LA LIRICA LATINA E I POETAE NOVI

Si definisce “lirica” la poesia che esprime il mondo interiore dell’autore (sentimenti, affetti, ricordi …). Il suo nome deriva dalla lira, lo strumento a corde che in Grecia accompagnava il canto dei poeti.
Si tratta di una poesia soggettiva, fine a se stessa, che si propone soltanto di rappresentare le sensazioni e i sentimenti del poeta. In questo si distingue da altri generi poetici, come l’epica, che ha come fine la celebrazione degli eroi e la narrazione delle loro imprese, o come la poesia didascalica che si propone di dare degli insegnamenti.

A Roma la poesia lirica si affermò solo nel I secolo a.C., grazie ad un gruppo di giovani poeti, tra cui Catullo, chiamati Poetae Novi (neòteroi) che si ispiravano soprattutto a poeti greci come Callimaco (310-240 a.C.). Questi poeti prediligevano i componimenti brevi, colti e raffinati, in cui esprimevano il loro mondo interiore, caratterizzato in particolar modo dall’amore. Le loro liriche non erano dunque dozzinali, anzi, veniva usato il labor limae, un’accurata “limatura” allo scopo di perfezionare i versi con un a volte lungo lavoro di revisione.

Questo nuovo modo di far poesia fu, inizialmente, guardato con sospetto dagli amanti della tradizione che non accettavano una produzione poetica che non avesse altro scopo, se non quello di abbandonarsi al puro divertimento letterario (nugae).
Dopo Catullo, senza dubbio il più personale ed appassionato tra i poeti lirici latini fu Orazio, che visse ed operò in età augustea. La sua poesia seguì i modelli greci della più antica lirica greca, come Saffo e Alceo.

[NELL’IMMAGINE: Promesse di primavera, Laurence Alma-Tadema, 1890]