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E’ GIUSTO RIFIUTARE IL BONUS PER IL MERITO?

soldiUn argomento che fa discutere molto in questo periodo il mondo della scuola è quello relativo al bonus per il merito introdotto dalla Legge 107/2015, altrimenti detta #labuonascuola. Cerchiamo di capire di cosa si tratta.

Il Miur ha stanziato per la valorizzazione del merito del personale docente 200 milioni di euro annui, a decorrere dall’anno 2016, da distribuire a tutte le scuole di ogni ordine e grado, in proporzione alla dotazione organica dei docenti e considerando i fattori di complessità delle istituzioni scolastiche e delle aree soggette a maggiore rischio educativo (in media 23mila euro lordo stato per istituto). Ogni scuola, per assegnare questo bonus ai docenti meritevoli, ha istituito (o almeno avrebbe dovuto…) un comitato di valutazione ad hoc, composto dai rappresentanti di tutte le componenti (per gli istituti superiori è presente anche un rappresentante degli studenti), il Dirigente Scolastico che lo presiede e un membro esterno identificato dall’Ufficio Scolastico regionale competente. A questo comitato spetta il compito di definire dei criteri per l’assegnazione del bonus, anche se sarà completamente a discrezione del DS l’attribuzione dello stesso.

Come sappiamo, il programma de #labuonascuola è stato osteggiato dalla maggior parte dei docenti, con la “complicità” di genitori e studenti. Insomma, pur non piacendo a nessuno, la proposta è diventata legge.

Uno dei nodi più difficili da sciogliere è stato ed è, appunto, quello relativo alla valorizzazione del merito. In primo luogo, perché viene visto come un “contentino” per mettere a tacere gli insegnanti con il contratto scaduto dal 2009, in secondo luogo perché questo bonus, inevitabilmente, porta a una gerarchizzazione dei docenti, dividendoli tra “buoni” (meritevoli del bonus) e “cattivi” (esclusi dall’assegnazione della gratifica). Infatti, poiché il Miur ha raccomandato di non distribuire a pioggia questi premi (in realtà l’importo è davvero esiguo, quindi a ciascuno spetterebbe una manciata di euro, per una pizza o poco più), solo due terzi dei docenti sarà “premiato”.

In realtà, il problema vero è che l’assegnazione del bonus non garantisce che venga davvero premiato il merito, o per lo meno che questa somma di denaro, esigua o meno, compensi il buon lavoro dell’insegnante a livello didattico. Questa osservazione, che sembra paradossale, in verità ha dei fondamenti inoppugnabili.

Il terzo comma dell’articolo 11 della Legge 107/2015, infatti, prevede che vengano individuati i criteri per valutare «la qualità dell’insegnamento e il contributo al miglioramento dell’istituzione scolastica, nonché del successo formativo e scolastico degli studenti». Tuttavia, stabilire dei criteri oggettivi è molto difficile (quanto meno lo è nei tempi stretti concessi) ed è per questo che i comitati si orienteranno verso gli altri ambiti, ovvero quelli relativi ai «risultati ottenuti dal docente o dal gruppo di docenti in relazione al potenziamento delle competenze degli alunni e dell’innovazione didattica e metodologica, nonché della collaborazione alla ricerca didattica, alla documentazione e alla diffusione di buone pratiche didattiche» e alle «responsabilità assunte nel coordinamento organizzativo e didattico e nella formazione del personale».

In altre parole, verrà premiato chi partecipa a progetti, chi assume compiti organizzativi, chi ha degli incarichi specifici (ad esempio quello di coordinatore di classe) e chi si occupa di nuove tecnologie, interessanti ma non applicabili a tutte le discipline in ugual misura e comunque non garanti, di per sé, di una migliore qualità della didattica.

Non si tiene in alcun conto il fatto che, anche nell’insegnamento “ordinario”, c’è chi ha oneri di lavoro più pesanti (ad esempio chi, come me, insegna Lettere e deve valutare ogni materia con voti orali e scritti) e chi meno. Praticamente tutto il lavoro sommerso che non è quantificabile in termini di ore né verificabile in quanto si tratta di attività che ognuno svolge a casa, nei tempi e modi che ritiene più opportuni.

Proprio per questo motivo, ovvero per il fatto che questo bonus non valorizza il lavoro ordinario ma quello straordinario (già retribuito, anche se con somme modeste attraverso il fondo d’istituto), in Italia molte scuole si sono mobilitate e i docenti, non tutti ma la maggior parte di essi, hanno dichiarato la propria “indisponibilità a ricevere il bonus”. In qualche istituto non è stato nemmeno eletto il comitato di valutazione oppure in qualche caso alcune componenti hanno rifiutato l’elezione. Addirittura alcuni studenti si sono opposti all’elezione come rappresentanti nei comitati dei propri istituti.

I sindacati, da parte loro, minacciano di ricorrere ai tribunali. Il contenzioso nasce dal fatto che, essendo il bonus a tutti gli effetti uno stipendio accessorio che non prevede attività che i docenti sono obbligati a svolgere, deve essere oggetto di trattazione decentrata. In parole semplici, in ogni scuola il DS dovrebbe discutere con le RSU (rappresentanti sindacali) sulla destinazione di questi premi, cosa questa esclusa dalla Legge 107/2015 che, al contrario, prevede l’assoluta autonomia del dirigente in questo senso.

Ma qualora questi fondi non vengano utilizzati, è possibile che abbiano altre destinazioni? In qualche scuola si è pensato di dirottare queste somme su particolari progetti didattici a beneficio degli alunni più deboli. Nobile intento, davvero, ma non so quanto legittimo. C’è il rischio concreto che in questo modo il Miur non rinnovi la somma destinata alla valorizzazione del merito per i docenti negli anni a venire.

Insomma, la questione è molto confusa. Se da una parte è apprezzabile un atteggiamento di rifiuto, personalmente mi chiedo se non sia meglio mettere da parte l’orgoglio e anche la rabbia, accettando ciò che arriva, se arriva, in attesa che la questione oggi fumosa sia definita meglio in futuro.

Lo confesso: inizialmente mi ero rifiutata di concorrere per il bonus (nessuno, infatti, è obbligato a presentare l’autocertificazione per la definizione del punteggio, ma tutti i docenti sono potenziali destinatari del premio, pur non producendo alcunché), contraria a quella raccolta punti che in definitiva è diventata l’attribuzione del premio. Poi ho pensato che comunque vada, sarà sempre meglio che regalare la mia eventuale quota a chi è meno orgoglioso… e non necessariamente più bravo.

[immagine da questo sito]

QUALCHE CHIARIMENTO IN QUESTO POST

STUDENTI ESCLUSI DAL LICEO LINGUISTICO PER I VOTI TROPPO BASSI ALLA SCUOLA MEDIA. LESO IL DIRITTO ALLO STUDIO EPPURE ….

pinocchio_orecchie_d'asinoLo so che quello che sto per dire risulterà antipatico, per usare un eufemismo. Tuttavia, insegnando al liceo e considerando la preparazione degli studenti che si iscrivono alla prima (non tutti, fortunatamente, ma molti), sono dell’opinione che si dovrebbe optare per un orientamento serio. Non, come ora avviene, un semplice consiglio che si può seguire oppure no. Dei veri e propri paletti, per il bene degli studenti stessi, s’intende.

Questa riflessione nasce da una notizia appena letta su La Tecnica della Scuola: 18 ragazzini che frequentano la terza media sono stati esclusi dall’iscrizione alla classe prima per l’A.S. 2014/15 al Liceo Linguistico “Mazzini” di Genova perché hanno riportato una media inferiore al 7.5 nel secondo anno.

Come si può immaginare, il fatto ha suscitato molte polemiche in quanto la decisione del liceo (il cui regolamento non è noto ma, anche se prevedesse dei paletti per l’iscrizione, si tratterebbe di una decisione arbitraria che non ha riscontri legali) lederebbe il diritto allo studio. Non dimentichiamo, inoltre, che il biennio della scuola superiore rientra nell’obbligo scolastico. Va da sé che la scuola prescelta ha il dovere di accogliere le domande di iscrizione, a meno che non si verifichi un eccesso di domande rispetto alle classi preventivate in organico. Dovesse presentarsi tale eventualità, l’istituto avrebbe comunque l’obbligo di dichiarare in che modo intende procedere per l’esclusione di parte degli studenti iscritti (ordine d’arrivo delle domande, sorteggio …), meritocrazia a parte.

Detto questo, sono solidale con i ragazzini e le loro famiglie e condivido le proteste che si sono levate soprattutto dall’Uds (Unione degli studenti italiani).

«Riteniamo inaccettabile – dichiara Giacomo Zolezzi, Coordinatore dell’Unione degli studenti Genova – quello che sta succedendo al Liceo linguistico Mazzini. Questa è una vera e propria lesione del diritto allo studio per 18 ragazzi ancora in età di scuola dell’obbligo, che saranno esclusi dall’iscrizione alla scuola a causa di una valutazione riportata in seconda media».

«La scuola pubblica – aggiunge Roberto Campanelli, coordinatore nazionale dell’Udu – ha degli obiettivi precisi per la crescita individuale e collettiva, non può porre barriere, né impedire ad un gruppo di studenti di perseguire le proprie personali attitudini o chiedere loro di ripiegare su altri indirizzi. Così viene meno la missione educativa della scuola».

Rimane il fatto che, come ho scritto all’inizio del post, molti ragazzini non seguono i consigli orientativi dei docenti della scuola media e spesso vengono consigliati a intraprendere un percorso di studi liceali da genitori in cerca di soddisfazioni personali. E’ brutto da dire ma le famiglie dovrebbero capire che, al di là della scelta di una scuola superiore ritenuta migliore di altre, più prestigiosa e maggiormente affidabile, è necessario fare i conti con i figli che si hanno, con le loro capacità, con i loro risultati scolastici e le loro aspirazioni.

Ciò che dico è il risultato di decine di colloqui allo sportello d’ascolto con studenti in difficoltà che non sanno che pesci pigliare di fronte all’insuccesso scolastico (che spesso si protrae per due o più anni): se da una parte uno non si sente tagliato per quel determinato tipo di scuola (ammesso che si possa asserire ciò), dall’altra non si vuole deludere i genitori e le loro aspettative. Senza contare che molto spesso l’indecisione si protrae anche per “pigrizia”, per la mancanza di un’alternativa convincente e si va avanti quasi per inerzia, collezionando insuccessi, ripetendo anni, cercando di stare a galla in qualche modo per non sprofondare. A volte ci riescono pure ad arrivare in quinta, arrancando, con debiti ogni anno e voti di consiglio (i 6 che un docente non vorrebbe mai assegnare spontaneamente) che sono il risultato della “politica del promuoviamo tutti e amen”, infelice parto dell’atteggiamento buonista di molti docenti.

Non sempre la promozione a tutti i costi fa il bene degli studenti. In primo luogo, perché crescono con l’idea che nella vita si trovi sempre una scappatoia, una mano tesa che non li fa precipitare nel burrone. In secondo luogo perché a volte, non sempre, studenti mediocri al liceo potrebbero essere bravi in un istituto tecnico o professionale, con maggiori gratificazioni che li incoraggerebbero a fare sempre meglio per dimostrare di non essere degli incapaci.

Io credo che le cose debbano cambiare.
Non è possibile escludere dall’iscrizione al liceo un ragazzino con la media dei voti bassa? Sì, ora non si può. Non si può escludere, però, un sistema selettivo in futuro, con un orientamento serio e vincolante. Poi è anche vero che i prof possono sbagliare, che la maturità dei ragazzi può fare la differenza in termini di tempo, che si inizi zoppicando e poi si prenda il ritmo e si recuperi, procedendo senza intoppi nel percorso di studi.

Allora cosa si può fare? Ad esempio istituire un biennio unico, con la possibilità di scegliersi parte del curriculum a seconda delle aspirazioni e delle attitudini, potendo iniziare un percorso e “correggere il tiro” strada facendo.

Io sogno una scuola moderna che garantisca il successo scolastico a tutti. Una scuola in cui la motivazione provenga dalle performance stesse, senza concessioni e “regali” di fine anno. Sogno una scuola che probabilmente non prenderà mai piede in Italia, perché noi siamo quelli del “lasciamo le cose come stanno per fare meno danni”. E non ci accorgiamo che i danni li facciamo, eccome, proprio a causa della scarsa elasticità mentale.

Istruzione: merito e valutazione, le parole d’ordine di chi non vuole pensare

Effettivamente …

SONO STATA PUBBLICATA

Ieri ho commentato un articolo sul Blog “Scuola di vita” del Corriere della Sera. Si parlava, tra le altre cose, della valutazione degli insegnanti. Il mio intervento è piaciuto così tanto che la redazione ha deciso di farne un post. Ve ne riporto la prima parte, invitandovi a continuare la lettura dell’articolo originale.

????????Pubblichiamo l’intervento di Marisa Moles, insegnante che replica alla lettera di Alex Garattoni sulla necessità di valutare il lavoro dei professori pubblicata ieri su questo blog.

*****

«Nel mondo della scuola gli insegnanti si oppongono a qualsiasi strumento di valutazione, da chiunque sia mai stato proposto, e pretendono di essere pagati tutti uguale».
Da insegnante con trent’anni di esperienza alle spalle mi permetto di dissentire.

Noi non ci opponiamo a qualsiasi strumento di valutazione del merito, semplicemente non condividiamo (almeno la maggior parte di noi e certamente chi lavora con serietà) gli strumenti proposti come l’infelice sperimentazione partorita dall’ex ministro Gelmini.

La questione non è la valutazione in sé ma il modo in cui si pretende di valutare la scuola che non è un’azienda qualunque, dove chi è bravo e produttivo merita un premio e gli altri a casa.

Perché nelle scuole ci sono tante variabili che condizionano i risultati, perché gli allievi costituiscono il «materiale umano» su cui si lavora, non plasmabile o adattabile alle esigenze del mercato.

Gli insegnanti e le scuole chiedono di essere coinvolti in un processo che dovrebbe servire a migliorarsi, evitando tuttavia una classifica che si adatta alle canzoni della Top Ten. Noi non abbiamo nulla da vendere; i «nostri» banchi sono quelli su cui siedono dei giovani che hanno diritto di imparare per non essere gli ultimi della classe, non quelli del mercato dove si vende la frutta più bella che talvolta non è nemmeno la più buona. CONTINUA A LEGGERE >>>

[immagine tratta dallo stesso sito evidenziato dal link]

ANCORA SUI TEST INVALSI E SUL CHEATING

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Dei test InValsi non si smette mai di parlare. Anche quando le aule scolastiche sono deserte, è oggetto di discussione sul web, in particolare sul social network.

Quasi 38 mila post sono stati pubblicati su Twitter e i profili pubblici di Facebook, con un picco il giorno della somministrazione dei test all’esame di terza media, ovvero il 17 giugno. E in questi commenti emerge l’amara verità: in occasione di questi test, ritenuti perlopiù difficili e inutili, tre ragazzi su quattro hanno ammesso di aver copiato, come si evince dalla tabella sottostante.

test invalsi cheating

La cosa curiosa, se vogliamo dir così, è che in alcuni casi gli studenti affermano che siano gli stessi insegnanti a dare degli “aiutini”, con una percentuale persino maggiore al nord rispetto al centro-sud.

La domanda da porsi è: perché i docenti aiutano gli alunni in una prova d’esame? La risposta non è difficile: per fare bella figura. Ovviamente il tutto rischiando di essere scoperti, nel qual caso si farebbe una pessima figura.

Io credo che, a parte il costo enorme, i test InValsi dovrebbero essere eliminati dagli esami di Stato (e invece si parla di renderli obbligatori anche per i maturandi) perché, se l’obiettivo è quello di arrivare ad una valutazione su scala nazionale dei diversi istituti, i risultati, falsati dalla pratica del cheating, non sono affidabili.

Per lo stesso motivo ritengo che queste prove elaborate dall’Istituto Nazionale per la Valutazione siano inadeguate per stabilire i meriti delle singole scuole. Mi spiego: qualora i test diventino uno strumento meritocratico, la pratica del cheating rischierebbe di dilagare. E non possiamo far leva sull’onestà dei docenti perché potrebbe anche verificarsi il caso in cui gli stessi dirigenti, per poter ottenere maggiori finanziamenti, lascino intendere che i test debbano ottenere dei buoni risultati. Senza contare che, sulla base delle “classifiche” che si verrebbero a creare, le scuole migliori ne trarrebbero degli indiscutibili vantaggi in termini di iscrizioni.

Il quadro forse può sembrare catastrofico. Io spero vivamente di sbagliarmi ma siamo in Italia, che cos’altro ci potremmo aspettare?

[LINK della fonte (da cui è stata copiata anche la tabella); immagine sotto il titolo da questo sito]

ARTICOLO CORRELATO: A PROPOSITO DI MERITOCRAZIA E CHEATING

SEGNALO ANCHE QUESTO INTERESSANTE ARTICOLO DI GIANNI MEREGHETTI PER ILSUSSIDIARIO.NET

PRONTO PER L’ESAME LO SCHEMA DI DECRETO PER LA VALUTAZIONE DELLE SCUOLE

Il consiglio dei ministri, su proposta di Francesco Profumo, titolare di Viale Trastevere, è pronto ad esaminare lo schema di decreto per la valutazione del sistema scolastico. Tre saranno gli elementi sui quali le scuole verranno valutate:

1. L’Invalsi, l’istituto che attualmente si occupa di rilevare gli apprendimenti degli studenti
2. L’Indire (l’attuale Ansas- agenzia per lo sviluppo dell’autonomia scolastica) che si occupa della formazione dei docenti
3. Un nucleo di valutazione esterna costituito da un ispettore e due esperti selezionati dall’ Invalsi che valuteranno in che modo ciascuna scuola si stia adoperando per raggiungere gli obiettivi dichiarati, prendendo in considerazione anche il «valore aggiunto» degli istituti, ovvero il grado di miglioramento conseguito dagli studenti fra l’ingresso e l’uscita.

Quanto ai costi, a viale Trastevere assicurano che la valutazione rientra «nell’ambito delle risorse disponibili», aggiungendo delle clausole ad hoc.

Per quanto riguarda i test InValsi si allarga il numero delle classi interessate: le rilevazioni saranno fatte su “base censuaria” in II e V elementare, I e II media, II superiore come già accade ora, ma si aggiunge la V superiore. Da notare che il testo che approda in cdm non specifica se il test si farà alla maturità.

Il “voto” assegnato dal nucleo esterno a ciascuna scuola, graverà sui premi per i dirigenti scolastici: qualora i risultati siano deludenti e lontani dagli obiettivi prefissati, non ci sarà alcun bonus per il preside. Per questo vengono ipotizzati dei dossier autoprodotti dagli istituti.

[fonti: Tuttoscuola.com e Corriere.it]

FIORONI VS PROFUMO: SBAGLIATA LA STRADA SCELTA PER RINNOVARE LA SCUOLA ITALIANA

L’ex ministro dell’Istruzione, Giuseppe Fioroni, predecessore di Mariastella Gelmini nel secondo governo Prodi, critica aspramente la “politica degli specchietti” messa in atto dall’attuale titolare di Viale Trastevere, Francesco Profumo.

Contro la politica degli annunci serve agire, secondo Fioroni. Più fatti e meno parole, insomma. Perché per dare un nuovo impulso alla scuola italiana è necessario, sempre a detta dell’ex ministro, dare delle risposte a ciò che l’Europa ci chiede, ovvero «un sistema di valutazione serio, provvedimenti urgenti per il recupero di chi resta indietro e strumenti e risorse per migliorare le scuole che hanno bisogno. L’Ocse ci chiede di investire sull’aggiornamento e la riqualificazione professionale dei docenti per consentire tutto questo. Di fronte a queste priorità è paradossale che il ministro Profumo non avverta la necessità di interventi urgenti e di reperire risorse adeguate per consentire tutto questo e renderci competitivi in Europa».

Aspra la critica dell’ex ministro, esponente del Pd, nei confronti del programma che Profumo intende portare avanti per premiare il merito: «È del tutto evidente – continua Fioroni- che interventi esclusivamente mirati a incentivare la competizione e garantire l’eccellenza per pochi diano un’idea sbagliata e diversa dalla scuola della Costituzione. Questa prevede una comunità educante che recupera chi resta indietro e contemporaneamente stimola i migliori. Questa insistenza nell’ipotizzare un modello competitivo, senza nulla per le emergenze e i bisogni di tutti, dà l’idea di perseguire un disegno che vede una scuola di qualità per pochi e un nuovo avviamento professionale per i tanti“.

Personalmente sono d’accordo con Fioroni. Se ritengo giusto premiare gli studenti migliori (questo l’intento di Profumo), non si può trascurare chi, nel percorso scolastico, specie dopo aver assolto l’obbligo (ricordo che da anni è esteso al biennio delle superiori), si trova in difficoltà. Combattere l’abbandono è una priorità ma per farlo bisogna investire nelle scuole in cui il fenomeno è più esteso. D’altra parte, anche le eccellenze vanno coltivate e premiate: questo il programma del decreto in discussione al prossimo 6 giugno nella riunione del Consiglio dei Ministri.

Il cosiddetto “decreto merito“, preannuncia Profumo, premierà lo “studente dell’anno”, scelto, a partiere dal prossimo anno scolastico, da ogni istituto superiore tra gli studenti che otterranno i voti più alti alla maturità, a partire da 100. Si terrà conto della media degli ultimi tre anni, dell’impegno sociale e del reddito familiare. Lo “studente migliore” avrà diritto ad una riduzione di almeno del 30% delle tasse per l’iscrizione al primo anno di università e una borsa di studio aggiuntiva. Verrà poi istituita una card, denominata, “Iomerito“, con la quale gli studenti potranno ottenere sconti per musei e trasporti. Ma c’è di più nel programma del ministro del MIUR: nel corso dell’anno scolastico i primi tre piazzati alla fase nazionale delle Olimpiadi per materie scolastiche saranno iscritti (gratuitamente) a “master class” estivi nella disciplina affrontata. Da ottobre verranno inoltre promosse delle Olimpiadi internazionali in sette materie.

Veniamo ai docenti. Per il momento Profumo ha rivolto la sua attenzione a quelli che insegnano negli atenei nazionali. Tuttavia non dobbiamo dimenticare che il grosso scoglio è costituito dalle scuole secondarie di Ii grado in quanto, per arrivare all’università, un diploma bisogna pur prenderlo. Non si può, dunque, trascurare l’insegnamento presso gli istituti superiori. E’ vero che già l’ex ministro Gelmini ha istituito la famigerata “sperimentazione del merito” che ha suscitato molte perplessità. Ma, al di là del valore e dell’efficacia che si può attribuire a tale sperimentazione, il problema è che non dovrebbe trattarsi di fondi limitati alle scuole e ai docenti individuati per tale sperimentazione. Il “premio al merito” va esteso a tutte le scuole sul territorio nazionale, altrimenti non sapremo mai quali funzionano meglio, nel complesso, ma conosceremo solo quelle che, fra le prescelte, hanno ottenuto dei premi o meno. Tuttavia ritengo che parlare di merito tenendo ben chiuso il “portafoglio” sia del tutto inutile.

Che dire poi della formazione dei docenti? Il TFA (Tirocinio Formativo attivo) per i nuovi docenti è un’idea che potrebbe funzionare. Ma così si rischia di avere dei docenti giovani preparati e selezionati lasciando in cattedra i più “vecchi” (specialmente nella prospettiva di continuare ad insegnare fino a 70 anni) che, pur avendo più esperienza didattica, non è detto che siano gli insegnanti più efficaci. Trascurare questo dettaglio sarebbe un grave errore. Quindi è necessaria quella formazione in servizio di cui si parla dai tempi della Gelmini e che, fino ad oggi, non è mai stata messa in pratica. Perché? Presumo sia sempre un problema legato ai fondi.

Detto questo, come si può non dar ragione a Fioroni quando afferma che bisogna investire sull’aggiornamento e la riqualificazione professionale dei docenti?

[fonte Repubblica: 1° articolo e 2° articolo]

DECRETO SEMPLIFICAZIONI: DIRE NO AI TEST INVALSI

Fra i vari emendamenti proposti al Decreto Semplificazioni, attualmente ancora in discussione, ce n’è uno, presentato dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera, che vorrebbe cancellare l’obbligatorietà dei test InValsi per le scuole di ogni ordine e grado.

Come si ricorderà, la questione sui test è alquanto spinosa e ha portato, lo scorso anno, ad una sorta di insubordinazione da parte di alcuni docenti e studenti, i quali non hanno gradito la somministrazione imposta delle prove elaborate dall’Istituto di Valutazione. La protesta degli studenti, organizzata dal Movimento Studentesco, fu marginale e prevalentemente localizzata nelle scuole superiori della capitale. Da parte loro i docenti, partendo anche dal presupposto che i test risultano poco utili all’autovalutazione, in quanto lontani, nella tipologia degli esercizi proposti, dalla didattica tradizionale, protestarono soprattutto perché la correzione delle prove loro affidata (ad eccezion fatta per alcune classi campione totalmente a carico dell’Invalsi, sia per quanto riguarda la sorveglianza in classe sia per quanto concerne la correzione dei test e loro valutazione) avrebbe gravato ulteriormente il carico di lavoro in un periodo dell’anno, il mese di maggio, in cui, con l’approssimarsi del termine delle lezioni, si somministrano già le ultime prove di verifica nelle diverse classi.

Questa protesta, su cui l’ex ministro Gelmini si è epsressa definendola “marginale”, ha portato però ad una rilfessione sull’obbligatorietà dei test InValsi, non proposta dal governo Berlusconi, per intenderci, ma risalente al ministro Fioroni. Solo lo scorso anno, tuttavia, la norma ha visto la sua applicazione, destando lo scontento di chi credeva fosse un’iniziativa personale del ministro in carica e per giunta a tradimento.

Ora, come anticipato all’inizio del post, la Commissione Affari Costituzionali ha presentato un emendamento con cui intende modificare il comma 2 dell’art. 51, che prevede l’obbligatorietà per tutte le scuole di sottoporre gli alunni alle prove Invalsi per la rilevazione degli apprendimenti (attualmente circoscritti a italiano e matematica e applicati alle classi seconde e quinte della primaria, prime della secondaria di I grado e seconde del II grado), cancellando l’obbligo delle prove che dovrebbero svolgersi, quindi, a campione.

Rimane un dubbio sull’utilità dello strumento dei test per quanto riguarda l’autovalutazione delle scuole, dato che il campione potrebbe non essere sinificativo. Inoltre, ci si chiede in che modo si possa rendere più scientifici i test, quindi maggiormente affidabili, come vorrebbe l’emendamento proposto che recita: vuole rendere i test più scientifici (a campione, come nel resto d’Europa), più fruibili per le scuole (per favorire il processo di autovalutazione) e contenerne i costi che l’art. 51 intende scaricare sulle scuole e sui docenti, obbligandoli a gestirli gratuitamente.

Quanto alla prestazione gratuita dei docenti, già lo scorso anno, sulla scia di una circolare ministeriale in cui si chiariva l’aspetto della correzione dei test come “attività aggiuntiva“, diversi Uffici Scolastici Regionali avevano proposto alle scuole di definire un compenso – per lo più simbolico, vista la scarsa liquidità di cui dispongono i vari istituti – per gli insegnanti impegnati, prelevandolo dal FIS.

Insomma, non essendo io una sostenitrice dei test InValsi, ritenendoli poco utili all’autovalutazione e uno strumento poco oggettivo per la valutazione del merito dei docenti (una spina nel fianco ancora non del tutto estirpata e pare che il ministro Profumo tergiversi su questo aspetto, continuando ad applicare la sperimentazione del merito proposta dalla Gelmini e contestata da più parti), credo che la scuola abbia problemi più urgenti da affrontare, senza dispendio di forze e di fondi in una questione molto controversa che dovrebbe trovare dei punti d’incontro chiedendo, innanzituttto, la collaborazione dei docenti volta al miglioramento e al supermaneto di uno status quo che scontenta un po’ tutti.

[LINK della fonte]

A CHE SERVONO I DATI DELL’INVALSI SE NESSUNO LI LEGGE O LI SA LEGGERE?

Un argomento cui ho dedicato molte energie, pubblicando dei post su questo e sul mio blog primario, è quello relativo ai Test InValsi. Ho sempre detto di non essere contraria alla loro somministrazione ma di non condividere il loro utilizzo ai fini meritocratici. In altre parole, chi ci assicura che i risultati dei test (tra l’altro mal concepiti se pensiamo alla nostra didattica corrente) siano davvero lo specchio delle nostre realtà scolastiche? Chi ci assicura che la loro somministrazione non sia strategicamente pilotata da altri? E qui mi fermo per non sembrare una che punta il dito contro qualcuno in particolare. Sono semplicemente una docente che si interessa alla questione e legge tutta la documentazione possibile, i vari pareri, sia pro sia contro.

Per non allontanarmi troppo dal tema di questo post, torno al topic. L’InValsi fornisce ad ogni scuola i risultati dei test. Ma siamo sicuri che qualcuno li legga? Siamo sicuri che ci sia, nelle varie scuole di ogni ordine e grado, qualcuno vermente in grado di leggere i dati? Se consideriamo l’utilità dei test almeno come strumento di autovalutazione (come dovrebbe essere), quando non si è in grado di analizzare il feedback, o semplicemente non si ha voglia di farlo, allora i tabulati possono essere tranquillamente buttati nel cestino della carta straccia e, come tali, avere l’unica funzione di un’operazione burocratica priva di qualsiasi utilità.

Queste mie riflessioni emergono, anzi si rafforzano, dalla lettura di questo post pubblicato da ilsussidiario.net a firma di Franco Tornaghi.

Scrive il collega: Piaccia o non piaccia, ad oggi l’unico strumento a disposizione di ciascuna scuola italiana per osare proporre una valutazione che tenga conto anche dei risultati di altre scuole è il pacchetto dei risultati delle rilevazioni Invalsi. Esso è comunicato ad ogni scuola e solo ad essa: la scuola deve decidere se aprirlo, come studiarlo e quali energie investire per render possibile una ricaduta migliorativa dell’intero sistema.

Anche ammettendo la buona volontà del singolo istituto di studiare i dati, secondo Tornaghi non è scontato che in ogni scuola vi siano figure competenti nella lettura di risultati statistici. Non è una colpa imputabile alle scuole e – lo dico per evitare equivoci – non è una caratteristica degli istituti comprensivi, magari privi di laureati in matematica, al contrario che nelle secondarie di II grado.

Ma anche nel caso in cui queste figure ci siano, la sola lettura dei risultati dei test è lunga, figuriamoci quanto tempo può richiedere l’elaborazione dei dati.
Osserva l’autore dell’articolo:

Nel mio istituto (1400 studenti) ho calcolato approssimativamente che per i test sottoposti alle 14 classi seconde ci sono stati restituiti 2.484 risultati numerici per classe, per un totale di 34.776 cifre, oltre a 30 file con grafici vari. Se ogni cifra la si guardasse per un secondo e ogni grafico per un minuto ci vorrebbero più di 10 ore per la prima lettura! Ma non basta leggere i numeri: occorre capire a cosa si riferiscono e quale messaggio veicolano.
E qui le ore necessarie aumentano a dismisura. Allora bisogna restituire meno risultati?

E qui il problema si ripropone identico: ci sono i soldi? Ricordate la famosa “insurrezione dei docenti” che, nel maggio scorso, non volevano somministrare i test perché la correzione sarebbe stata un’attività aggiuntiva senza retribuzione? Allora il Ministero aveva fatto un passo indietro, proponendo che i singoli istituti recuperassero le somme necessarie dal già misero FIS (fondo d’istituto, con cui la scuola deve affrontare numerose spese per non attendere le sempre più scarse risorse che arrivano dal Ministero).
Ma se la correzione dei test può essere affrontata senza particolari competenze (i docenti non sanno forse correggere delle prove a crocette?), nel caso della rielaborazione dei risultati delle prove InValsi una specifica competenza è richiesta così come un bel po’ di tempo, non un’oretta o due.

Tornaghi, poi, parla di una specifica figura professionale, il “referente per la valutazione”, che dovrebbe essere presente in ogni scuola, cui spetterebbe questo compito con regolare retribuzione. Io non ne ho mai sentito parlare, almeno non in questi termini. So che in ogni istituto (o plesso) è presente un comitato di valutazione che ha il compito di valutare i docenti neo-immessi in ruolo, al termine del loro anno di prova, ma non mi sembra che Tornaghi intendesse questo.

Insomma, questa fantomatica figura del “referente per la valutazione” dovrebbe esserci ma non c’è. Costa troppo? Forse. Eppure il suo lavoro sarebbe estremamente utile. Spetterebbe a lui/lei, infatti, il compito (retribuito) di analizzare i risultati che l’Invalsi fornisce, al fine di non fraintendere i risultati stessi e poter così riprogrammare partendo dalla situazione effettivamente esistente e paragonandola ai risultati regionali, macroregionali e nazionali.

Per onestà devo dire che nel mio liceo i dati sono stati elaborati ed è stato fatto il confronto con gli altri licei scientifici in Italia, con la specifica realtà geografica (il Nord-Est), con il dato medio emerso dai risultati ottenuti in tutte le scuole italiane (sempre, ovviamente, relativamente alle classi seconde delle scuole secondarie di II grado). Non so esattamente chi abbia fatto questo lavoro né se abbia ottenuto un compenso. Non è presente, tuttavia, una specifica figura di riferimento.
Sia in Matematica sia in Italiano i nostri risultati superano di gran lunga quelli medi della regione e del Paese. Ciò ci consola molto ma non per questo dobbiamo pensare che quei risultati siano lo specchio del nostro liceo. In alcuni casi gli esiti dei test appaiono compatibili con il livello della classe oggetto di studio, in altri no.
Perché mai questo gap? Forse qualche esperto potrebbe dircelo.

[immagine da questo sito]

A PROPOSITO DI MERITOCRAZIA E CHEATING

Leggo sul blog di Giorgio Israel, che seguo abitualmente e che ammiro per l’intelligenza e per l’onestà con cui tratta gli argomenti che gli stanno a cuore, un articolo interessantissimo che tratta, ancora una volta, di meritocrazia. Tema molto caro a Israel, su cui il professore ha le idee chiare e, almeno per me, condivisibili:

[…] in questi tempi in Italia non si fa che parlare di “merito” e “meritocrazia”, il che – se le parole hanno ancora un senso – significa premiare i meritevoli, i più bravi e volenterosi, e farla finita con la prassi per cui tutti vanno avanti indipendentemente dalle loro capacità e prestazioni. Si mettono in piedi progetti per individuare e premiare i “migliori” insegnanti e le scuole “migliori”. Poi però si viene a sapere che la prassi di copiare durante gli esami non soltanto dilaga ma viene favorita o addirittura promossa da certi insegnanti.

Fin qui credo non ci sia nulla da eccepire. Eppure recentemente dal rapporto InValsi, relativo alle prove somministrate, lo scorso maggio, in tutte le scuole di ogni ordine e grado, è emerso che il cheating (la copiatura, il barare) non è un fenomeno diffuso, almeno in presenza degli osservatori. Eh già, ma quando il gatto non c’è
Non serve essere degli esperti per capire che se nelle scuole italiane, soprattutto in certe regioni, gli studenti brillano all’Esame di Stato, nonostante i rilevamenti dell’InValsi non siano loro favorevoli, il sospetto che i topi ballino non è solo una fantasia degli insegnanti del Nord che ritengono ingiusti i risultati ottenuti dalle loro scuole che, in teoria, sarebbero le migliori sul territorio nazionale.

Certo, sono tutte illazioni. Il professore Israel, però, ritiene di avere delle fonti attendibili e svela una realtà che ai docenti più onesti e deontologicamente corretti è molto difficile anche solo immaginare:

Mi raccontano – e la fonte è attendibile – che in un liceo importante l’insegnante (per giunta vicepreside) che sorvegliava la prova di matematica di maturità ha dato il posto in cattedra allo studente notoriamente migliore e poi, quando questi ha risolto il problema ha passato la soluzione a tutti. Nelle prove di latino, l’insegnante ha “scaricato” la traduzione da internet e l’ha trasmessa ai candidati. È da immaginare quali risultati avrebbe dato il progetto sperimentale del ministero (premiare i migliori insegnanti scelti dal preside e da due colleghi eletti)…

E si ritorna, quindi, al nodo della questione: quali strumenti sicuramente attendibili utilizzare ai fini meritocratici? Parla facile Abravanel (vedi articolo linkato) quando osserva: La grande occasione persa nel non aver esteso i test Invalsi alla maturità non è solo quella di una grande occasione perduta per rilanciare la meritocrazia nella selezione per l’accesso alla università. Quei test potrebbero essere utili anche per valutare il sistema educativo italiano dove è più debole e ineguale: l’istruzione superiore e l’università.
Possiamo immaginare quanto sarebbero stati attendibili i risultati … sempre in assenza dei gatti.

Come ho già avuto modo di dire (LINK) i test InValsi non sono uno strumento attendibile, tantomeno la famigerata commissione interna d’istituto che darebbe troppo potere ai dirigenti e creerebbe inevitabili tensioni fra i docenti. Ma, questione meritocrazia a parte, cosa si può (e si deve) fare per evitare che il cheating continui ad essere praticato? Quali sanzioni dovrebbero essere inflitte a quei docenti che aiutano i loro studenti per farli brillare? E cosa fare affinché comportamenti scorretti siano scoperti? Dobbiamo forse aspettare che qualcuno faccia la spia? E in questo caso, chi? Altri docenti, seri ed onesti, o gli studenti stessi, magari quelli che non hanno potuto fare affidamento sulla bontà dei loro insegnanti?

Rileggendo l’articolo di Israel, mi colpisce soprattutto una parte: Nelle prove di latino, l’insegnante ha “scaricato” la traduzione da internet e l’ha trasmessa ai candidati. Voglio dire, almeno avesse fatto lei o lui la traduzione personalmente! Dovrebbero sapere i docenti che insegnano Latino (e anche quelli di Greco) che le traduzioni dei brani che si trovano sul web spesso sono inaffidabili, eccessivamente “libere” e non sempre corrette. Senza contare che affidarsi ad Internet per ottenere una traduzione è un pessimo esempio. Anche il professor Israel si pone lo stesso problema, citando Paolo Ferratini (uno degli esperti che si è occupato del Regolamento relativo al riordino dei Licei):

Ha ragione Paolo Ferratini quando osserva che ormai gli studenti traducono dal latino benissimo a casa e malissimo a scuola. Egli suggerisce allora all’insegnante di smettere di dare versioni a casa, di prendere atto della situazione e iniziare a costruire percorsi di apprendimento dai migliori siti della rete, imparando e insegnando a distinguerli dalla spazzatura

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La proposta non è del tutto strampalata. Ma accanto all’attività di comparazione tra testi tradotti per distinguere il meglio del web, io da anni adotto un’altra strategia: lavorare in classe con gli allievi, anche attraverso i laboratori di traduzione, dividendo la classe in gruppi eterogenei e affidando la gestione di ciascun gruppo agli studenti migliori. Con la speranza che non usino il cellulare per connettersi … ora che il ministro Brunetta ha pensato di distribuire alle scuole il kit wi-fi gratuito, non ci sarà nulla di più facile.

[immagine da questo sito]