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UDITE UDITE: PER L’ONOREVOLE ILARIA CAPUA GLI INSEGNANTI ITALIANI SONO PAGATI ANCHE TROPPO

capuaC’eravamo quasi dimenticati dell’infelice uscita di Renato Brunetta che, nel settembre 2010, aveva dichiarato: “Abbiamo un corpo insegnante forse tra i più pletorici generosi dei paesi industrializzati le performance della scuola non sono le migliori, il livello di apprendimento dei nostri scolari non è paragonabile a quello degli altri paesi. Il sistema costa tanto e rende poco. Non è neanche vero che gli insegnanti sono pagati poco, perché in altri paesi guadagnano di più perché lavorano di più.”(ne ho parlato QUI)

Non avevamo dimenticato, invece, il più recente progetto dell’ex premier Monti che ci voleva aumentare l’orario da 18 a 24 ore di cattedra, con l’unico scopo di risparmiare sugli stipendi e di creare un po’ di disoccupazione. Le battute infelici possiamo anche dimenticarcele, gli insulti no. E quella proposta era un vero e proprio insulto nei confronti di chi lavora seriamente, ben oltre le 18 ore passate in aula, e che vuole continuare a farlo.

Ma il Montipensiero fa proseliti e la calza della befana ci ha portato un regalo inatteso: l’intervista dell’onorevole Ilaria Capua (Scelta Civica) a Tuttoscuola (LINK)
Fra le altre (infelici) cose dette, c’è qualcosa che conferma, anche se onestamente non ne sentivamo il bisogno, di quanto poco del nostro lavoro capisca chi fa politica.

Il corpo docente è profondamente sottoutilizzato. Perché i professori lavorano 18 ore a settimana e hanno un giorno libero: questo oggigiorno non lo può fare nessun lavoratore. Occorre utilizzare gli insegnanti facendoli lavorare qualche ora in più a settimana: per contribuire al recupero degli allievi più fragili, per organizzare dei centri estivi, per andare incontro alle famiglie e ai bisogni della società odierna, diversa da quella di 20/30/40 anni fa, quando la scuola è stata arricchita di un corpo insegnante così numeroso. Penso che nessun lavoratore abbia così tanti privilegi. I docenti dicono di essere pagati poco, ma secondo me non sono poi pagati così tanto poco …”

Io cerco di non arrabbiarmi e per questo mi tengo calma. Dico solo che, parlando di privilegi, le mie lunghe vacanze di Natale sono state, com’era prevedibile, di grande lavoro con 150 prove da correggere. In pratica mi sono concessa solo due giornate senza compiti: il 25 dicembre e il 1 gennaio. Per il resto, ho sempre lavorato.

Alla signora onorevole, che fa la veterinaria – almeno faceva, visto che ora è occupata in politica, attività che le permette di godere di ben altri privilegi e soprattutto di ben altro stipendio – dico solo: «Venga pure a fare il mio lavoro, cara signora, e dopo mi saprà dire se i soldi che guadagno al mese, dopo trent’anni di “carriera”, sono troppi».

Ah, un’ultima cosa: io lavoro sabato e sto a casa lunedì. Che mi dice di tutti gli impiegati che hanno il sabato libero? Davvero è convinta che “questo oggigiorno non lo può fare nessun lavoratore”? E poi, con la sua laurea in veterinaria andrebbe a lavorare in un centro estivo? Io con la mia in Lettere no. E non dica che sono choosy, per favore. Tanto a scuola fino a metà luglio ci starò ugualmente: a fare i corsi di recupero per gli studenti con il Debito Formativo, le verifiche e gli scrutini. Come vede non ho alcun bisogno di essere spedita in un centro estivo. Anche se … là forse almeno mi riposerei.

SVENTATO (PER ORA) IL PERICOLO DELL’AUMENTO DELL’ORARIO, SI RIPARLA DELLA DIMINUZIONE DI UN ANNO DELLE SUPERIORI

Non c’è nulla da fare: sulla scuola i tagli s’han da fare, in una maniera o nell’altra.

Cancellato dal ddl stabilità l’aumento dell’orario per i docenti della scuola secondaria di primo e secondo grado (e ci siamo pure presi una bacchettata dal premier Monti), pare che il governo stia partendo al contrattacco. Secondo delle indiscrezioni riportate da Tuttoscuola.com, infatti, a Palazzo Chigi, mentre si discuteva dello sblocco degli scatti di anzianità per il 2011 (e tanto è bastato per sospendere lo sciopero del 24 u.s. da parte della maggioranza delle sigle sindacali), il discorso è scivolato sull’eventualità di accorciare di un anno il percorso di studi.

L’ipotesi di anticipare l’ingresso alla primaria a 5 anni è naufragata per il possibile effetto della doppia annualità di partenza e della determinazione di un’onda anomala lunga dodici anni con l’aumento del 20% dell’organico di scuola primaria. Impraticabile pure la riduzione di un anno della scuola secondaria di primo grado (ex scuola media) già proposta dodici anni fa dal ministro Berlinguer e non accolta con favore dai docenti.

Cosa rimane, dunque, per abbreviare il corso di studi e “licenziare” gli studenti a diciotto anni, come in gran parte d’Europa? Solo la decurtazione della secondaria di secondo grado. Anche questa proposta non è nuova. L’intenzione era più che manifesta nella riforma Gelmini: i cinque anni, infatti, sono stati suddivisi in due bienni e un anno conclusivo. Che c’è di più facile, dunque, dell’eliminare quell’ultimo anno? Certo, sulla carta è molto facile, tuttavia bisogna fare i conti con i programmi che dovrebbero essere completamente rivoluzionati e “spalmati” su quattro anni anziché cinque.

Naturalmente questa proposta ancora in germe ha solo ed esclusivamente un obiettivo: tagliare i posti di lavoro e, perciò, risparmiare sugli stipendi. A conti fatti, porterebbe alla riduzione del 20% delle 220mila cattedre attualmente esistenti, con la conseguente perdita di circa 44 mila posti per gli insegnanti. Se poi consideriamo che l’innalzamento dell’età pensionabile costringe a stare in cattedra i docenti ben oltre i 65 anni, la situazione potrebbe risultare catastrofica per i giovani insegnanti e per quelli, meno giovani, immessi in ruolo negli ultimi anni.

C’è, tuttavia, un’altra considerazione da fare. Gli studenti, a detta dei docenti universitari, sono sempre più ignoranti. Forse i nostri governanti sperano che, accorciando la durata della scuola superiore, si diano maggiormente da fare, sollevati dalla prospettiva di diplomarsi in meno tempo e, quindi, annoiandosi di meno?

E della scuola media non si parla mai. Non si dice, ad esempio, che è ferma al 1979, almeno per quel che concerne i programmi e lo spirito del ciclo di studi: preparare gli alunni ad affrontare il mondo del lavoro. Tuttavia, nel frattempo è stato elevato l’obbligo scolastico a 16 anni, includendo, dunque, anche il biennio della scuola superiore. Il tutto, senza un corretto adeguamento del biennio stesso che, diverso per i licei, gli istituti tecnici e professionali, di fatto non completa l’istruzione degli allievi che, nel caso in cui decidano di non frequentare oltre le scuole superiori, si trovano in balia del nulla, visto che la formazione professionale non ha il dovuto rilievo ed è scarsamente pubblicizzata. Insomma, un obbligo scolastico che si rispetti, dovrebbe contemplare un biennio unico, come prolungamento della scuola media, e dare ampie e corrette informazioni sulle opportunità che chi lascia gli studi “regolari” può avere.

In conclusione, nell’ambito dell’istruzione ci sono numerose lacune da colmare, a partire da una riforma seria della scuola media. E invece il nostro governo parla di accorciare la durata della scuola superiore, ritenendo la proposta di grande utilità alla scuola del futuro per arrivare al 2014 con un lavoro preliminare alle spalle. Continuando a spacciare per innovative proposte che hanno il solo scopo di risparmiare. E con quale coraggio si può anche solo pensare che la qualità dell’istruzione migliori senza investire e continuando a tagliare?

[immagine da questo sito]

MONTI DA FAZIO BACCHETTA I DOCENTI MA NON SA QUEL CHE DICE

Non ho visto l’intervista che Fabio Fazio ha fatto ieri al premier Mario Monti nel corso del programma di Rai 3 “Che tempo che fa”. Ho guardato il video e ritengo che sia molto grave l’aver bacchettato i docenti, rei di non aver accettato l’aumento dell’orario di cattedra da 18 a 24 ore (dal 28° minuto del video). In particolare, trovo offensivo che il presidente del consiglio parli di spirito conservatore e di corporativismo a proposito dei docenti, il cui comportamento andrebbe contro l’innovazione e l’ammodernamento del sistema scolastico. Trovo anche molto ipocrita che insista a mandare un messaggio falso che contribuisce ad influenzare l’opinione pubblica, da cui noi docenti siamo sempre criticati e giudicati, anche senza alcuna competenza da parte di chi ci attacca. Dovrebbe avere l’onestà di ammettere che ogniqualvolta si fanno proposte in merito alla scuola, si pensa solo a tagliare i posti di lavoro e peggiorare la qualità dell’istruzione.

A questo proposito, condivido le parole del segretario nazionale della CGIL Domenico Pantaleo, riportato da OrizzonteScuola.it.

Le dichiarazioni rese dal Presidente del Consiglio alla trasmissione televisiva “Che tempo che fa” sono gravissime perché offendono la scuola pubblica e gli insegnanti.

Confermano il carattere autoritario e liberista del Governo Monti, espressione dei banchieri e dei poteri forti, che intende privatizzare l’istruzione pubblica.

Il presidente del Consiglio non sa di cosa parla.

L’aumento dell’orario di lavoro a parità di salario era di 6 ore e non di 2, violava il contratto nazionale e non riconosceva le altre ore funzionali all’insegnamento. Si confonde l’orario di funzionamento delle scuole con quello di lezione frontale e, peraltro, senza alcuna attenzione al rapporto tra qualità della didattica e orario. Per queste ragioni il Parlamento ha cancellato quella norma con un emendamento.

Se qualcuno ha in testa di riproporre il tema dell’aumento dell’orario sappia che la FLC CGIL non è disponibile ad aprire alcuna discussione se non nell’ambito del rinnovo del contratto nazionale.

I veri conservatori sono Monti e Profumo che non hanno alcun progetto di innovazione della scuola pubblica italiana e stanno continuando sulla stessa linea di tagli del precedente Governo.

Sono lontani anni luce dai problemi veri dell’Italia e stanno portando il sistema d’istruzione al fallimento sociale. Alla disperazione delle nuove generazioni, vittime delle loro politiche di austerità, non offrono alcuna risposta. Ma non ci fanno paura perché siamo riusciti a realizzare con gli studenti una forte unità che saprà ricostruire una scuola migliore e aperta a tutti. Continueremo a rivendicare più salario, più diritti e più qualità del lavoro rinnovando il contratto.

Non arretreremo nella richiesta di stabilizzare i precari, cancellare le norme odiose sugli inidonei e rivedere le norme sulle pensioni.

Il 24 Novembre è stata un’ulteriore tappa della mobilitazione che continuerà per sconfiggere i conservatori che vogliono affermare le logiche aziendali anche nella scuola pubblica mentre fanno di tutto per garantire i privilegi delle private.

In tutte le scuole resteranno in piedi tutte le azioni di lotta decise nelle settimane scorse.

SUCCESSO SCOLASTICO: DALLA COREA DEL SUD ABBIAMO SOLO DA IMPARARE

Secondo l’istituto di ricerca Bruegel di Bruxelles (che ha avuto Mario Monti tra i suoi fondatori), citato in un recente articolo di Federico Rampini su Repubblica, la Corea del Sud costituisce un modello particolarmente virtuoso di uscita dalla crisi, essendo riuscita, anche grazie a rilevanti interventi di spesa pubblica, a superare del 10%, nel terzo trimestre del 2011, il PIL realizzato prima della crisi del 2008.

È convinzione diffusa che buona parte della forte ripresa economica della Corea del Sud si debba alla solidità e all’efficienza del suo sistema educativo, che porta quasi tutti i suoi giovani al diploma di istruzione secondaria (97%) e due terzi degli under 30 alla laurea e ad altri titoli di istruzione superiore.

È vero che, dopo il diploma, fortissima è la competizione e durissima la selezione (esclusivamente meritocratica) per entrare nelle migliori università, ma è anche vero che quasi tutti gli studenti arrivano alla conclusione degli studi secondari senza ripetere alcuna classe (le bocciature non sono previste) e che nei test Ocse-Pisa la Corea è ai primissimi posti, e spesso al primo, in quasi tutte le classifiche.

Qual è la ragione di fondo di queste straordinarie performances del sistema educativo coreano? Quella più importante non sembra essere la pur rilevantissima spesa per l’istruzione (oltre il 7% del PIL) ma l’elevata considerazione sociale nella quale viene tenuta l’istruzione, dovuta anche al peso della tradizione culturale confuciana, che mette l’istruzione in cima ai valori fondamentali della comunità insieme al senso civico, al rispetto degli insegnanti e degli anziani e alla lealtà verso lo Stato.

Si sa che gli studenti coreani (come quelli giapponesi) studiano molto anche perché subiscono la convergente pressione degli insegnanti e delle famiglie. Ma in compenso sanno tutti, a partire da quelli appartenenti alle classi sociali più disagiate, che l’impegno viene premiato e che la competizione si svolge su basi meritocratiche, nella massima trasparenza.

Sul successo della scuola coreana più che le variabili economiche, organizzative o curricolari sembrano pesare quelle culturali e soprattutto il prestigio sociale della scuola e degli insegnanti. Un modello di scuola, come si vede, non facilmente esportabile in un Paese, per esempio, come l’Italia. Ma anche un valido motivo per riconsiderare le priorità del paese (come ricorda anche Gian Antonio Stella in un editoriale sul Corriere della sera del 4 marzo: “Da dove ripartire? Dalla scuola”), e per riflettere a fondo su alcune debolezze strutturali del nostro sistema sociale e di istruzione.

[articolo di TUTTOSCUOLA.COM]

Dalla Corea del Sud siamo lontani non solo migliaia di chilometri ma qualche anno luce.
Chissà che ne pensa il “tecnico” Profumo a proposito del modello coreano nell’ambito dell’istruzione. E chissà se i genitori e gli allievi italiani, sarebbe meglio dire la società tutta, sono disposti a dare fiducia alle istituzioni scolastiche e a far in modo che la scuola e gli insegnanti in Italia riacquistino quel prestigio che si è perso per strada ormai da molti anni.

Chissà …

SCUOLA: IL PREMIER MONTI APPOGGIA IL TESTING. GIORGIO ISRAEL DICE “NO”

In un articolo apparso sul suo blog, Giorgio Israel, di cui mi capita di parlare spesso sui miei due blog visto che ne condivido le idee, esprime la sua contrarietà al testing (leggi: prove InValsi), come ha già fatto altre volte. Il nuovo governo sarebbe incline, infatti, ad appoggiare quella che viene definita l’eurocrazia – non gli europei, l’eurocrazia -, più potente e arrogante che mai, lo vuole davvero, poiché ha già chiesto imperiosamente al governo Monti di valutare gli insegnanti in base ai rendimenti dei loro alunni stimati mediante i test Invalsi.

Con il suo solito acume, Israel dimostra, per l’ennesima volta, quanto siano inaffidabili i test elaborati dall’InValsi.

Ho sotto gli occhi un quiz volto ad addestrare gli studenti all’analisi dei testi letterari a scuola. È un esempio tra i tantissimi, rappresentativo di una tendenza generale. Si elencano cinque verbi che indicherebbero tutti un “modo di ridere”, ovvero un unico stato psicologico che si differenzia soltanto per intensità: 1. Sbellicarsi dalle risate; 2. Sorridere; 3. Ridacchiare; 4. Ridere; 5. Sghignazzare. Si chiede di metterli in “ordine crescente di intensità”. La risposta è: 2, 3, 4, 5, 1. In tal modo l’alunno acquisirebbe la “competenza” di distinguere le “sfumature di significato”.
Il dramma è che esista la necessità di spiegare perché sia profondamente idiota ritenere che queste cinque manifestazioni siano differenziazioni di intensità di un unico stato psicologico. Chi ha proposto questo quiz evidentemente non ha mai sentito parlare di un “sorriso amaro”, di un “sorriso di simpatia”, di un “sorriso ironico”, e anche di un “triste sorriso”. Nessuna relazione necessaria col ridere che, a sua volta, può esprimere tante cose: allegria conviviale, una reazione al comico ma anche sarcasmo, derisione. E se forse quest’ultimo atteggiamento ha qualcosa a che fare con lo sghignazzare, anche lo sghignazzare ricopre una gran varietà di atteggiamenti specifici. Forse soltanto lo sbellicarsi dalle risate può essere considerato un’intensificazione del ridere; non certamente il ridere un’intensificazione del ridacchiare.
Fermiamoci qui per chiederci quali giovani s’intende formare con un simile avvilente appiattimento della ricchezza del linguaggio che trasforma l’interpretazione dei testi nella compilazione di ordinamenti numerici che in me, matematico, suscita un moto di antipatia per l’aritmetica. La risposta è: macchine rincretinite. E si noti che l’esempio proposto non è isolato, bensì tipico.
Nei test Invalsi proposti ai licei si proponeva un brano di un racconto di Rigoni Stern, in cui una ragazza cadeva sugli sci davanti a un soldato, che la risollevava e poi le chiedeva scusa mentre lei riprendeva la discesa «indispettita e crucciata», come dirà dopo, «arrabbiata per quella stupida caduta». Perché – chiede il quiz – la ragazza se ne va senza dire grazie? Mettere la crocetta su una di queste risposte: A. È seccata dall’invadenza del militare; B. Si vergogna del proprio aspetto; C. È irritata con se stessa per essere caduta; D. Si è fatta male cadendo. Mettiamo la crocetta su C? E perché non anche su A, e non anche un poco su B? Perché il suo stato psicologico non può essere visto come una miscela dei tre e anche di qualcos’altro? Quale competenza misura un test del genere a risposta chiusa? Nessuna. Chi ha risposto in maniera “esatta” può essere un perfetto imbecille mentre chi non trova una sola risposta può essere la persona più capace di cogliere la ricchezza e l’ambiguità dell’analisi psicologica proposta da un testo letterario di autentico valore.
Del resto, quando l’uso dei test travalica la verifica di semplici capacità minimali – ortografia, regole grammaticali di base, capacità di far di conto – è inevitabile che si cada in queste miserie.
Risalta in modo evidente come, nel discorso programmatico del presidente del Consiglio, mentre anche sulle scelte più rilevanti in materia economica si sia mantenuta una notevole dose di ambiguità e di approssimazione, su un punto soltanto è stato fornito un riferimento preciso: sull’uso dei test Invalsi per «identificare i fabbisogni» scolastici, identificare le «aree in ritardo» (rispetto a che?), al fine generale di accrescere «i livelli d’istruzione della forza lavoro» e per «valorizzare il capitale umano». Non si dica poi che il sospetto di tecnocrazia è malizioso. Per una scuola che sta perdendo l’anima – declinando sempre più verso lo stato di carrozzone tormentato dal dirigismo burocratico in cui le ultime preoccupazioni sono la cultura, i contenuti, la dignità dell’insegnante e la formazione di soggetti consapevoli e motivati – non si trova di meglio che parlare di “test”, nella cornice di un linguaggio economicista, a base di “capitale umano”, “forza lavoro”, “fabbisogni” e “aree in ritardo”? Invece di capire che quello di cui ha bisogno l’istruzione è soprattutto di motivazioni profonde e di restituzione del “senso” della propria missione? Davvero malinconico.

IL PROFUMO DELL’ISTRUZIONE

Mario Monti, neopresidente del Consiglio, non ha perso tempo. La nuova squadra di governo, composta di soli tecnici, è pronta. Il successore di Mariastella Gelmini al MIUR (Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca) è, dunque, Francesco Profumo.

58 anni, è stato dal 2005 al 2011 rettore al Politecnico di Torino. Nella scorsa primavera il suo nome è stato a lungo ventilato come candidato sindaco di Torino. Dal 13 agosto è presidente del Consiglio nazionale delle ricerche. Ha iniziato la carriera nel 1978 all’Ansaldo di Genova. Dal 2003 al 2005 è stato preside della prima facoltà di Ingegneria del Politecnico di Torino. La sua è una carriera tutta accademica. È considerato molto vicino al cardinal Angelo Bagnasco. (Scheda a cura de Il Corriere. Allo stesso link potete trovare le schede degli altri neoministri. Per un Curriculum Vitae più dettagliato CLICCA QUI))

Ora non resta che chiederci cosa farà il professore per risollevare le sorti della scuola pubblica. Continuerà sulla strada dell’ex ministro o porterà una ventata di novità? Staremo a vedere.

Un po’ d’ironia sul cognome di cotanto ministro: dopo che sulla scuola, negli ultimi anni, è stata scaricata una bella vagonata di m***a, un po’ di profumo proprio ci voleva!
Spero non me ne voglia, m’è venuta proprio spontanea.