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COMPITI A CASA: UNA PETIZIONE ON LINE PER ABOLIRLI

diritto allo studioIncredibile ma vero: una petizione on line per abolire i compiti a casa, per gli studenti della scuola dell’obbligo (a rigor di logica biennio compreso, quindi) – è stata lanciata non dai genitori stufi dei carichi di lavoro cui sono costretti i figli ma da un dirigente scolastico.

Maurizio Parodi è un preside genovese e in pochi giorni la sua petizione ha raccolto un largo consenso. Ciò non stupisce quanto le motivazioni addotte da questo zelante dirigente che, forse, vuole accattivarsi le simpatie dei genitori per non avere problemi.

Vediamo le motivazioni e le mie personali obiezioni:

1. Procurano disagi e sofferenze soprattutto agli studenti già in difficoltà, suscitando odio per la scuola e repulsione per la cultura. Di compiti non è mai morto nessuno, caro Parodi, e chi odia la scuola i compiti nemmeno si sforza di farli, glielo assicuro.

2. Avvantaggiano gli alunni che hanno genitori premurosi e istruiti … costringono spesso le famiglie a sostituirsi ai figli per completare i compiti a casa assegnati dagli insegnanti. Suvvia, cade anche lei nella trappola! I bambini e i ragazzi devono svolgerli da soli e, con la correzione in classe (che i docenti devono fare), possono rendersi conto degli errori e cercare di farne tesoro.

3. L’efficacia di questo studio domestico non è mai stata dimostrata da nessuna ricerca scientifica. Ok, ma non è mai stato dimostrato nemmeno il contrario.

4. I compiti a casa, inoltre, “favoriscono l’abbandono scolastico” che colpisce gli alunni più deboli. Questa poi… chi abbandona gli studi non lo fa perché sono troppe le attività da svolgere a casa, tanto non le svolge nemmeno; al contrario, rafforzare lo studio sugli argomenti trattati in classe con una certa autonomia nel pomeriggio aiuta a colmare le lacune o almeno ad evidenziare delle difficoltà che possono essere superate chiedendo ulteriori spiegazioni all’insegnante.

5. L’Ocse ha anche dimostrato che il carico eccessivo di lavoro domestico è controproducente. Ha dimostrato? E come? L’Ocse ha semplicemente rilevato che il carico di lavoro cui sono sottoposti gli studenti italiani (si parla di quindicenni, comunque) è superiore a quello dei “colleghi” europei. Ciò sulla base dei risultati di test che sono lontani anni luce dalla didattica che si pratica nelle nostre scuole, mentre nel resto d’Europa la pratica del teaching to the test è consolidata. Caro Parodi, pensi che negli USA lo stesso presidente Obama si è espresso a favore dell’abolizione dei test, considerati inaffidabili.

La ciliegina sulla torta sta, comunque, nell’affermazione finale di questo dirigente: «L’alternativa ai compiti è quella di insegnare ad imparare agli alunni in classe.» Non credo che gli insegnanti assegnino i compiti a casa e in classe leggono il giornale. Ma cosa dice?

[fonte: Repubblica.it]

RAPPORTO OCSE-PISA: TRIVENETO IN TESTA, SUD IN FONDO ALLA CLASSIFICA

rapporto ocse pisaIl nostro bel stivale è diviso in due anche dal punto di vista della preparazione degli studenti: il Triveneto (Veneto, Trentino-Alto Adige e Friuli-Venezia Giulia) è campione d’Europa assieme all’Olanda, nel rapporto Ocse-Pisa 2012. Il sud Italia, invece, affonda e con la Sicilia ottiene il primato negativo che la vede a fianco della Turchia.

I risultati del test Pisa sulle competenze dei quindicenni in matematica, lettura e scienze restituiscono l’immagine di due scuole italiane: una che funziona bene e non ha nulla da invidiare ai Paesi meglio preparati in ambito scolastico, un’altra che arranca e che, ahimè, rischia di far affondare la parte che funziona nella solita abitudine, tutta italiana, o forse no, di fare di tutta l’erba un fascio.
I punteggi medi dei quindicenni italiani, infatti, sono tutti largamente inferiori alla media Ocse, anche se l’Italia è uno dei Paesi che hanno registrato i più notevoli progressi in matematica e scienze: il dato italiano (485 punti) resta al di sotto della media Ocse (494) di ben nove punti, superando la Spagna e anche gli Stati Uniti ma non il Portogallo, ben lontano da quel 613 che consegna la palma ai quindicenni di Shanghai.

La Finlandia, in passato presa a modello come Paese in cui si studia meglio è scesa a quota 519, superata dai nostri campioni del Triveneto che hanno totalizzato ben 523-4 punti. Ma l’Europa, pur potendo vantare di un’istruzione di tutto riguardo, è ben distanziata, come si diceva, dai campioni di Shangai, a quota 613, ben 119 punti sopra la media Ocse.

Per quanto concerne la lettura, l’Italia è rimasta ai livelli precedenti con 490 punti. La nazione che spicca in quest’ambito è la Germania che supera la media Ocse con 508 punti contro 496.

Per leggere l’intero RAPPORTO OCSE-PISA 2012 clicca QUI.

QUANDO L’INSEGNAMENTO È VERAMENTE UNA MISSIONE

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Sulla scuola e gli insegnanti si dicono spesso un sacco di cattiverie ma per la maggior parte dei docenti la propria professione è una vera missione. Quando, però, la stanchezza si fa sentire e l’entusiasmo viene meno, non si vede l’ora di andare in pensione. Per limitare i danni, più che altro.
Ma la storia di Bianca Diaz ci insegna che l’amore per il proprio lavoro non ha età e può proseguire, dopo il pensionamento, con uno scopo altruistico: quello di fare del bene a chi ne ha bisogno.

Bianca Diaz, di origine triestina ma trapiantata a Treviso, ha superato i settant’anni eppure non ha smesso di insegnare. Ormai da tempo in pensione, si dedica al volontariato insegnando l’italiano agli immigrati. Questa attività, iniziata venticinque anni fa, le ha portato un riconoscimento importante: sabato, a Silea, sarà premiata dall’ambasciatore del Marocco in Italia, Abu Ayoub Hassan, in occasione del secondo Festival culturale italo-marocchino, presentato oggi a Venezia dal presidente della Regione Luca Zaia.

Gli allievi della professoressa Bianca provengono perlopiù dal Nord Africa, con una percentuale maggiore di tunisini e marocchini, e hanno ribattezzato la loro insegnante Nonna Aisha.
La professoressa Diaz ha iniziato supportando gli immigrati del Marocco alle prese con la burocrazia: lei traduceva i documenti e li guidava nell’espletamento delle pratiche. Personalmente si recava nelle loro case, a volte dei semplici container o delle tende, e li aiutava a cercare una casa in affitto. Le prime lezioni sono venute dopo e la professoressa attualmente si occupa di una dozzina di ragazzini appartenenti a più etnie, ai quali insegna l’italiano a casa propria, un appartamento situato alle porte del centro storico di Treviso, dove ha anche messo in piedi una piccola biblioteca a disposizione degli extracomunitari, principalmente tunisini, bengalesi e cingalesi.

Dalle lezioni di italiano si è passati pian piano ad un vero e proprio doposcuola dove, oltre a Bianca, ora insegnano, dando una mano alla professoressa nelle materie in cui non ha competenze specifiche, anche alcuni figli dei suoi primi “studenti” africani che hanno un’istruzione superiore o universitaria.

C’è da considerare soprattutto un fatto: quest’atto di solidarietà ha luogo in una zona d’Italia, il Veneto, che spesso si vede affibbiare l’etichetta di razzista. Certo, stiamo parlando di una singola persona non dell’intera comunità, ma è già un piccolo passo avanti verso una grande conquista: il superamento del pregiudizio.

Una sola cosa mi rende particolarmente triste: se da una parte è lodevole il gesto di Bianca, dall’altra mi chiedo perché ci sia bisogno dell’iniziativa del singolo, piccola goccia in un mare infinito, per colmare, in minima parte, le carenze delle istituzioni.
Che ne dice ministro kyenge?

[fonte: Il Gazzettino; immagine da questo sito]

SUCCESSO SCOLASTICO: DALLA COREA DEL SUD ABBIAMO SOLO DA IMPARARE

Secondo l’istituto di ricerca Bruegel di Bruxelles (che ha avuto Mario Monti tra i suoi fondatori), citato in un recente articolo di Federico Rampini su Repubblica, la Corea del Sud costituisce un modello particolarmente virtuoso di uscita dalla crisi, essendo riuscita, anche grazie a rilevanti interventi di spesa pubblica, a superare del 10%, nel terzo trimestre del 2011, il PIL realizzato prima della crisi del 2008.

È convinzione diffusa che buona parte della forte ripresa economica della Corea del Sud si debba alla solidità e all’efficienza del suo sistema educativo, che porta quasi tutti i suoi giovani al diploma di istruzione secondaria (97%) e due terzi degli under 30 alla laurea e ad altri titoli di istruzione superiore.

È vero che, dopo il diploma, fortissima è la competizione e durissima la selezione (esclusivamente meritocratica) per entrare nelle migliori università, ma è anche vero che quasi tutti gli studenti arrivano alla conclusione degli studi secondari senza ripetere alcuna classe (le bocciature non sono previste) e che nei test Ocse-Pisa la Corea è ai primissimi posti, e spesso al primo, in quasi tutte le classifiche.

Qual è la ragione di fondo di queste straordinarie performances del sistema educativo coreano? Quella più importante non sembra essere la pur rilevantissima spesa per l’istruzione (oltre il 7% del PIL) ma l’elevata considerazione sociale nella quale viene tenuta l’istruzione, dovuta anche al peso della tradizione culturale confuciana, che mette l’istruzione in cima ai valori fondamentali della comunità insieme al senso civico, al rispetto degli insegnanti e degli anziani e alla lealtà verso lo Stato.

Si sa che gli studenti coreani (come quelli giapponesi) studiano molto anche perché subiscono la convergente pressione degli insegnanti e delle famiglie. Ma in compenso sanno tutti, a partire da quelli appartenenti alle classi sociali più disagiate, che l’impegno viene premiato e che la competizione si svolge su basi meritocratiche, nella massima trasparenza.

Sul successo della scuola coreana più che le variabili economiche, organizzative o curricolari sembrano pesare quelle culturali e soprattutto il prestigio sociale della scuola e degli insegnanti. Un modello di scuola, come si vede, non facilmente esportabile in un Paese, per esempio, come l’Italia. Ma anche un valido motivo per riconsiderare le priorità del paese (come ricorda anche Gian Antonio Stella in un editoriale sul Corriere della sera del 4 marzo: “Da dove ripartire? Dalla scuola”), e per riflettere a fondo su alcune debolezze strutturali del nostro sistema sociale e di istruzione.

[articolo di TUTTOSCUOLA.COM]

Dalla Corea del Sud siamo lontani non solo migliaia di chilometri ma qualche anno luce.
Chissà che ne pensa il “tecnico” Profumo a proposito del modello coreano nell’ambito dell’istruzione. E chissà se i genitori e gli allievi italiani, sarebbe meglio dire la società tutta, sono disposti a dare fiducia alle istituzioni scolastiche e a far in modo che la scuola e gli insegnanti in Italia riacquistino quel prestigio che si è perso per strada ormai da molti anni.

Chissà …

VISCO: INVESTIRE NELLA CONOSCENZA, UNA VARIABILE DI CRESCITA

Il governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, intervenendo al XX congresso dell’Aimmf, mette in luce una situazione di grave ritardo del nostro Paese, rispetto alla media OCSE, per quanto riguarda l’investimento nella conoscenza che considera un’importante variabile di crescita.

I dati sono preoccupanti: non solo l’Italia è, fra i paesi dell’OCSE, quello che investe meno nell’istruzione (il 2,4% del Pil, contro una media Ocse del 4,9%), ma anche la qualità dell’istruzione lascia molto a desiderare. Ad esempio, secondo quanto rilevato da un’indagine sulle competenze funzionali e alfabetiche condotta nel 2003, l’80% degli italiani, di età compresa tra i 16 e i 65 anni, non sarebbe in grado “di compiere ragionamenti lineari e fare inferenze di media complessità estraendo e combinando le informazioni fornite in testi poco più che elementari. Sono, “in pratica”, osserva Visco, “analfabeti funzionali”.

Non più confortanti sono i dati relativi ai laureati: sono il 15%, la metà rispetto la media OCSE. Anche se si tende a pensare che tutti i giovani ormai si laureino, la realtà è completamente diversa. E nonostante la percentuale di chi conclude gli studi universitari sia così esigua, sono moltissimi i giovani senza un lavoro o che, pur avendo studiato molti anni, si adattano a svolgere delle mansioni per le quali basterebbe un diploma, anche di scuola media.

Laureati o meno, in Italia più della metà dei giovani ha un lavoro precario. Il tasso di disoccupazione giovanile è al 27,9%, molto superiore alla media dell’area Ocse (16,7%), ed è più alto tra le donne, 29,4%, che tra gli uomini, 26,8%.

Tornando al valore della cultura, appena poco più della metà dei giovani italiani considera vantaggioso conseguire un’istruzione avanzata, la quota più bassa tra tutti i Paesi dell’Unione europea. Secondo Visco ciò “aggrava il peso degli ostacoli, spesso finanziari all’investimento in istruzione”. E “la forte corrispondenza tra le origini familiari e le scelte scolastiche che ne discende comprime la mobilità sociale”.

Non solo, investire in conoscenza è importante non soltanto sotto
il profilo dell’economia; difatti, grazie ai “benefici di una maggiore istruzione”, sempre secondo il governatore, assumono “particolare rilevanza gli effetti positivi sulla diffusione dell’illegalità”.

Chissà che ne pensa il nuovo ministro del MIUR, Francesco Profumo. Anche condividendo il pensiero di Visco, non credo sia disposto ad investire nell’istruzione, vista la priorità che il governo sta dando al risparmio. In nome di un sacrificio che, putroppo, colpirà le famiglie, alimentando forse il fenomeno della dispersione e dell’abbandono degli studi, nell’illusione di trovare un lavoro che non c’è e di contribuire al bilancio familiare, almeno contenendo le spese.

[fonte: Tuttoscuola.com]