ORAZIO: Persicos odi, puer, apparatus (traduzione e commento)

Questo carme chiude il primo libro delle Odi di Orazio. Il poeta rappresenta se stesso come un tranquillo commensale che chiede al proprio servo (puer) di preparargli un semplice banchetto, senza lussi: a lui piace bere, incoronato dall’umile mirto (che, essendo una pianta sacra a Venere*, rappresenta la poesia amorosa), all’ombra di una vite. Questo “quadretto” rimanda a un ideale di vita modesto, ma a questo significato potrebbe aggiungersene un altro: quello di rivendicare per la propria poesia uno stile semplice, lineare, privo di inutili ornamenti (nexae philyra coronae).

Persicos odi, puer, adparatus,
displicent nexae philyra coronae,
mitte sectari, rosa quo locorum
sera moretur.
5 Simplici myrto nihil adlabores
sedulus curo: neque te ministrum
dedecet myrtus neque me sub arta
vite bibentem.

TRADUZIONE

Fanciullo, odio gli sfarzi persiani, non mi piacciono le corone intrecciate con il tiglio**, smetti di cercare il luogo dove indugia la rosa tardiva. Mi interessa che tu, operoso, non aggiunga nulla al semplice mirto: infatti il mirto si addice a te, servo, e a me che bevo sotto uno stretto pergolato.

* Nella mitologia greca si narra che Afrodite, dea dell’amore, della bellezza e fertilità, moglie di Vulcano, uscita nuda dal mare venne inseguita dai satiri (figure mitologiche maschili che abitano boschi e montagne, personificazione della fertilità e della forza della natura) e trovò rifugio in un bosco di mirti. Secondo Ovidio (poeta elegiaco romano del 43 a.C.) invece Venere, nata dal mare, approdò sulla spiaggia di Citara (Ischia) e coprì le sue grazie con dei rami di mirto. (cfr. il mito della nascita di Venere QUI).

** philyra è il nome greco del tiglio, dalla cui corteccia si ricavava un filo per cucire

QUI trovate il testo, la traduzione e il commento. Per le informazioni sul mirto questa è la fonte. Un altro commento QUI.

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