CAPITOLO 4: PIA DE’ TOLOMEI

«Ripreso il percorso verso Siena, dopo le curve di una breve salita e di una successiva discesa, la strada viene affiancata per un tratto abbastanza lungo, alla sua destra, dal corso del torrente Rosia. A un certo punto sopra il torrente si scorge, subito alla destra della strada, un esile ponte senza spallette, un arco in perfetto semicerchio, con un malridotto acciottolato da cui spuntano ciuffi d’erba, mentre sulla sponda opposta resiste un pezzo di muro, che fa argine al torrente. Questo scorre con modesto gorgogliare della poca acqua, tra ciottoli, ghiaia e grossi massi che si affacciano qua e là. Si tratta del ponte della Pia: quello che, secondo la leggenda, nelle notti di luna piena, viene attraversato dal fantasma inconsolabile della Pia de’ Tolomei. “Dolente Pia, innocente è prigioniera”, canta la senese Gianna Nannini nella sua opera rock (e nel relativo album), un po’ femminista, Pia come la canto io, con parole della scrittrice lucchese Pia Pera, anche lei Pia, poi prematuramente scomparsa nel 2016.» (Giulio Ferroni, L’Italia di Dante, La nave di Teseo, Milano 2019, pag. 791)

     Potremmo chiamarlo, nel linguaggio tristemente moderno, un femminicidio quello di Pia. Il personaggio dantesco, di incerta identificazione, è collocato dal poeta fiorentino tra i morti di morte violenta che attendono il momento dell’espiazione nel secondo balzo dell’Antipurgatorio.

     Di quale colpa dovette pentirsi la Pia che, con voce pacata da cui traspare un animo delicato, chiede a Dante:

«Deh, quando tu sarai tornato al mondo

e riposato de la lunga via”,

seguitò ‘l terzo spirito al secondo,

“ricorditi di me, che son la Pia;

Siena mi fé, disfecemi Maremma:

salsi colui che ‘nnanellata pria

disposando m’avea con la sua gemma».                              (Purgatorio, V, 130-136)

Quando tornerai sulla terra, con calma e non prima di esserti riposato dal lungo viaggio, ricordati di me. Una richiesta davvero inusuale per la delicatezza, anche se non rara considerando che le anime del Purgatorio, accorgendosi della corporeità di Dante, spesso gli chiedono di intercedere presso i familiari affinché la loro permanenza nel secondo mondo ultraterreno sia resa più breve grazie alle preghiere dei vivi. Qui la richiesta, però, è diversa: possiamo supporre che nessuno dei parenti di Pia avesse a cuore la sua sorte nell’Aldilà, quindi sarà il poeta a ricordarsi di lei una volta conclusa la sua avventura straordinaria.     

L’umanissimo intervento di Pia potrebbe rappresentare il senso reale del viaggio dantesco nell’oltretomba: un viaggio che all’inizio spaventa il pellegrino, il quale a tratti vorrebbe accelerare il passo per abbreviare la sua permanenza in un luogo che certamente non si aspettava di visitare in carne e ossa, un viaggio tanto necessario quanto faticoso che lo porterà, lungo il percorso, a deporre via via il peso dei peccati preparandosi alla ricompensa finale, la visione di Dio. Pia in un certo senso vuole ricordare al viaggiatore anche la fatica del ritorno su cui grava il peso di una grande responsabilità: ricordare e narrare in modo quanto più possibile fedele la sua esperienza. Come vedremo, la fatica maggiore sarà ripercorrere il suo vissuto nel Paradiso a causa della inadeguatezza della lingua e dei limiti del suo essere uomo e non anima.

     Siena mi fé, disfecemi Maremma spiegherebbe il fatto che, senese di nascita, Pia morì nella Maremma toscana forse per mano del marito (colui che ‘nnanellata pria / disposando m’avea con la sua gemma) nel 1297. Con il verbo inanellare Dante fa riferimento alla promessa di matrimonio mentre con disposare vuole indicare il matrimonio vero e proprio. Secondo un’altra interpretazione disposando sarebbe da ricondurre al secondo matrimonio della donna, cosa effettivamente reale come vedremo.

     Al di là della scarna testimonianza dantesca, la storia della senese Pia ebbe un certo successo nei secoli a venire e fu di certo romanzata, forse al punto da perdere ogni legame con la verità storica. La sua fama in tempi più recenti si può attribuire all’opera lirica di Gaetano Donizetti, su libretto di Salvadore Cammarano, intitolata semplicemente Pia de’ Tolomei, rappresentata nel 1837 a Venezia. Cammarano prese spunto da un poema scritto nel 1822 da Bartolomeo Sestini, un giovane senese, il quale, oltre ad aver presente il breve passo compreso nella Commedia, si era rifatto a una novella di Matteo Bandello (Novelle, I, 12. Un senese truova la moglie in adulterio e la mena fuori e l’ammazza) e ad alcuni canti popolari che tramandavano la leggenda dell’antica concittadina. Il modo in cui la donna trovò la morte è incerto: secondo quanto tramandato dagli antichi commentatori, sarebbe stata strangolata dal marito oppure lasciata morire di fame o forse sarebbe stata uccisa da un servo su mandato del consorte.

     Dolente Pia, innocente è prigioniera, canta la senese Gianna Nannini. Perché prigioniera, benché innocente? Ragionevolmente Dante, collocando l’anima di Pia nel secondo regno del mondo ultraterreno, ammette la sua colpa e il tardivo pentimento, comune a tutte le anime del Purgatorio. Ma la donna, pur ammettendo la sua colpevolezza, fu soprattutto vittima. Così vuole la leggenda.

     A Gavorrano, Comune italiano in provincia di Grosseto, si trova il cosiddetto “salto della contessa” in ricordo della fine violenta di Pia: si tratta di una rupe collocata sotto il Castel di Pietra, forse residenza della contessa Pia che andò in sposa a Nello dei Pannocchieschi, un nobile impegnato in politica nel ruolo di podestà di Volterra, di Sassuolo e di Lucca tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo. Stando a quanto si tramanda nella cittadina toscana, il femminicidio si sarebbe compiuto facendo precipitare la donna da un balcone del castello.

     La causa dell’efferato delitto non è chiara ma è diffusa la voce secondo la quale Nello, deciso a sposare in seconde nozze Margherita Aldobrandeschi, nobildonna decaduta già sposa di Orso della famiglia Orsini, si fosse sbarazzato della prima moglie uccidendola. Si sarebbe macchiato anche di un altro delitto, avendo fatto assassinare, nel 1303, il figlio tredicenne che Margherita aveva avuto dal precedente marito.

     La ricostruzione scarna e assai incerta della biografia di Pia, sebbene giustifichi la morte violenta, non dice nulla della colpa che ella avrebbe dovuto scontare nel Purgatorio. L’unica spiegazione plausibile, anche se non sorretta da prove certe (come d’altra parte tutta la vita di questa donna che deve la sua notorietà al passo dantesco), potrebbe essere una presunta infedeltà che il marito avrebbe punito con il “salto della contessa” dal balcone del Castel di Pietra. Ciò confermerebbe che l’uxoricidio fosse un pretesto per poter contrarre il secondo matrimonio.

     Nel ricostruire la vita di Pia, a partire da quel “cognome” che nulla ha a che vedere con l’uxoricida Nello, quasi tutti sono concordi nel ritenere che ella appartenesse a una famiglia di nobili banchieri, i Guastelloni di Siena, e che avesse sposato in prime nozze Baldo d’Aldobrandino dei Tolomei, morto nel 1290 dopo aver avuto dalla donna due figli. Deceduto il primo marito, del quale nei versi danteschi mantiene il cognome, avrebbe poi sposato il Signore di Castel di Pietra divenuto poi il suo assassino.

     Dati storici a parte, la leggenda di Pia è ben nota nella Maremma toscana. A Gavorrano, infatti, si tiene annualmente, la prima domenica di agosto, una tradizionale rievocazione storico-medievale della tragica storia d’amore di Pia, detta appunto il “Salto della Contessa”. Come raccontato da Ferroni nel suo libro I luoghi di Dante, è ancora viva una leggenda sul ponte, denominato “della Pia”, che la donna avrebbe percorso per recarsi in esilio a Castel di Pietra dove poi trovò la morte. È situato nei pressi di Rosia ed è del tipo a schiena d’asino, costituito da una sola arcata a tutto sesto e sorretto da un basamento a scarpa, edificato in epoca romana e successivamente ricostruito attorno all’anno Mille, per far sì che le acque del torrente sottostante non indebolissero le sue fondamenta.

     Chiunque sia stata la Pia, quel ricorditi di me… è uno dei passi più struggenti della Commedia ed è probabile che la biografia della nobildonna senese vissuta nel 1200 sia stata letteralmente inventata proprio a partire dal passo dantesco attraverso i pochi e incerti riferimenti al personaggio rintracciabili negli archivi.

     Un altro femminicidio cui Dante fa riferimento dopo la narrazione dell’uccisione di Francesca da Rimini. E forse non è un caso che entrambe le donne siano citate nel V canto dell’Inferno e del Purgatorio.

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Gli altri capitoli di questo studio

INTRODUZIONE

CAPITOLO 1: LE FIORENTINE

CAPITOLO 2: FRANCESCA DA RIMINI

CAPITOLO 3: DIDONE

CAPITOLO 5: MATELDA

CAPITOLO 6: PICCARDA DONATI E COSTANZA D’ALTAVILLA

CAPITOLO 7: BEATRICE