutti. Continueremo a rivendicare più salario, più diritti e più qualità del lavoro rinnovando il contratto.

Non arretreremo nella richiesta di stabilizzare i precari, cancellare le norme odiose sugli inidonei e rivedere le norme sulle pensioni.

Il 24 Novembre è stata un’ulteriore tappa della mobilitazione che continuerà per sconfiggere i conservatori che vogliono affermare le logiche aziendali anche nella scuola pubblica mentre fanno di tutto per garantire i privilegi delle private.

In tutte le scuole resteranno in piedi tutte le azioni di lotta decise nelle settimane scorse.

MANOVRA BIS: DA “IO SUD” PARTE LA PROPOSTA DI POSTICIPARE AD OTTOBRE L’INIZIO DELLA SCUOLA


Adriana Poli Bortone di “Io Sud” propone di far slittare ad ottobre l’inizio delle lezioni, specie nelle regioni turistiche del meridione. Proposta, questa, non nuova: la stessa Gelmini aveva ipotizzato, la scorsa primavera, di posticipare l’inizio delle lezioni (su tutto il territorio nazionale) per favorire il turismo (ne ho scritto QUI). Poi, però, non se n’è fatto nulla, forse perché quando propone qualcosa il ministro dell’Istruzione si parte dal presupposto che dica una stupidaggine. E invece tornare inidetro di trenta-quaranta anni, quando noi “remigini” rimettevamo piede nelle aule scolastiche il 1° ottobre, non sarebbe proprio una cattiva idea. Certo, bisognerebbe organizzare diversamente le vacanze, durante tutto il corso dell’anno scolastico, e posticipare gli Esami del I e II ciclo a luglio.

La presidente di “Io Sud” presenterà la proposta al Senato, motivandola con queste argomentazioni:

L’intervento è necessario, in questo momento di crisi, per venire incontro alle esigenze degli operatori del turismo, per favorire una destagionalizzazione dei flussi e potrebbe essere un incentivo all’economia dell’intero Paese. Si tratta di una proposta antica ma che oggi diventa sempre più attuale e fattibile anche perché con la soppressione delle festività, prevista dalla manovra, si recupereranno dei giorni di scuola e si potrà pertanto rimanere nei parametri minimi imposti (200 giorni di lezione, NdR) dall’Unione europea.
Nessuno deve su questo avere dei tabù. Io ricordo che 40 anni fa la scuola riprendeva a ottobre. Su questo si potrebbero trovare delle ampie convergenze in Parlamento, è una misura utile, che potrebbe essere attuata in tempi rapidi così da poter entrare subito in vigore.

Leggendo i commenti sul web, mi sono resa conto che qualcuno paventa di terminare gli Esami di Stato a Ferragosto. Si tratta di un timore infondato, visto che se iniziassero il 1° luglio, non si potrarrebbero in nessuna scuola, nemmeno la più grande, per più di un mese, addirittura un mese e mezzo. Ora, infatti, iniziando dopo il 20 giugno, le operazioni sono completate entro la metà di luglio, tranne nel caso in cui ci sia la necessità procedere a sessioni straordinarie per permettere agli studenti ammalati durante il periodo “ufficile” di sostenere le prove supplettive.

La proposta, quindi, mi trova d’accordo. Ciò che mi lascia perplessa è la prospettiva di dividere in due l’Italia e fare iniziare le lezioni prima al Nord e dopo al Sud. Credo che la proposta dovrebbe, se è il caso, essere estesa a tutta la penisola, senza creare discriminazioni di sorta. Anche nella mia regione, il Friuli – Venezia Giulia ci sono molte località turistiche, sia marine sia montane, e, avendone la possibilità, si potrebbe programmare un soggiorno settembrino, più a buon mercato. Sempre sperando nella clemenza del meteo, naturalmente.