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LICEO CLASSICO: LA SCUOLA DELLA BELLEZZA

bellezzaNella mia città l’unico liceo classico statale esistente è da anni in sofferenza. Gli allievi sono spaventati non tanto dall’impegno che tale corso di studi richiede, quanto dalla nomea della scuola stessa: rigida, antiquata, impegnativa al punto da dover rinunciare a tutto – sport, amici, passioni, amore… – per passare cinque anni devotamente in attesa sospirato diploma sudatissimo, costato lacrime e sudore.
Non credo sia davvero così, tuttavia questi sono i motivi addotti da alcuni miei allievi, quelli che considero “penne rubate al classico”, quando chiedo perché mai abbiano scelto il liceo scientifico.

Parliamoci chiaro: il liceo classico non è una scuola facile. Non lo era ai miei tempi (anche se onestamente non mi sono sacrificata più di tanto, forse per la facilità che ho sempre incontrato nello studio), lo è ancora adesso. Tuttavia, mentre decenni fa il classico era considerato il top degli studi superiori, ora è alquanto snobbato, considerato una scuola fuori dal tempo. Senza contare che sempre più è diffusa la convinzione che studiare latino e greco non serva a nulla. In altre parole, non si dà il giusto valore alla Cultura, con la ci maiuscola. Si preferisce guardare all’utilità degli studi, senza pensare che il liceo classico è stato frequentato in passato da giovani che poi sono diventati uomini di scienza, medici, avvocati, solo per citare alcune categorie. Non c’era alcun dubbio: se si voleva diventare qualcuno, era necessario frequentare il classico.

Oggi ho letto sul quotidiano locale, nella sezione Scuola (ovvero quella che pubblica i contributi degli studenti), una bella lettera aperta, scritta da una studentessa del liceo classico “Stellini”, ad un ipotetico futuro allievo del prestigioso liceo.

Eccone alcuni stralci.

[…] posso capire quello che ti intimorisce, poiché anch’io come altri, ho incontrato molte difficoltà. Le mie preoccupazioni erano la mancanza di tempo e la conseguente assenza di vita sociale.
Non nego che nel nostro liceo si debba dedicare molto tempo allo studio, ma ciò – con organizzazione e forza di volontà – non diviene un ostacolo né alla pratica di altre attività né alle relazioni sociali, e questo te lo posso dire con certezza, basandomi sulla mia esperienza.

Un secondo motivo che forse ti condiziona è la prospettiva di una faticosa e costante applicazione allo studio.

[…] io percepisco un quotidiano arricchimento personale; a questo proposito cito Ovidio, uno dei molti testimoni dell’importanza di una formazione classico-umanistica:

«Costruisci per tempo uno spirito che duri a sostegno della bellezza: è l’unica dote che permane fino all’ultimo giorno di vita. Metti ogni cura a coltivare il tuo animo con le nobili arti e impara a fondo le due lingue dell’impero».

[…] Voglio confutare un’altra opinione diffusa: gli studenti dei licei classici, usciti dall’università, hanno poche probabilità di trovare un lavoro, “non hanno un futuro”. In primis, non è vero (perlopiù la nostra scuola non esclude indirizzi scientifico-matematici), secondariamente, questo tipo di affermazioni mi sembra riduttivo: con futuro, intendiamo solo trovare un lavoro?

No, io credo che prima di tutto sia il tipo di persona che ognuno di noi vuole diventare, ciò che si vuole donare al mondo e il segno che vi si vuole lasciare: non c’è futuro senza ambizioni (e il liceo classico ti dà la possibilità di permettertele) né senza passato (ed è per questo che ci dedichiamo tanto allo studio della storia e delle lingue antiche).

[…] queste “cose inutili” sono il nostro patrimonio, la sola cosa che realmente abbiamo e che rimane, l’unica vera forza dell’uomo.
È questo che mi ha insegnato la mia scuola: il valore della bellezza, che sta pure in ciò che studiamo…
Veronica Cojaniz

LINK all’articolo originale da cui è tratta anche l’immagine.

QUANDO IL TAR SALE IN CATTEDRA: STUDENTE DEL CLASSICO PROMOSSO DAI GIUDICI

bocciato-ricorso
Non è certo la prima volta che un Tribunale Amministrativo Regionale “promuove” uno studente bocciato dai propri insegnanti. Ma la sentenza del TAR del Lazio che ha annullato la bocciatura di uno studente di un liceo classico romano mette in discussione la capacità di un intero Consiglio di Classe o di gran parte d’esso (l’ammissione o meno alla classe successiva deve essere, infatti, approvata all’unanimità o a maggioranza) di valutare un percorso annuale di studi.

Lo studente era stato respinto perché aveva ottenuto un profitto negativo in Matematica (3), Fisica (4) e Storia dell’Arte (3). Tre insufficienze che denotano, per essere così gravi, quasi un disinteresse nei confronti delle materie in questione. Certo, stiamo parlando del liceo classico e sappiamo tutti che, a parte i casi di studenti con un curriculum eccellente, chi si iscrive al classico ritiene di “non essere portato” per le materie scientifiche.

Passi, dunque, per la Matematica e la Fisica, ma con la Storia dell’Arte come la mettiamo? Non mi pare che possa essere considerata disciplina scientifica. Direi, anzi, che in un liceo classico sia di fondamentale importanza lo studio dell’Arte, dato che le antiche civiltà ne sono la culla.

Tornando alla sentenza, i giudici del TAR hanno annullato la bocciatura accusando i docenti di non avere adeguatamente valutato la preparazione complessiva dello studente, all’interno della quale un 3 in matematica e un 4 in fisica sarebbero meno gravi trattandosi di un liceo classico.

Ma io dico: come fanno ad essere meno gravi dei 3 e dei 4? Passi per dei 5, ma insufficienze così gravi oltre a denotare, come già detto, un disinteresse nei confronti della disciplina, manifestano apertamente le scarse attitudini (all’impegno, allo studio, al senso di responsabilità …) che in genere vengono richieste a tutti gli studenti liceali.

Insomma, non esiste solo il liceo, tanto meno esiste solo quello classico che rimane la scuola superiore più difficile che esista. Quella che insegna soprattutto che nulla si ottiene senza sacrificio.

Una volta gli uomini di Legge frequentavano obbligatoriamente il liceo classico. Non so a quale generazione appartengano questi giudici e non so se abbiano o meno studiato al classico. Se l’hanno fatto, forse si sono dimenticati cosa significhi.

INVITO TUTTI A LEGGERE QUESTO INTERESSANTE EDITORIALE DI GIOVANNI BELARDELLI PER IL CORRIERE.IT

[immagine da questo sito]

“LUCIANO E LA MATURITÀ DEL FUTURO” di CRISTINA dell’ACQUA

lucianoUna collega con cui “cinguetto” volentieri da qualche tempo ha scritto un bel commento sul testo di Luciano di Samosata (ca.120-post 180 d.C.) proposto come seconda prova dell’esame di Stato per i maturandi del liceo classico. Il titolo stesso, “L’ignoranza acceca gli uomini”, offre ottimi spunti di riflessione:

Il messaggio è forte – osserva dell’Acqua –: la conoscenza è la strada per costruirsi uno spirito critico. Allora perché accontentarsi della traduzione di un testo così ricco e non pensare, per il futuro, a una prova che preveda anche un commento “maturo” da parte degli studenti.

La prof.ssa Cristina dell’Acqua, oltre a tradurre e commentare in modo impeccabile il brano in cui gli studenti si dovevano cimentare, ha riportato, nell’articolo pubblicato sul sito educationduepuntozero.it, una bella riflessione, concernente la tipologia della prova proposta, che parte da un’osservazione:

[…] il messaggio di Luciano è notevole: le calunnie sono pericolose, minano il giudizio personale e persino i rapporti affettivi. […] l’ignoranza è il motore degli eventi, essa è la fonte primaria dei mali per gli uomini. Solo dalla conoscenza e dal senso critico possono venire azioni autonome.
La scelta di questo testo contiene un dono che si può trasformare in “possesso” per i maturandi e vederlo “solo” come una prova di traduzione la trovo un’occasione sprecata
. (PER LEGGERE L’INTERO ARTICOLO CLICCATE QUI)

Pur riferendosi alla seconda prova dell’esame di Stato per il liceo classico, trovo la riflessione di Cristina utile anche a chi, come me, insegna Latino allo scientifico.
Ma a questo argomento dedicherò un altro post, per non portare via la “scena” alla collega Cristina. 🙂

BUONA LETTURA!

IO DIFENDO IL LICEO CLASSICO

Classicidentro
Sta avendo un notevole successo l’iniziativa “Classici dentro”, portata avanti dai licei E.Q. Visconti, Virgilio e Giulio Cesare di Roma che nella trasmissione della cultura classica riconoscono il senso della loro azione e formazione nel panorama romano, sostenuti dall’USR Lazio che se ne fa principale promotore.

Com’è noto, da alcuni anni il Liceo Classico registra in Italia un sensibile calo di iscrizioni che si inserisce in una più ampia crisi degli studi umanistici. Il progetto “Classici dentro” si pone, quindi, l’obiettivo di sensibilizzare la società civile e i decisori politici ad una riflessione su senso e fini della formazione superiore oggi, nella società della conoscenza.

Per chi vuole saperne di più tramite questo LINK può accedere al sito dell’iniziativa ed essere messo al corrente delle attività e promozioni passate, presenti e future.

Il greco antico… perché studiarlo?

Studia Humanitatis - παιδεία


«[…] Probabilmente nessuno di noi, quando, attorno ai 13/14 anni, ha deciso di iscriversi al Liceo Classico sapeva bene che senso avesse fare questo genere di studi. Io non mi sono posta il problema e ho scelto questo tipo di scuola semplicemente perché mi “incuriosiva” e perché mi affascinavano i grandi testi del passato. Poi ho continuato a farlo, trasformandolo, diciamo così, in un lavoro. Ma non è questa la strada che seguirà la gran parte di voi. Qualcuno, certo, si iscriverà a Lettere e continuerà lo studio del greco, ma molti faranno altro: tempo sprecato, allora, studiare il greco? Non credo proprio, ma cerchiamo di vedere perché.
Per rispondere provo a partire da un “no”, che è forse la nostra unica e indiscutibile certezza. Non si studia il greco per parlarlo. Proprio il fatto che si tratti di una “lingua morta” ci permette di impostare un metodo di studio…

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DOVE TI ISCRIVO IL PUPO? DOVE NON C’È IL LATINO di Alessandro D’Avenia

Dal momento che non è possibile rebloggare il post, riporto l’inizio di una condivisibile riflessione sulle iscrizioni alle scuole superiori che Alessandro D’Avenia ha pubblicato sul suo blog.

D'AveniaI dati delle iscrizioni alle scuole superiori parlano chiaro: cala la richiesta di formazione umanistica (classico e scientifico tradizionale) e cresce quella applicata e spendibile (lingue e scientifico, nella versione scienze applicate o tecnologico , cioè senza latino).

Questo riguarda quasi il 50% degli iscritti.
L’altra metà continua a guardare alla formazione professionale e tecnica che, per fortuna, rimangono forti (se solo le curassimo di più invece di farne troppo spesso un contenitore di frustrazioni sociali…). Le famiglie italiane e i loro figli si orientano quindi verso ciò che apparentemente dà più certezza di lavoro e quindi di futuro. Non tutti i mali vengono per nuocere. I ragazzi in questa epoca hanno bisogno di maggiore rigore logico. La loro relazione con la realtà è emotiva e reattiva.

L’abitudine al ragionamento astratto, alla logica matematica, potrebbe aiutare ad acquisire maggior raziocinio e dominio di sé. Potrebbe. Resta chiaro che la formazione umanistica è in declino, come la cultura occidentale. I licei classici sono spesso luoghi autoreferenziali in cui ci si lamenta del fatto che i ragazzi non leggono più, non si interessano più, lo schermo del loro smart­phone ​è stranamente più interessante delle declinazioni… Prevale la geremiade senza soluzione. Per carità, la geremiade ha la sua ragion d’essere, ma viene spesso e giustamente da un docente attempato che non ha stipendio e voglia sufficienti a cercare soluzioni totalmente o parzialmente nuove.

E non lo fa perché le soluzioni nuove – diciamocelo chiaro – richiedono più lavoro: più ore di lavoro. Se la scuola si salva è per il volontariato di quei docenti (di qualunque età) che amano lavoro e ragazzi e in qualche modo riescono a realizzare queste nuove pratiche in modo individuale o a piccoli gruppi, ma non riescono poi a farle diventare pratiche virtuose di sistema. Perché? Perché sono oggetto di invidia, pettegolezzo, in quanto minaccia per il quieto e pigro vivere generale. Non basterebbe chiedere ai professori migliori cosa e come fanno? CONTINUA A LEGGERE >>>

PROF IN TRINCEA? NO, IN GIARDINO

Da qualche tempo seguo il blog di Alessandro D’Avenia, giovane professore di lettere nonché scrittore affermato, dopo il successo di Bianca come il latte rossa come il sangue, replicato dall’ultimo nato, il bel romanzo Cose che nessuno sa.

Mi piace molto come scrive, senza abbondare in retorica ma rinunciando, finalmente, al linguaggio gretto e scurrile che gli scrittori moderni, tipo Federico Moccia, utilizzano nel tentativo di far breccia nel cuore delle ragazzine, felici fruitrici di mediocri romanzi romantici dove il bello di turno è anche maledetto … fino a redenzione subita per amore, solo per amore.

Dai romanzi di Alessandro D’Avenia traspare soprattutto la sua abilità scrittoria nonché la cultura che ha solide basi classiche che spesso e volentieri fanno capolino tra le pagine di Cose che nessuno sa, anche quando nessuno se l’aspetterebbe.

Leggendo il suo blog (dove perlopiù pubblica articoli che scrive su varie testate o le interviste che concede ai giornalisti, quando non fa i resoconti delle presentazioni del romanzo, in giro per l’Italia) mi sono resa conto che Alessandro non è solo uno scrittore straordinario, nel vero senso della parola, ma è anche un professore sui generis. Innamorato della sua professione, dei suoi studenti, dei libri che legge ad alta voce affascinando quel pubblico di uditori spesso distratti come sanno essere degli adolescenti costretti per ore in un’angusta aula scolastica.
Io credo al prof D’Avenia quando dice di riuscire a catturare l’attenzione dei suoi studenti, gli credo quando afferma che riesce a leggere in poco tempo interi libri dell’Iliade. Io non ce la farei e in un primo momento mi sono chiesta come ce la faccia lui. Ma poi ho capito che lui certamente ha il carisma che noi prof, che facciamo solo i prof, che mettiamo solo voti, che giudichiamo i nostri studenti nell’orale e nello scritto, che abbiamo poco tempo per discutere sui temi cari alle giovani menti e agli spiriti ancora acerbi … noi non ce la facciamo ad affascinarli così tanto semplicemente perché noi siamo solo dei docenti, non scrittori affermati che vengono presi dì’assalto da fan urlanti che invocano un autografo. Noi firmiamo solo note sui libretti, tutt’al più. E qui sta la differenza.

Detto questo, spero che nell’improbabile caso in cui D’Avenia legga questo mio post, non si senta offeso perché io, anzi, lo stimo, lo apprezzo moltissimo, vorrei essere come lui, non solo per catturare l’attenzione del pubblico in classe, ma anche perché, se fossi come lui, vorrebbe dire che finalmente avrei pubblicato un libro, avrei realizzato il sogno della mia vita. Il mio intento, in questo lungo preambolo, era quello di far capire a chi mi legge che io sono davvero un’estimatrice del giovane siciliano trapiantato al nord, nella città della Madonnina. E lo ribadisco perché ciò che sto per riportare, dal blog di Alessandro, sarà più chiaro.

Tempo fa, in un’intervista in cui si chiedeva di commentare il drastico calo di iscrizioni al liceo classico, D’Avenia aveva dichiarato la sua convinzione che gli studi umanistici sono ancora in grado di appassionare gli allievi e che il liceo classico merita un rilancio. Anzi, gli studi umanistici secondo lui vanno potenziati. A partire dalle medie. Per D’Avenia il latino dovrebbe essere inserito fin dalla prima media. «Lo studiavano 50 anni fa, gli studenti di oggi non sono diventati più scemi, siamo noi che abbiamo abbassato il tiro». (LINK)

Oggi sul blog il prof-scrittore ha pubblicato la lettera di un collega che insegna al liceo classico e che, con tono rassegnato e amaro, esprime il suo parere: gli studi umanistici non vanno più bene, oggi serve altro, con il latino ed il greco non si trova un lavoro, scenari più ampi si aprono studiando l’inglese e l’informatica.

Non mi dilungo a parlare di questa lettera che sembra tanto quella di un professore di liceo classico ormai stanco, demotivato ed arreso di fronte ai molteplici interessi dei giovani d’oggi che, a suo parere, cercano altro, soprattutto la promozione facile, senza fatica. E il classico, con la lingua di Cicerone e quella di Socrate sembra precludere questa possibilità. Senza contare i genitori che remano contro

Insomma, com’era facile immaginare, Alessandro non è per nulla d’accordo con il collega. Nella replica alla sua lettera, ha scritto delle cose molto belle, secondo me. Ve ne riporto qualche stralcio, invitandovi alla lettura completa del post a questo LINK.

[…] Lei dice che oggi il professore di lettere (classiche in particolare) «è un uomo solo e un soldato di trincea».

Mi spiace, ma io non mi sento in guerra con nessuno e se lei lo è le auguro finisca presto: nessuno sta bene in trincea. Io sono in bella compagnia degli autori che studio e insegno, non ho nemici che, dal contenuto della sua lettera, immagino siano i ragazzi (e i genitori dietro di loro). Il paragone che usa però è illuminante: proprio questo è il problema, molti oggi nella scuola si sentono in trincea. E lo capisco. La scuola è diventata una guerra, ma se c’è una cosa che dobbiamo cambiare è proprio questa. La scuola è una relazione tra genitori, docenti e studenti, alleati verso un fine comune: l’educazione armonica degli stessi studenti, docenti, genitori, in un rapporto che se curato, anche con fatica, porta tutti a crescere. Come mai invece tutti si fanno la guerra? Non sarà che non stiamo curando quella relazione come sarebbe necessario?

Un maestro è colui che risveglia in un altro essere umano forze e sogni potenziali e ancora latenti. Egli è chiamato a fare della propria unicità e del proprio intimo coltivarsi (la sua cultura) un dono al discepolo, che altrimenti non desidererà coltivare sé stesso, scoprendo chi è e che storia irripetibile è venuto a raccontare. Il maestro in sostanza è un pro-vocatore: uno che chiama l’altro ad assumere la propria vita come compito, come vocazione. Io non sono in trincea, non mi nascondo sottoterra, ma lavoro la terra. Mi sento invece un giardiniere che si prende cura delle sue piante, le difende e le aiuta a crescere dritte verso la luce per mettere radici più profonde. La cultura è il concime, l’acqua e le cure perché il seme dia frutto. Inoltre non sono per niente «solo» come dice lei di sentirsi. […]

Se ai ragazzi tutto quello che noi abbiamo da dare non arriva, il problema non è di «sistema», ma di «persone» che ci vivono e lo alimentano. Dobbiamo fermarci e riflettere, trovare soluzioni nuove. La cultura dà frutto solo se prende tutta la persona nel suo concreto esistente, non in astratto, e i ragazzi spesso ravvisano nella vita della scuola una sorta di grande finzione.

Non Le scrivo dall’eden della scuola, ma dalle normali fatiche di un giardino difficile, da difendere giorno per giorno dagli attacchi della scirocco, della tramontana, delle cavallette e della mia pigrizia. Ma di una cosa sono sicuro: quel giardino non è la mia trincea e a lavorare in quel giardino non sono solo, altrimenti non saremmo qui a dialogare.