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IL DUOMO DI MILANO VIETATO AI BAMBINI IN GITA

duomo milano
Sono rimasta senza parole nel leggere l’ultimo articolo sul blog del Corriere.it “Scuola di vita”. Protagonista involontario di un episodio di vera discriminazione è il Duomo di Milano, vanto dell’Italia intera. Ma quello che è accaduto, come osserva Monica Fontanelli, maestra elementare di Bologna, è indegno di un Paese civile.

Come ben sappiamo, molte chiese di prestigio in Italia non hanno l’ingresso libero. Non trovo disdicevole far pagare un tot per visitare un luogo di culto che è anche un monumento. In fondo, l’obolo può servire a garantire una maggior sorveglianza e una migliore manutenzione. Purché la richiesta non sia eccessiva oppure non sia vincolata ad altri obblighi.

L’inconveniente occorso ad una scolaresca – bambini di seconda elementare in visita d’istruzione – è davvero incredibile. Due maestre, coadiuvate da alcuni genitori, hanno portato una classe in visita al Duomo di Milano. All’ingresso è stato detto loro che avrebbero dovuto noleggiare un sussidio audio per la visita, al costo di 2 euro per ciascun visitatore. Nella lettera che la signora Fontanelli indirizza al sindaco del capoluogo lombardo Pisapia, si specifica che questa regola viene applicata alle scolaresche e non ai singoli visitatori.

La maestra allora giustamente cerca di spiegare che un sussidio del genere non è adatto ai bambini di quell’età. Poi, vedendo che genitori con figli tranquillamente entravano senza essere costretti a pagare alcunché, propone, con intento tutt’altro che fraudolento, visto che chiede una specie di permesso, che ciascun adulto (oltre alle due maestre erano presenti anche sei genitori, per i 26 scolari) entri in chiesa con qualche bambino, esattamente come se fossero dei gruppi familiari.

Davanti a questa proposta la reazione del personale della Veneranda Fabbrica è stata scioccante: se l’avessero fatto avrebbero chiamato la polizia.

Sono curiosa di sapere quando e se risponderà alla missiva il sindaco Pisapia. Come minimo dovrebbe invitare la scolaresca a Milano e pagare un pranzo a tutti … oltre, naturalmente, a far entrare i bambini gratis nel Duomo.

UN BAMBINO HA DUE MAMME: NIENTE FESTA DEL PAPA’ A SCUOLA

festa_del_papaRicordo quando i miei bimbi tornavano a casa dall’asilo o dalla scuola elementare tutti felici, stringendo nelle manine il regaletto per la mamma o per il papà. Gli occhi erano luminosi, il sorriso, a volte sdentato, era espressione della gioia e dell’orgoglio, quello di aver preparato un semplice biglietto oppure una poesia o un piccolo oggetto da donare ai genitori in occasione della festa della Mamma e di quella del Papà. Mio marito tiene ancora in macchina un block notes a forma di automobile, con la scritta “Per il mio papà”, che il secondogenito gli aveva confezionato alla scuola materna.

A parte i ricordi, devo essere sincera che non ho mai tenuto in grande considerazione queste feste perché ritengo che siano figlie del consumismo e facciano dimenticare la ragione per cui la festa della Mamma si celebra a maggio, mese dedicato alla Madonna, la madre di Gesù, e quella del Papà il 19 marzo, giorno in cui la Chiesa festeggia San Giuseppe, padre putativo di Cristo.
Però so per certo che i bambini in età scolare ci tengono molto, proprio perché hanno modo di dimostrare ai genitori la propria capacità manuale, seppur nella maggior parte dei casi siano le maestre a dare il tocco finale ai regaletti preparati.

Per questo motivo, per i ricordi che ancora custodisco, la notizia letta sul Corriere di oggi mi ha lasciata sconcertata.
In una scuola materna di Roma, le insegnanti, dopo aver sentito una psicologa, hanno deciso di cancellare la festa del papà, sostituita da una generica festa della famiglia, in occasione del 19 marzo, San Giuseppe e Festa del Papà. Il motivo? La scuola è frequentata da un bambino che ha due mamme … e nessun papà. Ma gli altri genitori non ci stanno e, numerosi, hanno inoltrato una formale protesta al Municipio II, di competenza per l’istituto. L’assessore municipale alle Politiche educative Gloria Pasquali ha dato loro ragione: «Mi sento di condividere il disappunto di queste famiglie, non si tratta di discriminare qualcuno ma credo che non sia corretto cambiare così il calendario delle attività scolastiche e che non sia nemmeno educativo per chi non ha il papà».

Anche Emma Ciccarelli, presidente del Forum delle Associazioni Familiari del Lazio, è d’accordo: «Quello che ci sta a cuore – ha detto – non è la polemica fine a se stessa, ma il bene del bambino in questione. Quanti altri bambini in Italia vivono senza avere accanto i propri genitori? Penso ai bambini orfani ad esempio o a molti figli di genitori separati, anche per loro bisognerebbe non vivere questa festa? E dopo? Cancelliamo anche la festa della Mamma per tutti i casi inversi?».

Naturalmente, di tutt’altro avviso le associazioni a sostegno delle famiglie omogenitoriali. Per conoscere le loro posizioni vi rimando alla lettura dell’articolo linkato, non perché ritenga non abbiano diritto allo spazio in questo post ma solo per non dilungarmi troppo. Vi invito pure a leggere i numerosissimi commenti, alcuni dei quali davvero scioccanti.

Detto questo, io non ho alcuna riserva a prendere posizione: dopo l’abolizione delle recite di Natale per non offendere i bambini che professano religioni diverse dalla Cattolica, dopo che nel reparto di maternità si decide di sostituire il braccialetto destinato al “padre” con la dicitura generica “partner”, per non ferire la suscettibilità di due donne omosessuali, ora ci mancava pure l’abolizione della festa del Papà.
Intendiamoci: io sarei anche favorevole a lasciarla passare sotto silenzio, ma con altre motivazioni. Magari dicendo ai bambini che la festa di Mamma e Papà è ogni giorno tutte le volte che li prendono in braccio, li cullano, cantano loro la ninnananna, asciugano le lacrime quando sono tristi e partecipano alla loro gioia ridendo e giocando con loro.
Oppure, l’abolirei pensando a tutti i bambini meno fortunati che sono figli di coppie separate o hanno perduto uno dei genitori oppure sono stati abbandonati.

Ma rinunciare alla tradizione per non urtare la suscettibilità di chi rimane sempre un’esigua minoranza, proprio no, non lo trovo giusto. Che poi, onestamente, i bambini nati in famiglie omogenitoriali hanno già capito di essere “diversi”, sono perfettamente consapevoli di vivere in un contesto familiare anomalo rispetto lo standard. Non hanno certo bisogno di una Festa del Papà per rendersene conto.

Credo sia più facile spiegare a questo bambino perché non ha alcun regaletto da preparare per il papà piuttosto che dire a tutti gli altri che non possono preparare un dono per il loro.

[immagine da questo sito]

DISABILITÀ A SCUOLA: ARRIVANO I CARABINIERI PER FERMARE BAMBINO IPERATTIVO

Il fatto è accaduto nell’opitergino-mottense: un bambino iperattivo e dislessico, rimproverato dalla maestra, per tutta risposta ha lanciato verso di lei un tubetto di colla che, comunque, non pare averla colpita. Per tutta risposta, l’insegnante ha chiamato i Carabinieri che, intervenuti, hanno riportato la calma e lo scolaro è rimasto a scuola fino al termine delle lezioni.

Premetto che mi fido fino a un certo punto di ciò che leggo sui giornali. Parrebbe, comunque, che questo bambino (la cui disabilità, in ogni caso, non sembra grave … anche di mio figlio le maestre dicevano che era ipercinetico e la dislessia non è certo una disabilità fra le più problematiche) abbia già in passato creato problemi tali da costringere le famiglie a tenere i bambini a casa in attesa della risoluzione del problema. Mi chiedo, a questo punto, se sia stato fatto davvero qualcosa per risolvere un tale problema: si parla di maestre e bambini picchiati, in altre occasioni, tornati a casa pieni di lividi. Secondo quanto dichiarato dal direttore del distretto si starebbe cercando di far fronte al problema chiedendo il trasferimento del bimbo in un’altra scuola. Della serie: scarichiamo il barile che poi a caricarselo sulle spalle ci penseranno altri.

Venendo alla vicenda recente, la maestra, non potendo chiamare i genitori, a cui è stata tolta dal Tribunale, un mese fa, la potestà scolastica (onestamente ne ignoravo l’esistenza …), ha pensato bene di ricorrere alle forze dell’ordine. Mi vengono in mente le bonarie minacce che tutti noi, almeno una volta, abbiamo rivolto ai figli disubbidienti: guarda che se non la smetti chiamo i carabinieri! (o i poliziotti, i vigili urbani … insomma, qualcuno che non sia proprio l’uomo nero al quale nessun bambino ha mai creduto) Mi chiedo, inoltre, se il bimbo abbia un insegnante di sostegno e se questa maestra sia la titolare oppure supporti il bambino durante le lezioni. In ogni caso, per quanto problematica sia questa creatura, possibile che non si possa trovare una soluzione diversa dall’intervento dei carabinieri? Consideriamo che anche per gli altri bambini non dev’essere stato spettacolo gradito vedere entrare in aula degli uomini in divisa.

La madre, da parte sua, spiega cosa sia successo: «Durante la lezione mio figlio stava chiacchierando con un compagno. La maestra lo ha richiamato e poi gli ha chiesto di uscire dalla classe. Il bambino le ha risposto di no e la maestra lo ha tirato per un braccio per portarlo fuori. Mio figlio allora si è divincolato e le ha tirato contro la colla. […] Io mi chiedo perché la dirigenza scolastica abbia chiamato i carabinieri e non i servizi sociali territoriali di competenza».

A me le osservazioni della madre sembrano corrette. Visto che le è stata tolta la potestà scolastica (a parte tutto, mi chiedo per quale motivo), ha diritto ad affidare il figlio a persone competenti che sappiano come reagire di fronte alle sue intemperanze e magari siano in grado di trovare il sistema di arginare il fenomeno dell’iperattività. Credo inoltre che conti molto l’ambiente in cui il bimbo è inserito: se lo sente ostile (visti gli episodi pregressi), non troverà mai una motivazione per imparare, godendo anche dei momenti ludici che in una scuola primaria non possono mancare.

Mi rendo conto che la vicenda è complessa e che, date le poche informazioni offerte dalla stampa, è impossibile esprimere un giudizio. Le mie sono solo riflessioni “ad alta voce”, senza la volontà di schierarmi da una o dall’altra parte.

I GENITORI NON PAGANO LA MENSA: SEMPRE PIU’ BAMBINI A PANE E ACQUA


Il fenomeno se non sta proprio dilagando, sta assumendo comunque le proporzioni di un’emergenza sociale. Quasi quotidianamente, infatti, la stampa ci dà notizia di scuole, prevalentemente elementari e del Nord Italia, in cui vengono prese misure restrittive nei confronti delle famiglie che non pagano il servizio mensa. E certamente i sindaci sono determinati a portare avanti senza alcuna indulgenza delle soluzioni a dir poco discutibili.

Una decina di giorni fa era balzata tra i titoli in evidenza sulla stampa la proposta del sindaco di Cavenago (Monza) di non far usufruire del servizio mensa i figli dei genitori morosi. La società francese che gestisce il servizio pasti nella scuola “Ada Negri” di Cavenago, infatti, ha accumulato un credito di 23mila euro a causa delle rette non pagate. Una situazione non più sostenibile che ha indotto il sindaco della cittadina brianzola ad invitare i genitori che non pagano a ritirare i bambini a fine mattinata per poi riportarli a scuola nel pomeriggio. Una soluzione impraticabile considerando che se le famiglie optano per il tempo pieno è perché hanno bisogno di “parcheggiare” i figli a scuola per la maggior parte del tempo possibile. L’alternativa proposta, quindi, è stata quella di permettere ai bimbi di portarsi il pranzo da casa ma la decisione di farli mangiare in una sala diversa dal refettorio è stata giustamente contestata. Anche la disponibilità della ditta appaltatrice di fornire ai figli dei morosi un panino vuoto e un succo di frutta non è stata accolta favorevolmente.

Insomma, in tempo di crisi i Comuni e le ditte che forniscono i pasti sono in stato di guerra. Potrei essere anche d’accordo, visto che una qualsiasi azienda ha dei costi e deve poter trarre guadagno dalla propria attività. In fondo non stiamo parlando delle mense della Caritas. Secondo me bisognerebbe prima di tutto accertare l’indigenza delle famiglie (attraverso il certificato ISEE, ad esempio), per evitare che i soliti furbetti se ne approfittino. In secondo luogo l’amministrazione ha il dovere di venire incontro a chi ha realmente bisogno, senza ricorrere a soluzioni discriminanti e umilianti. Riguardo alla proposta del sindaco di Cavenago ho sentito, alla televisione, il parere della psicologa e psicoterapeuta Maria Rita Parsi che non condivide affatto la soluzione di far mangiare i bambini separatamente. Tutt’al più, dovrebbe essere permesso anche a quelli che si portano il pranzo da casa di consumarlo assieme agli altri compagni.

L’ultima notizia analoga proviene sempre dalla Lombardia. Il sindaco di Vigevano, Andrea Sala, non fa sconti ai 129 bambini di esclusi dalla mensa scolastica. «Solo così si recuperano i denari delle rette», dichiara. Quindi, bambini a pane e acqua. Confortato dall’esperienza del collega della scuola primaria di Adro (tristemente famoso per aver tappezzato il comprensorio scolastico con il simbolo leghista del Sole delle Alpi), Oscar Lancini, che ha ottenuto un calo della morosità usando il pugno di ferro, Sala ha dichiarato: «Spezzeremo le gambe ai genitori che non pagano, li stiamo già stanando, ci sono stranieri che devono essere educati e ci sono italiani ricchi che fanno i furbi…».

Di fronte a tali esternazioni io francamente rimango basita. Molto meglio andar cauti, senza far pagare ai bambini colpe che non hanno, come ha fatto l’amministrazione di Rho: «Faremo una campagna di sensibilizzazione perché tutti paghino il servizio, poi passeremo al recupero coattivo del credito», annuncia l’assessore Alessia Bosani.

E al sud la situazione com’è? Il comune di Napoli, ad esempio, ha sospeso del tutto il servizio mensa. In alcune scuole, come la Baracca dei quartieri spagnoli, ci pensano le mamme, o preparando personalmente i pasti o affidandosi a qualche rosticceria. Insomma, l’arte di arrangiarsi funziona sempre e, soprattutto, le gambe sono salve.

[fonti: Il Giornale e Il Corriere]

QUANTO STUDIANO I NOSTRI RAGAZZI?

La domanda avrebbe, nella più probabile delle ipotesi, una sola risposta: troppo poco. Certo, si deve prendere in considerazione il fatto che ci sono studenti molto bravi e coscienziosi che studiano anche troppo, però ogni giorno ci troviamo di fronte studenti svogliati, annoiati, disinteressati che non hanno intenzione di spendersi troppo nell’esecuzione dei compiti e nello studio domestico. Generalizzare non è mai bene, comunque.

In un report dell’Istat, “La scuola e le attività educative”, emerge un dato significativo: il 38,3% delle studentesse si impegna molto nello studio contro una quota assai più modesta di maschi (24,9%) che perlopiù tendono a non sprecarsi troppo, accontentandosi della sufficienza (il 21,3% rispetto al 14,1% delle femmine). I maschi, inoltre, sono più settoriali delle femmine perché tendono ad impegnarsi di più nello studio delle materie che preferiscono (il 13,1% rispetto al 9,4%).

Nello stesso report si quantifica lo studio domestico, a seconda dell’ordine di scuola frequentato: per i bambini delle elementari (scuola primaria) il numero medio di ore giornaliere passate sui libri è di 1 ora e 46 minuti che diventano 2 ore e 9 minuti per gli alunni iscritti alla secondaria di primo grado (scuola media).

Alle superiori (secondaria di secondo grado) si studia di più, almeno si dovrebbe. Ma il tempo dedicato alle attività domestiche cambia a seconda dell’indirizzo di studi prescelto: chi frequenta il liceo dedica allo studio circa 40 minuti in più al giorno (2 ore e 49 minuti) rispetto a chi frequenta un istituto tecnico o professionale (circa 2 ore).

Sui dati emersi mi sento in dovere di fare qualche commento.
Innanzitutto l’apprendimento non ha tempi prefissati: c’è chi sa concentrarsi nello studio e nell’esecuzione dei compiti, senza cedere a tentazioni varie (pc, telefonino, tv, merenda …) e necessita di minor tempo; chi, invece, non sa organizzarsi lo studio, non ha un posto tranquillo dove la concentrazione è assicurata (chi riuscirebbe a studiare in un luogo facilmente raggiungibile da pianti di fratelli minori, urla materne, cartoni animati alla televisione, chiacchierate telefoniche delle sorelle maggiori con il fidanzato?) e tergiversa perché ogni altra cosa da fare è senz’altro preferibile, non solo rischia di perdere più tempo ma anche di sprecarne la maggior parte senza concludere nulla.

Non parliamo poi del metodo di studio: quando arrivano al liceo, per esempio, gli studenti sono convinti di averne uno infallibile … peccato, però, che spesso quel metodo sia inadeguato. Gli insegnanti non sono dei dittatori che impongono la loro volontà, semplicemente danno dei suggerimenti sul metodo invitando gli studenti non brillanti a tentare qualche strategia diversa perché, evidentemente, gli strumenti utilizzati non sono quelli giusti. D’altra parte, non pretendono certo che i consigli debbano essere seguiti minuziosamente da quegli allievi che, pur seguendo metodi diversi, ottengono risultati soddisfacenti.

Un altro fattore condiziona fortemente lo studio domestico, nel senso che accorcia o allunga notevolmente i tempi: l’attenzione in classe. Chi segue le lezioni attentamente e prende appunti (sto parlando sempre dei più grandi, cioè quelli che frequentano la scuola superiore) sarà notevolmente agevolato nell’esecuzione delle attività domestiche e con ogni probabilità perderà meno tempo e memorizzerà meglio i contenuti appresi.

In conclusione, non bisogna sottovalutare i fattori individuali. Se qualcuno mi chiedesse quante camicie stiro in un’ora, risponderei quattro. Ma so perfettamente che qualcun altro ne stirerebbe cinque o anche solo tre. Dipende dagli strumenti a disposizione (non ho un ferro altamente tecnologico!) e dalla ricerca o meno della perfezione. A me piace stirare bene esattamente come ad alcuni studenti piace studiare bene. Non a tutti, però.

[fonte: Tuttoscuola.com; immagine da questo sito]

RICOMINCIA LA SCUOLA: 7 CONSIGLI ANTISTRESS PER LE MAMME DEI PIÙ PICCOLI

L’avvio dell’anno scolastico è quasi sempre accolto dai genitori dei più piccoli come una manna dal cielo. Infatti, è il periodo in cui, almeno per qualche ora al giorno, i figli sono “sistemati”. Attenzione, però: per i piccolini che stanno per essere inseriti nella scuola d’infanzia e per quelli appena un po’ più grandicelli che iniziano ora la scuola primaria questi sono giorni emotivamente stressanti. Inevitabilmente ne risentono anche i genitori, senza contare tutte le corse che si devono fare per gli acquisti, i libri da copertinare, i grembiulini (si usano ancora?) da sistemare, la cernita dei pastelli colorati da fare, gli zainetti, che stanno ancora lì in un angolo, ben chiusi con il contenuto delle cose che erano servite l’ultimo giorno, da lavare … insomma, non c’è da stare tranquilli nemmeno un po’. Ma come allontanare lo stress da inizio scuola?

Barbara Sgarzi, su Vanity Fair, elenca 7 simpatici consigli antistress. Eccoli:

1 Non correte Quando iniziano le interminabili vacanze estive, 200 giorni di scuola sembrano pochissimi. In realtà l’anno scolastico non è uno sprint, è una mezza maratona. Se arrivate al fatidico primo giorno senza aver terminato il corredo scolastico per il pupo o l’iscrizione a Tai Chi, non vi preoccupate. C’è tutto il tempo.

2 Informatevi almeno da tre persone diverse Soprattutto se state vivendo il delicato periodo dell’inserimento alla scuola materna o il passaggio tra materna ed elementare, non abbiate paura di chiedere più volte le informazioni che vi servono: orari, materiali da portare, riunioni, numeri di emergenza. Trasformatevi in reporter e collezionate almeno due fonti diverse per ogni notizia. Spesso divergono e ve ne servirà una terza per essere certe di avere l’informazione corretta

3 Non comprate tutto subito soprattutto se, vedi sopra, iniziate un nuovo percorso scolastico. Non fidatevi dei malefici foglietti fotocopiati che vi consegnano, con l’elenco dei materiali assolutamente necessari. Anche perché, secondo i dati della Federconsumatori, la spesa per il corredo scolastico passerà dai 461 euro dello scorso anno ai 488 di quest’anno (+6%). Meglio evitare acquisti inutili: prima di correre in cartoleria, al super o in merceria (ebbene sì: in merceria), parlate con qualche altra mamma. Scoprirete che siete l’unica ad aver preso sul serio, acquistato e realizzato la “fettuccia di tessuto sulla quale scrivere nome e cognome con apposita penna indelebile da fissare poi con ferro da stiro rovente”, per identificare ogni capo di abbigliamento portato a scuola (è una storia vera). Non fidatevi.

4 Tanto, avevo judo Si chiamano attività extrascolastiche. Si sfoggiano, tra una chiacchiera e l’altra (vedi punto seguente) più di una borsa griffata. A parole, tutti criticano l’iperattivismo imposto ai bambini; poi, appena gratti la superficie di genitore zen e illuminato, scopri che dei cinquenni, tra danza terapia, teatro gioco, espressione corporea, l’immancabile nuoto e un’arte marziale “per l’equilibrio psicofisico” hanno l’agenda di un atleta olimpico. Vedete voi. Io mi limitarei a due attività a settimana. E no, la lezione di prova gratuita non è una garanzia: dopo quella, sono sempre tutti entusiasti, ma la gioia scema già alla quarta lezione: “Non ne ho più voglia” e ci sarà poco da fare, anche se avete pagato un’iscrizione triennale.

5 Le altre mamme sono amiche Ok, questa non è facile. Se non siete particolarmente socievoli o, semplicemente, non volete frequentare qualcuno per obblighi sociali, fuggirete dai caffè davanti alla scuola (posto che ne abbiate il tempo, dopo aver scaricato il pupo alla velocità della luce per correre al lavoro) oppure alle chiacchiere all’uscita. Però servono. In primis per ottenere informazioni preziose, poi perché possono facilitare l’organizzazione dei pomeriggi e delle attività extrascolastiche. Ah sì: se avete fortuna, magari con qualcuna andate d’accordo davvero, e non solo perché è “la mamma di”.

6 Il network è importante Non quello lavorativo, per carità. Quello delle babysitter. Se non avete le solite nonne o zie o vicine di casa molto comprensive, se non c’è una Mary Poppins fissa, sappiate che dovrete contare su almeno tre babysitter. Una in carica per i pomeriggi, una di emergenza per le mattine di sciopero e febbri, una per la sera se la numero due vi desse buca.

7 Non lamentatevi la scelta di lavorare e avere una famiglia, oppure quella, opposta, di stare a casa a occuparvi dei figli, l’avete presa tempo fa, per amore o per forza. Inutile continuare a ripetere tutti giorni che l’alternativa sarebbe mille volte meglio.

SCUOLA PRIMARIA: ALLA MENSA SCOLASTICA MAESTRE A DIETA!

Non mi occupo molto delle primarie perché non ho particolari competenze per quanto riguarda gli ordini di scuola in cui non insegno. Però questa la devo raccontare. Possiamo chiamarla un’esclusiva, se volete. Ma per discrezione non farò nomi né indicherò la località in cui pare (rimango nel vago perché non ho una documentazione ufficiale di riferimento) abbia avuto luogo il “simpatico” siparietto che vi voglio raccontare.

Ho una amica che insegna alle elementari da molti anni e qualche volta, di fronte alla tazzina del caffè in un bar del centro, ci raccontiamo le nostre vicissitudini scolastiche. E così sono venuta a sapere delle cose che, essendo l’ambiente delle primarie molto lontano dal mio quotidiano di docente al liceo, ignoravo del tutto.

Per prima cosa ho scoperto che quella del maestro unico, che a suo tempo aveva scatenato tante proteste, in realtà è quasi una bufala. La mia amica mi ha spiegato che l’abolizione del modulo con i tre maestri per classe è stata una necessità richiesta dai famosi “tagli” di gelminiana memoria. Quello che al ministero interessa è limitare il numero dei docenti per risparmiare sugli stipendi. E fin qui ci arrivavo anch’io. Ciò che non sospettavo affatto è che alla fin fine gli insegnanti, nel numero stabilito dal ministero in rapporto al numero delle classi, si dividono le discipline d’insegnamento su più classi, pur mantenendo formalmente quello che l’ex ministro chiamava “maestro prevalente”, in modo da rispettare il numero delle cattedre in organico ma senza affidare a ciascuna classe un maestro onnisciente. Questo perché, almeno così pare, le “vecchie “maestre si erano specializzate in determinati ambiti quindi si sarebbero trovate in difficoltà. Facendo un esempio, un insegnante che per trent’anni ha insegnato nell’ambito linguistico e antropologico, si sarebbe sentito inadeguato nell’ambito logico- matematico.
In pratica è quasi tutto come prima, con la differenza che non ci sono più le compresenze, sulla cui utilità ora non mi sento di pronunciarmi perché non sono competente.

Secondo punto dolente: il tempo pieno. Nonostante il ministero rassicuri tutti gli anni che le classi a tempo pieno aumentano anziché diminuire, in realtà le richieste sono talmente tante che la maggior parte – specie in certe regioni – rimane inevasa. Allora le scuole che fanno? Potendo offrire un pacchetto orario diversificato, cercano di venire incontro alle famiglie con qualche rientro pomeridiano. La mia amica mi ha spiegato che comunque il cosiddetto doposcuola viene garantito dal Comune, dietro pagamento di una retta mensile, naturalmente. Proprio per non gravare sulle famiglie, nel plesso della mia amica è stato deciso di strutturare l’orario in modo da prevedere due rientri pomeridiani anziché uno, come si è fatto fino allo scorso anno. In questo modo, almeno due pomeriggi sono gratis. Mi sembra un esempio da seguire, lodevole per la buona volontà delle insegnanti che non sarebbero obbligate a procurarsi questo ulteriore disagio.

Terzo punto dolente: la mensa. Ovviamente con l’istituzione dei due rientri pomeridiani si presenta la necessità di provvedere alla sorveglianza dei bambini in mensa per due pomeriggi e non solo uno. Dal punto di vista organizzativo pare non ci siano problemi. Ricordo, a chi non lo sapesse, che la mensa è a tutti gli effetti considerata tempo scuola e gli insegnanti delegati alla sorveglianza non devono fare delle ore in più. Il problema sarebbe (uso il condizionale sempre per il motivo sopraesposto) che due insegnanti per 30 bambini per due pomeriggi alla settimana graverebbero un po’ troppo sulle casse del Comune che deve pagare loro il pasto. Quindi, non più due pasti ma quattro. Allora che si fa? Il Comune in un primo tempo pare abbia proposto di affidare ad una sola insegnante i 30 bambini a mensa. Impossibile, dicono le insegnanti e a ragione: la sorveglianza non significa solo stare attente che i piccoli non si facciano male, non si inforchettino o diano luogo a dispute varie del tipo “tu hai due fili di pasta in più e tre patatine in più”. La mia amica osserva che la sorveglianza in mensa, rientrando nel tempo scuola, ha anche una valenza educativa quindi un numero così elevato di bambini da guardare, oltre ad essere illegale, non mette in condizione le maestre di fare al meglio il loro mestiere.

Quindi, scartata l’ipotesi dell’unica maestra in mensa, per risparmiare sul pasto degli insegnati, il Comune cosa propone? Che le due maestre si dividano il pasto: una mangia solo il primo, l’altra solo il secondo
Insomma, una dieta forzata a quanto pare. Ma vi pare possibile una cosa del genere?
Non resta che attendere gli sviluppi. Vi terrò aggiornati.

[immagine da questo sito]

PONTREMOLI: CONFERMATA BOCCIATURA PER CINQUE SCOLARI DI PRIMA ELEMENTARE

La scuola è finita (almeno per quel che riguarda le lezioni) e spuntano, puntuali come ogni anno, le polemiche sulle bocciature. Basterà attendere qualche settimana, poi sentiremo anche le proteste per i pochi 100 all’esame di maturità e le bocciature facili da parte di commissioni troppo esigenti. C’est la vie. Tutti, comunque, sempre pronti ad esprimere giudizi affrettati senza avere nemmeno chiaro il quadro della situazione.

Io sono la prima a sostenere che non si dovrebbe mai bocciare. Ciò non significa, però, che si debbano mandare avanti scolari e alunni con una preparazione inadeguata al prosieguo del percorso scolastico. Come ho già detto, sono del parere che le bocciature, attualmente, siano dovute ad una serie di circostanze per cui è praticamente impossibile seguire ogni bambino e ogni ragazzino con un percorso individuale come effettivamente si dovrebbe. Guarda caso, il dito è puntato verso i provvedimenti voluti dalla Gelmini e volti al risparmio. Non c’è da stupirsi, quindi, che dei bambini in difficoltà debbano subire una bocciatura che si sarebbe forse potuta evitare se le classi fossero meno numerose, se gli insegnanti di sostegno potessero operare in modo diverso, con più ore a disposizione e senza dividersi tra alunni diversi con problematiche più o meno complesse, se venisse rispettato il limite di alunni nelle classi in cui viene inserito un compagno disabile.

L’ultimo caso balzato alle cronache è quello di cinque bambini bocciati in prima elementare in una scuola di Pontremoli (Massa Carrara). Alcuni genitori si erano rivolti al ministro Profumo il quale aveva inviato degli ispettori. Al termine dell’ispezione era stato ordinato al dirigente di far ripetere gli scrutini. Ma l’esito dei primi è stato confermato: i cinque bambini, tra cui uno disabile, dovranno ripetere la prima.

Dal canto suo, il dirigente Angelo Ferdani, dice di avere la coscienza a posto: “Sono stato io il primo a sollevare il problema del sovraffollamento delle classi ma nessuno mi ha autorizzato a creare una terza sezione di prima elementare”, ha spiegato pochi giorni fa. I genitori, che si sono costituiti nel comitato che conta circa 65 famiglie, rivelano che il dirigente già a febbraio aveva avvertito il Tar di avere cinque bambini da bocciare. La presidente del comitato osserva: “Dal punto di vista didattico ci sembrò una follia ma forse era solo un modo per risolvere il problema del sovraffollamento“. Più che risolvere io direi sollevare.

Allora mi chiedo: visto che nella maggior parte dei casi le classi-pollaio sono fuori legge (disattendono infatti la legge sulla sicurezza), perché il Tar non condanna il ministero, come dovrebbe, invece di limitarsi a dar ragione agli insegnanti, rei di aver bocciato dei bambini di sette anni?

[LINK della fonte; immagine da questo sito]

AGGIORNAMENTO DEL POST, 2 LUGLIO 2012

LE MOTIVAZIONI DELLE BOCCIATURE

Non hanno raggiunto i requisiti minimi per la sufficienza, tra cui saper leggere, almeno in stampatello, e saper far di conto. Queste in sintesi le motivazioni che hanno portato alla conferma della bocciatura dei cinque alunni di prima elementare della scuola ‘Giulio Tifoni’ di Pontremoli dopo la ripetizione degli scrutini disposta dal Miur a seguito di un’ispezione ministeriale.

Nei giorni scorsi la scuola ha inviato i verbali dei nuovi scrutini all’Ufficio Scolastico Regionale per la Toscana. In questo modo la decisione presa dalla scuola è definitiva.

Il Miur, tuttavia, avrebbe manifestato l’intenzione di eseguire nei prossimi mesi ulteriori accertamenti sull’istituto. Sotto la lente d’ingrandimento del ministero potrebbero finire le modalità di conduzione dei corsi di recupero, che i bimbi bocciati hanno seguito senza successo.

Intanto, per il mese di settembre, l’Ufficio Scolastico Regionale organizzerà per tutti i docenti della Toscana corsi di formazione specifici, sui temi della valutazione e dell’accompagnamento dell’apprendimento dei bambini in situazioni di difficoltà.

Sul caso di Pontremoli Tuttoscuola ha già osservato che la normativa vigente consente, sia pure in casi eccezionali, di non ammettere alunni alla classe successiva. Quindi o si modifica la normativa eliminando del tutto la possibilità di far ripetere l’anno, superando la nozione di ‘requisiti minimi’, oppure le valutazioni dei docenti vanno accettate anche quando comportano la ripetizione dell’anno. Il resto è ipocrisia.

[FONTE TUTTOSCUOLA.COM]

COMPITI A CASA? NO, GRAZIE. I GENITORI FRANCESI SI RIBELLANO

Ogni tanto ne sentiamo parlare. I compiti a casa sono scomodi, soprattutto per i genitori. Spesso si passano interi pomeriggi alla scrivania con i figli, specie se non particolarmente brillanti, e quella dei compiti per casa è considerata una vera schiavitù. Se poi gli insegnanti li assegnano anche per le vacanze (Natale, Pasqua, estate .. non importa, le vacanze sono vacanze ecchecaspita!), intere famiglie si sentono prigioniere entro le mura domestiche perché i figli devono lavorare.

E che dire dell’insana abitudine di sostituirsi ai figli – specie se piccoli, diciamo quelli che frequentano le elementari – nell’esecuzione del lavoro domestico così si fa più in fretta e una passeggiatina magari la si riesce a fare? Certo, i genitori credono di fare pochi danni, nella convinzione che prima o poi i bambini raggiungano una completa autonomia. Ma amare sorprese riserva il prosieguo degli studi …

Ieri al TG1 ho sentito che sempre più diffuso, in particolare per i ragazzi più grandi, è il ricorso a dei tutor disponibili su alcuni siti Internet. Oppure particolarmente affascinante, a quanto pare, è l’idea di fare i compiti assieme ai compagni via skype. Mentre una volta ci si incontrava a casa dell’uno o dell’altro, ora si sta comodamente seduti davanti al proprio pc, nella propria cameretta, immortalati da una telecamera e dotati di microfono al posto dell’obsoleta cornetta del telefono. E così le ore che gli studenti passano davanti al computer si moltiplicano, anche se con le più buone intenzioni.

Tornando alle famiglie e alla loro scarsa predisposizione ad accogliere gli obblighi scolastici dettati dagli insegnati, come se questi ultimi si divertissero a fare i sadici e basta, in Francia è in atto una vera e propria ribellione: almeno per le prossime due settimane, saranno i genitori a chiedere ai propri figli di non svolgere alcuna attività domestica. Cartelle chiuse oltre l’orario scolastico. Come potremmo chiamarlo? Lo sciopero degli zaini?

Questo singolare boicottaggio è stato ideato dalla Fcpe (la principale associazione che raccoglie i genitori dei ragazzi iscritti alle scuole pubbliche transalpine) con lo scopo di protestare contro “l’inutilità e l’ingiustizia” dei compiti a casa assegnati ai bambini che frequentano gli istituti elementari francesi. La protesta è partita da un blog e, com’era facile immaginare, ha raccolto già 22.000 adesioni e ha sviluppato un acceso dibattito sui quotidiani francesi.

I contestatori affermano che non solo i benefici degli esercizi scolastici a casa non sono mai stati provati scientificamente, ma che i compiti sono spesso causa di profondi litigi tra genitori e figli. Senza contare che i compiti sarebbero un motivo di discriminazione tra i bambini più fortunati che possono contare sull’aiuto di qualche familiare in casa e quelli che invece devono arrangiarsi da soli.

Anche se lo scopo di questa iniziativa è quello di organizzare due settimane senza compiti a casa e di immaginare assieme altri modi per comunicare il lavoro fatto in classe e anche se il Francia esiste una legge del 1956 che vieta agli insegnanti di assegnare compiti a casa ai bambini delle scuole primarie – legge che è aggirata dai maestri che assegnano delle attività da svolgere tenendo impegnati i bambini per più di un’ora la sera – credo che lo “sciopero” serva a ben poco se i genitori sono convinti che i compiti siano inutili e ingiusti. Nel momento in cui non si fidano dell’insegnante, come possono sperare di dar vita ad un dibattito sereno su questo argomento?

[notizia de Il Corriere]

FOTO DI CLASSE: DUE COPIE, UNA CON LA BAMBINA DOWN E UNA SENZA

La notizia è davvero sconcertante: una foto di classe in due versioni, una con la presenza di una bambina down, esclusivamente per la sua famiglia, e un’altra “ripulita” che ritrae tutti gli altri bambini, da consegnare alle loro famiglie.

E’ accaduto in una scuola elementare di Potenza. Un compagno di classe della bambina down si è accorto della duplice copia e ha segnalato il fatto. Le maestre, dopo che Mariapaola Vergallito sulla Gazzetta del Mezzogiorno ha raccontato la storia, ora chiedono scusa e si giustificano: non una crudeltà voluta ma una coincidenza. La prima foto scattata non è venuta bene e in occasione del secondo scatto la bambina down era assente.

Rimane il fatto che la prima foto venuta male è stata consegnata comunque alla famiglia della bambina e, evidentemente, non è stata giudicata sufficientemente brutta per quei genitori.

O forse, senza essere ipocriti, il primo scatto era “venuto male” proprio per la presenza della bimba e hanno atteso che lei fosse assente per rifare la foto di gruppo.

Io non ho parole per esprimere la mia indignazione e rimado alla lettura dell’articolo pubblicato oggi su Il Corriere.
Aggiungo solo questo: se è stato un bambino ad accorgersi che gli scatti erano diversi e a raccontare, presumibilmente ai genitori, il fatto, non mi pare un bel messaggio educativo da trasmettere ai piccoli, considerando che la scuola dovrebbe essere il “tempio” dell’educazione.