L’autenticità dell’Epistola XIII a Cangrande della Scala

L’Epistola XIII, indirizzata a Cangrande della Scala, signore di Verona, ha una doppia funzione: dedicatoria ed esegetica. Infatti, da essa si evince che la terza cantica della Commedia, il Paradiso, era dedicata a Cangrande e nell’ultima parte è riportato l’inizio del commento al primo canto, commento che si interrompe dopo pochi versi a causa della “povertà” che angustia l’autore. In altre parole, è un’implicita richiesta di aiuto materiale che avrebbe permesso al poeta di dedicarsi esclusivamente all’esegesi del Paradiso, con l’esonero dai suoi uffizi.

Per lungo tempo l’epistola fu considerata un falso. Il primo dubbio fu espresso dai critici danteschi nel 1826. Il problema è, come spesso capita per opere così antiche, l’assenza dell’originale. Dell’epistola XIII abbiamo solo delle copie di un originale perduto, che risalgono a 60-80 anni dopo la sua stesura. Si è pensato che l’opera fosse da attribuire ad un falsificatore nella sua interezza oppure che una parte fosse autentica ed un’altra inventata.

Ogni critico che si è occupato di questa epistola aveva un’idea personale in merito alla Commedia: quando il contenuto combaciava con l’opinione del critico, questi non esitava a dichiararla autentica; quando, invece, il contenuto era considerato lontano dal modo di vivere e di pensare di Dante, allora l’epistola veniva considerata un falso. Questo è un atteggiamento comune a molti critici che presero in considerazione più l’aspetto psicologico che quello filologico.

Alcuni critici non hanno accettato delle affermazioni contenute nel testo che, secondo loro, non potevano essere attribuite al poeta fiorentino. Ad esempio, quando l’autore spiega di aver usato il volgare nella composizione della Commedia, anziché il latino, lingua dei dotti, e si esprime affermando di aver utilizzato la lingua delle “donnette”, per molti critici sarebbe stato davvero scandaloso se Dante in persona si fosse espresso in questi termini. Vale a dire: il sommo Vate non avrebbe mai annoverato tra il pubblico ideale le “donnette”, considerato che al tempo di Dante le donne erano incolte e relegate ai margini della società. Sempre che non si trattasse di quelle creature angelicate che, però, esistevano solo nelle poesie degli Stilnovisti.

Attualmente quasi la totalità dei dantisti è concorde nel ritenere autentica l’Epistola XIII. Ma rimane un altro problema: quando fu scritta? Possiamo ipotizzare che il poeta fosse ospite degli Scaligeri dal 1313 al 1318. Se la lettera è indirizzata a Cangrande ed accompagna il Paradiso, possiamo supporre che al tempo in cui fu scritta, la terza cantica del capolavoro dantesco non fosse terminata. Sappiamo, infatti, che l’autore vi lavorò fino alla fine dei suoi giorni.
Molto probabilmente, allora, Dante scrisse la lettera prima del 1318, senza avere, a quel tempo, terminato l’opera. Si può congetturare, quindi, che l’interruzione dell’esegesi fosse dovuta proprio al fatto che il Paradiso era in fieri.

Al di là dei problemi relativi alla sua paternità, ora praticamente risolti, l’epistola è importante soprattutto nella parte dottrinale in cui l’autore spiega la corretta interpretazione di tutta la Commedia, mettendo in luce le conoscenze sia teologiche sia filosofiche tipiche dell’uomo medievale.

[© Materiale elaborato dall’autrice Marisa Moles. Vietata la riproduzione]

  1. Alberto Casadei

    Attualmente invece la critica sta riconsiderando l’intera questione e sono numerosi i motivi per ritenere falsa questa epistola. Alla Societa’ Dantesca di Firenze si svolge il 5 dicembre 2013 un dibattito in merito.

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    • La ringrazio molto per l’informazione e mi spiace moltissimo di non poter essere a Firenze domani (per ovvi motivi di tempo!). I miei studi sull’Epistola a Cangrande risalgono agli anni Ottanta, quando frequentai il corso monografico ad essa dedicato con il prof. Eugenio Savona all’Università di Trieste. Mi sono poi laureata, con lo stesso docente in veste di relatore, in Filologia e Critica Dantesca con una tesi sulle Expositiones di Guido da Pisa all’Inferno. Nella mia tesi avevo allora “demolito” alcune opinioni espresse da uno dei dantisti più in auge, Francesco Mazzoni, e per questo mi fu sconsigliata la pubblicazione del mio lavoro. Purtroppo non ho più approfondito gli studi sull’Epistola XIII e per questo La invito, se Le fa piacere, a tenermi informata.
      Grazie per il Suo intervento. Cordiali saluti.
      Marisa Moles

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