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DISTANZE RAVVICINATE (BUCCACCIA MIA, STATTI ZITTA)

Da settimane, negli edifici scolastici si è fatto grande uso del metro per misurare le aule a disposizione e capire quanti allievi, nelle classi sempre troppo numerose, possano contenere. Tutti gli altri, gli esclusi, a casa. Logicamente con la necessaria turnazione, tranne casi particolari: BES (allievi con bisogni educativi speciali) e quelli sfortunati che magari abitano in paradisi terrestri, ma non hanno una connessione stabile.

Un metro tra banco e banco, si era detto. Erano anche state diffuse piantine con simulazioni adattabili ai vari contesti. In una di queste la cattedra stava al posto del portaombrelli (secondo la posizione che l’oggetto ha nelle aule del mio liceo) ma, vabbé, ci si adatta. Negli anni docenti e studenti hanno sviluppato uno spirito di adattamento unico, credetemi.

Poi arriva la fine di giugno, le vacanze (o meglio ferie) bussano alla porta, in ogni scuola è pronto un piano, più di uno per i fortunati dal “multiforme ingegno” tanto da fare invidia ad Odisseo, e una prospettiva di rientrare a settembre si fa strada tra la nebbia dell’incertezza che ha caratterizzato il nostro tempo da marzo in poi. Pur con disagi che richiedono pazienza infinita, intendiamoci.

Con la tempestività che da qualche anno caratterizza gli inquilini di viale Trastevere, arriva una buona notizia : la distanza di sicurezza non è più di un metro tra banco e banco ma tra le “rime buccali”.

OK, va tutto bene. Poteva andare peggio.

I più si saranno chiesti cosa caspita siano queste “rime buccali”. Insomma, la scolarità avanzata del popolo italiano ha fatto transitare chiunque, per tempi più o meno lunghi, nelle aule scolastiche. Un banco è un banco, lo sanno tutti. Ma ‘ste “rime buccali”?

Credo sia stata l’espressione più cercata su Google negli ultimi giorni.

Che “bucca” abbia qualche nesso etimologico con “bocca” si può facilmente immaginare. E le “rime”? Gli studenti forse conoscono le rime baciate che, in qualche modo, “si baciano” quindi hanno un contatto come le labbra in un bacio: i versi a rima baciata, infatti, sono quelli in cui un verso della composizione è in rima con quello immediatamente successivo.

In poesia la parola “rima” indica, semplificando al massimo, l’identità di suono. Le “rime buccali, tuttavia, non c’entrano nulla con i versi poetici anche se l’espressione è in stretta relazione con la bocca. Nel linguaggio anatomico “rima” indica “una fessura lineare tra due parti omologhe adiacenti”. Se accompagniamo questo termine con l’aggettivo “buccale”, ecco svelato l’arcano: le rime buccali sono in realtà, molto semplicemente, le labbra.

Non vorrei trasformare questo post in una lezione di storia della lingua, però non posso esimermi dal fare un’ultima puntualizzazione.

In latino la parola colta per “bocca” era os, oris, termine che in italiano ha dato vita ad altre parole che sono facilmente collegabili con la “bocca”. Pensiamo all’esame orale, contrapposto allo scritto, all’aggettivo orosolubile, cavo orale

Bucca esisteva in latino ma indicava in modo più preciso la “guancia”. Poi, con la diffusione del latino volgare, cioè l’idioma usato dal popolo (vulgus), bucca sostituisce la parola colta os, oris, non solo nell’italiano ma nella maggior parte delle lingue romanze (o neolatine): basti pensare al francese bouche o allo spagnolo boca.

Ora, tornando alle “rime buccali” e alle disposizioni del Ministero dell’Istruzione, avrei ancora tanto da dire ma sicuramente non userei parole colte. Quindi, per non essere volgare, taccio. Anzi, ispirandomi a un personaggio simpatico che i giovani non conoscono ma i più attempati come me ricorderanno bene, il pupazzo tanto simpatico quanto impertinente Provolino, cui diede vita qualche decennio fa Raffaele Pisu, mi limiterò a dire:

BUCCACCIA MIA STATTI ZITTA!

Segnalo questo articolo molto interessante: Rime buccali e altra terminologia per la scuola

LA MATEMATICA E’ NEMICA ANCHE ALLO SCIENTIFICO

matematica-5-640x480Il mio nuovo post pubblicato sul blog del Corriere.it “Scuola di Vita” è l’ideale continuazione del precedente in cui trattavo l’aumento delle iscrizioni, per il prossimo anno scolastico, al liceo scientifico, con una sensibile preferenza per l’opzione delle “scienze applicate”, ovvero il liceo scientifico senza il latino. Ma siamo sicuri che sia il Latino l’unico “nemico” di chi si iscrive allo scientifico?
Come sempre riporto in parte l’articolo e vi invito a leggerlo interamente sul sito del Corriere.it.

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In un post precedente si ragionava sull’aumento di iscrizioni, per l’anno scolastico 2016/17, al liceo delle scienze applicate. Un’opzione che, secondo me e molti dei miei colleghi di Lettere, a volte incontra il favore dei quattordicenni alle prese con la scelta della scuola superiore per evitare la fatica di studiare il latino, presente nel piano di studi nel liceo tradizionale, anche se con un decurtamento notevole di ore in seguito al riordino dei licei voluto dall’ex ministro Mariastella Gelmini.

Ma lasciando da parte le “scienze applicate”, ragioniamo sulla scelta del liceo scientifico che pare sia diventato un refugium peccatorum.
Ormai, come si evince dai dati diffusi dal MIUR, più di metà degli studenti sceglie un percorso liceale. Se escludiamo il classico, dove si iscrivono persone motivate e consapevoli delle difficoltà cui andranno incontro, negli altri licei arrivano ragazzi – non tutti, per fortuna – con scarse qualità.

Il liceo scientifico non è più ambito solo dagli alunni bravi in matematica, ma viene scelto per esclusione.

C’è da dire, inoltre, che spesso sono gli stessi genitori a condizionare la scelta, un po’ per ambizione – senza tuttavia fare i conti con le capacità e la preparazione dei propri figli – e un po’ perché ritengono che i pargoli non abbiano particolari attitudini che invece vengono richieste dall’istruzione professionale o tecnica. Non considerano, però, che l’attitudine fondamentale richiesta da un liceo, qualsiasi esso sia, è quella di essere disposti ad impegnarsi nello studio, cosa non così scontata per chi ha frequentato la scuola media con un profitto appena sufficiente o comunque non particolarmente brillante.

Anche se so che ciò potrebbe sembrare assurdo, per esperienza posso dire che il problema di fondo di chi frequenta il liceo scientifico, non è il latino ma la matematica e tutte le altre materie scientifiche. E non mi riferisco soltanto agli allievi mediocri, quelli che non sarebbero adatti a nessun liceo. Sto parlando anche di ragazzi che nel percorso di studi precedente non hanno dimostrato particolari problemi nell’ambito logico-matematico.

Un problema da non sottovalutare è costituito dai voti troppo alti che gli insegnanti della scuola media si ostinano ad elargire. So che questo discorso può sembrare antipatico e non voglio insinuare che i docenti non siano competenti e preparati. Purtroppo, spesso nella scuola media i livelli di preparazione tendono verso il basso, anche per poter far fronte alle esigenze di alunni deboli o con situazioni disagiate alle spalle. Ad esempio, l’inserimento di ragazzini stranieri, che a malapena comprendono qualche parola di italiano, rallenta la progressione dei programmi e, di conseguenza, si abbassano gli obiettivi per tutta la classe.

Suppongo che questa situazione porti gli insegnanti a premiare con voti più alti di quanto non meritino davvero quelli che dimostrano di impegnarsi un po’ di più o comunque di non avere grossi problemi nell’apprendimento. Ma questa “strategia” comporta il rischio di creare false illusioni nei ragazzi e nelle famiglie.

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[immagine dal sito linkato; logo blog “Scuola di Vita” © Corriere.it]

SCIENTIFICO: SENZA LATINO E’ MEGLIO?

latinoL’ultimo post pubblicato sul blog del Corriere.it “Scuola di Vita” riguarda un argomento di grande attualità: il boom di iscrizioni, per il prossimo anno scolastico, al liceo scientifico, con una sensibile preferenza per l’opzione delle “scienze applicate”, ovvero il liceo scientifico senza il latino. Naturalmente il mio intervento è a favore del latino e mi aspettavo una caterva di commenti contro lo studio di questa lingua, ormai considerata dai più “fuori moda” e di scarsa utilità. E invece… leggete i commenti sul sito del Corriere.it, rimarrete forse stupiti quanto me.
Come sempre riporto in parte l’articolo e vi invito a leggerlo interamente sul sito del Corriere.it.

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Le iscrizioni alla scuola superiore si sono concluse da pochi giorni. Come osserva il Corriere, nell’articolo firmato da Claudia Voltattorni, c’è stato anche quest’anno il boom di iscrizioni ai licei, con un’impennata decisa per il liceo scientifico, in particolare l’opzione “scienze applicate”: l’ha scelto il 7,6% degli studenti contro il 6,9% dello scorso anno. Cerchiamo di capire il motivo di questo successo.

Potrei dire che nei quattordicenni di oggi c’è una spiccata curiosità nei confronti della scienza, in tutte le sue declinazioni. Se “applicata” è meglio. Ma mentirei.

Il fatto è che lo spettro del Latino angustia la maggior parte degli studenti che si iscrive al liceo scientifico. Due sono gli atteggiamenti che posso osservare, dal momento che insegno Lettere allo scientifico, escludendo le persone molto motivate che non mancano: o lo subiscono e cercano di fare del proprio meglio, oppure non lo digeriscono per niente e lo studiano poco e male, con scarso impegno, confidando nel fatto che, se nelle materie scientifiche se la cavano, per il solo Latino non si viene bocciati. Tutt’al più si rimedia un debito che, se è l’unico, non basta per ripetere l’anno.

Da settembre anche nel mio liceo ci sarà l’opzione delle “scienze applicate”. Le iscrizioni sono andate ben oltre le più rosee aspettative e noi prof di Lettere sappiamo bene che questo fatto ci si ritorce contro: per le “scienze applicate”, infatti, basta l’abilitazione per insegnare negli istituti tecnici e professionali e, nella migliore delle ipotesi, in futuro non perderemo il posto ma potremo insegnare solo Italiano e Storia. Un’abilitazione che molti di noi già possedevano prima di fare l’ennesimo concorso per poter insegnare al liceo. Ad ogni modo, se non altro per spirito corporativo, siamo felici di aver ottenuto il nulla osta dal ministero che ci ha dato fiducia e, anche considerando il RAV (Rapporto di Autovalutazione), sa che il nostro liceo è una scuola seria e affidabile.

Non voglio che si pensi che io sia angustiata dal fatto che negli anni a venire potrei anche non insegnare più il Latino. Io sono preoccupata per gli studenti che forse credono, erroneamente, che il liceo delle “scienze applicate” sia più facile dello scientifico tradizionale proprio per l’assenza del latino nel piano di studi. Insomma, mi spiacerebbe che considerino l’antico idioma una sorta di bestia nera da evitare come la peste, per affrontare i cinque anni in santa pace. Così non sarà.

Per capire come stanno veramente le cose, bisogna fare un passo indietro. Nel riordino dei licei, voluto dall’ex ministro Mariastella Gelmini, l’opzione delle “scienze applicate” doveva teoricamente essere l’erede della vecchia sperimentazione del “liceo tecnologico” che allora era affidato, in termini di piano di studi e logistici, agli istituti tecnici. In realtà, la nuova opzione è soltanto più scientifica (se guardiamo i quadri orari ci sono più ore di matematica, informatica e scienze, anche se numericamente in totale sono le stesse rispetto al corso tradizionale) ma di tecnologico ha ben poco. Manca, infatti, quella didattica laboratoriale, vanto del vecchio tecnologico, e che veramente ci avvicinava agli standard europei.

Insomma, molte ore da passare a scuola, in aula, e a casa sui libri di testo e sui quaderni a svolgere esercizi su esercizi. Poco o nulla di pratico, come suggerirebbe l’aggettivo “applicato” riferito alle scienze.

La mia è una formazione classica quindi è ovvio che non farei mai cambio tra le tre ore settimanali di latino e le ore in più di matematica e scienze (in tutto, se consideriamo l’intero ambito scientifico, 12 ore).
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[immagine dal sito linkato; logo blog “Scuola di Vita” © Corriere.it]

QUEL CHE TEMO QUANDO INSEGNO LATINO ALLO SCIENTIFICO

vocabolario-latinoEcco l’ultimo articolo scritto per il blog del Corriere.it “Scuola di Vita”. Argomento spinoso quello dell’insegnamento del Latino al liceo scientifico. Purtroppo l‘intera cultura umanistica negli ultimi tempi è snobbata, sembra che studiare le lingue antiche – definite ingiustamente “morte” e invece sono più vive che mai, se consideriamo il patrimonio che ci hanno trasmesso e continuano a trasmetterci a distanza di secoli, per comprendere meglio la società in cui viviamo – sia cosa antiquata e inutile. Basti considerare il calo di iscritti che il liceo classico subisce anno dopo anno.
Basta leggere i commenti all’articolo sul sito del Corriere.it per rendersi conto che la gente parla senza cognizione di causa. E’ inutile dire che nei licei si dovrebbe imparare Diritto ed Economia anziché Latino, che una scuola moderna deve garantire l’insegnamento dell’Inglese e dell’Informatica. Ci sono già le scuole in cui queste discipline vengono impartite e la scelta rimane libera da costrizioni. C’è pure un liceo scientifico senza il latino (l’opzione delle “scienze applicate” oppure il liceo sportivo), se proprio si teme di affrontarlo. Perché è questo il problema: il Latino è ingiustificabilmente temuto, solo perché richiede uno studio costante e tutto ciò che si apprende mese dopo mese, anno dopo anno, serve sempre, fino al completamento del ciclo di studi.
C’è poi un’altra considerazione da fare: pochi sono i docenti appassionati a questa lingua – forse siamo rimasti solo noi vecchie leve – e spesso non lo si sa insegnare. Credere che la didattica del Latino possa rimanere invariata soltanto perché parliamo di una lingua codificata che non si evolve, è sbagliato. Se insegnassi ai miei allievi il Latino che ho studiato io ai miei tempi, e nello stesso modo in cui l’ho studiato io, allora davvero lo farei odiare.
A volte è difficile arrivare a dei compromessi e ancora più difficile è tentare di impartire un insegnamento dignitoso con il poco tempo a disposizione che abbiamo ora, allo scientifico, grazie alla “riforma” dell’ex ministro Gelmini.

Come sempre, riporto la parte iniziale del post e vi invito a continuare la lettura sul sito del Corriere.it.

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Insegnare latino allo scientifico potrebbe essere parecchio frustrante, specie dopo il taglio delle ore operato dal duo Gelmini-Tremonti al grido: «Rendiamo più scientifico il liceo scientifico!» che però, a voler essere onesti, nascondeva esclusivamente l’intenzione di eliminare qualche cattedra – molte, con l’andar degli anni – dei professori di Lettere.

Un tempo le ore di latino erano ben 4 alla settimana in prima, 5 in seconda, 4 in terza e quarta e 3 in quinta. Un’enormità, specialmente se pensiamo che in seconda superavano quelle di matematica.

Il riordino dei licei voleva, sotto sotto, eliminare questa iniquità ed io, prof di lettere allo scientifico, ammisi che, in fin dei conti, era pure giusto. Ma quello che, forse ingenuamente, non riuscivo a cogliere, era l’impossibilità di svolgere il programma, ahimè rimasto uguale, con a disposizione un monte ore decisamente ridotto (tre sole ore settimanali) nei cinque anni.

Cos’è diventato l’insegnamento del Latino a quattro anni dal riordino? Giacché si parla di riordino non di riforma, il che salva, in un certo senso, il pudore.

Partiamo innanzitutto dalle indicazioni nazionali. Il termine «programmi» è stato bandito forse per salvare il povero prof che arranca dietro alle tavole di regole, agli esercizi di lingua, alle pagine di letteratura, ai testi d’autore … e non ce la fa. Non ce la fa il prof e non ce la fanno gli studenti. Perlomeno siamo in buona compagnia. Mal comune mezzo gaudio. O forse no.

Forse loro, i discenti – dal latino disco=imparo -, non colgono il mezzo gaudio – da gaudium=gioia – perché devono studiare esattamente quello che imparavano i loro predecessori con un monte ore che era esattamente il doppio e non c’è proprio nulla di cui gioire. Ma nemmeno i docenti – dal latino doceo=insegno – si sentono in buona compagnia e tentano di far sopravvivere il loro entusiasmo (in alcuni molto esiguo) e di trasmettere la loro passione agli studenti che spesso e volentieri si chiedono perché si debba studiare il latino allo scientifico. E quando si spiega ai ragazzi che un motivo sufficiente è rappresentato dal solo fatto che i rispettivi appellativi – discente e docente – rimandano alla lingua dei nostri avi, i gloriosi antichi Romani, non sembrano convinti. In fondo, basta consultare il dizionario etimologico per avere le risposte che cerchiamo – sempre che ci sia la volontà di farlo –, non serve mica conoscere la lingua.

Certo, è bello conoscere le nostre radici ma per farlo basta aprire un manuale di storia antica, c’è forse bisogno di studiare il latino? Cicerone, Cesare, Seneca, Tacito si possono pure leggere in traduzione, o no? No, perché in questo modo si trascura il mezzo attraverso il quale gli antichi ci hanno trasmesso la loro cultura. Il valore del latino deve essere valutato tenendo conto del mondo che esso esprime, poiché la lingua è la caratteristica peculiare di una civiltà e di una cultura calate in un contesto storico ben preciso. Basterà dire questo per convincerli? Forse sì, almeno fin quando non si imbatteranno nella perifrastica passiva o nella consecutio temporum.

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IO DIFENDO IL LICEO CLASSICO

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Sta avendo un notevole successo l’iniziativa “Classici dentro”, portata avanti dai licei E.Q. Visconti, Virgilio e Giulio Cesare di Roma che nella trasmissione della cultura classica riconoscono il senso della loro azione e formazione nel panorama romano, sostenuti dall’USR Lazio che se ne fa principale promotore.

Com’è noto, da alcuni anni il Liceo Classico registra in Italia un sensibile calo di iscrizioni che si inserisce in una più ampia crisi degli studi umanistici. Il progetto “Classici dentro” si pone, quindi, l’obiettivo di sensibilizzare la società civile e i decisori politici ad una riflessione su senso e fini della formazione superiore oggi, nella società della conoscenza.

Per chi vuole saperne di più tramite questo LINK può accedere al sito dell’iniziativa ed essere messo al corrente delle attività e promozioni passate, presenti e future.

PER CHI PENSA CHE SIA DIFFICILE INSEGNARE LE LINGUE CLASSICHE AI GIOVANI D’OGGI

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Si legge poco, e poco genialmente, soffocando la sentenza dello scrittore sotto la grammatica, la linguistica. I più volonterosi si svogliano, si annoiano, si intorpidiscono; e ricorrono a traduttori, non ostinandosi più contro difficoltà che, spesso a torto, credono più forti della loro pazienza. E l’alunno, andando innanzi, si trova avanti ostacoli sempre più grandi e numerosi; a mano a che la via si fa più erta e malagevole cresce il peso sulle spalle del piccolo viatore. Le materie di studio si moltiplicano, e l’arte classica e i grandi scrittori non hanno ancora mostrato al giovane stanco pur un lampo del loro divino sorriso. Anche nei Licei, in qualche Liceo, per lo meno, la grammatica si stende come un’ombra sui fiori immortali del pensiero antico e li adduggia…

Così scriveva Giovanni Pascoli nel 1894, invitato dall’allora ministro Ferdinando Martini «a indagare cause e accennare rimedi di mali» riguardo all’insegnamento del latino nelle scuole.

L’unica differenza è che oggi al posto dei traduttori usano direttamente Internet.

DOVE TI ISCRIVO IL PUPO? DOVE NON C’È IL LATINO di Alessandro D’Avenia

Dal momento che non è possibile rebloggare il post, riporto l’inizio di una condivisibile riflessione sulle iscrizioni alle scuole superiori che Alessandro D’Avenia ha pubblicato sul suo blog.

D'AveniaI dati delle iscrizioni alle scuole superiori parlano chiaro: cala la richiesta di formazione umanistica (classico e scientifico tradizionale) e cresce quella applicata e spendibile (lingue e scientifico, nella versione scienze applicate o tecnologico , cioè senza latino).

Questo riguarda quasi il 50% degli iscritti.
L’altra metà continua a guardare alla formazione professionale e tecnica che, per fortuna, rimangono forti (se solo le curassimo di più invece di farne troppo spesso un contenitore di frustrazioni sociali…). Le famiglie italiane e i loro figli si orientano quindi verso ciò che apparentemente dà più certezza di lavoro e quindi di futuro. Non tutti i mali vengono per nuocere. I ragazzi in questa epoca hanno bisogno di maggiore rigore logico. La loro relazione con la realtà è emotiva e reattiva.

L’abitudine al ragionamento astratto, alla logica matematica, potrebbe aiutare ad acquisire maggior raziocinio e dominio di sé. Potrebbe. Resta chiaro che la formazione umanistica è in declino, come la cultura occidentale. I licei classici sono spesso luoghi autoreferenziali in cui ci si lamenta del fatto che i ragazzi non leggono più, non si interessano più, lo schermo del loro smart­phone ​è stranamente più interessante delle declinazioni… Prevale la geremiade senza soluzione. Per carità, la geremiade ha la sua ragion d’essere, ma viene spesso e giustamente da un docente attempato che non ha stipendio e voglia sufficienti a cercare soluzioni totalmente o parzialmente nuove.

E non lo fa perché le soluzioni nuove – diciamocelo chiaro – richiedono più lavoro: più ore di lavoro. Se la scuola si salva è per il volontariato di quei docenti (di qualunque età) che amano lavoro e ragazzi e in qualche modo riescono a realizzare queste nuove pratiche in modo individuale o a piccoli gruppi, ma non riescono poi a farle diventare pratiche virtuose di sistema. Perché? Perché sono oggetto di invidia, pettegolezzo, in quanto minaccia per il quieto e pigro vivere generale. Non basterebbe chiedere ai professori migliori cosa e come fanno? CONTINUA A LEGGERE >>>

L’INSEGNAMENTO DEL LATINO? È UTILE ANCHE ALLE MEDIE … IN SVIZZERA

Sul Sussidiario.net ho letto un bell’articolo di un collega che insegna in Svizzera. Ho così appreso che in quel Paese l’insegnamento del Latino è impartito anche nella scuola media, benché sia facoltativo e la valutazione non faccia media con i voti delle altre discipline. Per la precisione, si può imparare la lingua di Cicerone in terza e quarta (lì, come spiega Giuseppe Botturi, le medie durano quattro anni e alla conclusione del quadriennio i ragazzi assolvono all’obbligo scolastico). con un orario da fare invidia a quello del nostro liceo scientifico post-riforma: due ore settimanali in terza media e ben quattro in quarta.

C’è da dire, inoltre, che la scuola media in Svizzera, o almeno nel Canton Ticino, è piuttosto impegnativa: l’orario comprende, infatti, quaranta ore settimanali e, dunque, chi sceglie di frequentare le lezioni di Latino deve sobbarcarsi un onere in più. Eppure non sono pochi gli studenti che scelgono questa materia opzionale. La cosa all’inizio incuriosì lo stesso Botturi che chiese ai suoi allievi come mai avessero scelto di studiare il latino. “Perché da grande voglio studiare medicina, biologia, diritto, … e mi hanno detto che il latino è necessario” costituì la risposta più frequente.

Pare strano leggere queste cose, soprattutto perché la maggior parte degli allievi italiani studiano il Latino o perché scelgono il liceo classico e quindi sono convinti dell’utilità della cultura classica e delle lingue in cui essa si espresse, oppure sono costretti a studiarlo scegliendo il liceo scientifico o altri licei in cui non costituisce comunque materia caratterizzante. In quest’ultimo caso, l’opinione comune è che il Latino non serva a un bel nulla e che sia solo una gran perdita di tempo, oltreché un rischio per la promozione (la maggior parte dei debiti allo scientifico comprendono la matematica – al primo posto … inspiegabile, e appunto il Latino).

Purtroppo, anche nel Canton Ticino, il rovescio della medaglia c’è: come osserva Botturi, se può consolare il fatto che da parte di genitori e insegnanti viene veicolata l’idea che il latino una qualche importanza ce l’abbia, e anzi addirittura un certo prestigio, è anche vero che non appena gli studenti si rendono conto che l’entusiasmo o la curiosità iniziale non sono sufficienti per imparare, una buona parte di essi rinuncia a lavorare sul serio. Questo perché, come già detto, il piano orario settimanale della scuola media ticinese è impegnativo e il Latino, comprendendo regole da assimilare ed esercitazioni, domestiche e non, per applicarle, non è una materia che si può fare all’acqua di rose ed imparare bene con il minimo sforzo.

A questo punto, il collega si chiede cosa potrebbe mai succedere in Italia se il latino diventasse, nei licei eccettuato il classico, materia opzionale. “Quanti studenti ne proseguirebbero volontariamente lo studio dopo il primo anno? Non pochi, credo, ma neppure molti.”, conclude, in una visione che posso definire molto ottimistica.
Quando, appena si iniziò a parlare di riforma dei licei da parte dell’ex ministro Gelmini, l’eventualità che il latino diventasse facoltativo non era poi così remota, si levarono gli scudi da più parti per difendere l’insegnamento della lingua dei nostri avi. All’epoca pubblicai questo interessante, seppur datato, parere di Luca Cavalli Sforza che, da uomo di scienza, sostenne che fra tutte le mie esperienze scolastiche, la traduzione dal latino è stata l’attività più vicina alla ricerca scientifica, cioè alla comprensione di ciò che è sconosciuto.

Inoltre, sono d’accordo con Botturi quando, nella parte conclusiva dell’articolo, scrive: «Essa [la lingia latina, NdR] è comunque, di per sé, una materia che può portare gli studenti a un livello di riflessione e a una profondità di pensiero che altre materie non offrono; ricercare il significato e l’etimologia delle parole, conoscere la struttura delle frasi e riuscire ad accostare alcuni testi, semplici ma non banali (né di forma né di contenuto), è un arricchimento prezioso per un giovane. Anzi, proprio il fatto che la dimensione umanistica dell’insegnamento è spesso tacitata dal prevalere di una concezione funzionalistica dello studio (per cui in fondo conta quanti esercizi si sanno risolvere, in tutte le materie), rende il contributo speculativo del latino ancora più significativo

Aggiungo che lo studio del Latino non implica maggior sacrificio rispetto all’apprendimento delle altre discipline scolastiche. Tuttavia, un fatto è particolarmente trascurato dagli studenti italiani: non si imparerà mai una lingua – qualsiasi lingua – scaricando dal web le traduzioni già pronte. Non si può negare, in ogni caso, che sia un preciso dovere degli insegnanti rivolgere l’attenzione, al di là del mero lavoro di transcodificazione, ovvero il passaggio da una lingua all’altra, anche agli aspetti della civiltà e della cultura romana attraverso la lettura di testi tradotti, ad esempio. Ma questi obiettivi non possono sovrastare quello primario che rimane sempre l’apprendimento della lingua.

DEBITO IN LATINO? LE CINQUE REGOLE AUREE PER UNA BUONA TRADUZIONE


Lo spauracchio di tutti gli studenti liceali alle prese con il Latino è, senza ombra di dubbio, la famigerata versione, termine che, tra l’altro, è usato impropriamente.

La parola versione, infatti, secondo la sua etimologia e il suo significato, è il prodotto che si ottiene traducendo, non il testo che si deve tradurre. Ovviamente il termine deriva dal latino versionem, astratto per versus che a sua volta è il participio perfetto del verbo vertere che significa “girare, volgere”. Ne consegue che il significato del vocabolo versione è propriamente l’atto di girare o volgere, quindi, in senso figurato, l’atto di volgere da una lingua ad un’altra, ovvero traduzione.

Ma cos’è che spaventa gli allievi, specie quelli che in Latino zoppicano un po’ (o anche parecchio 😦 ) e che magari hanno pure il Debito Formativo e devono colmare le proprie lacune durante l’estate? Per esperienza posso dire che molti, pur conoscendo le regole, quindi la teoria, non riescono a sviluppare un’adeguata capacità di analisi del testo e, di conseguenza, non capiscono nemmeno il senso globale di ciò che si apprestano a tradurre. Senza una corretta analisi e una comprensione almeno globale del testo non è possibile tradurre in modo corretto, quindi produrre una versione accettabile.

Qual è, dunque, il rimedio? Prima di tutto allenarsi a casa tenendo ben presente che il tempo a disposizione in classe non è infinito. È del tutto inutile tradurre a casa un testo di otto righe in sei ore quando si sa che in classe si può disporre al massimo di due ore.
In secondo luogo, quando si è alle prese con il testo della versione è necessario mantenersi calmi: l’agitazione o il pensiero di non potercela fare non può che complicare le cose. Dunque, calma, pazienza e sangue freddo, se vogliamo dir così.
Infine, c’è una prassi da seguire e sono sicura che gli insegnanti ne parlino a scuola e facciano tutte le raccomandazioni del caso.
Per i più distratti o per quelli che dei propri insegnanti non si fidano (il che è un gran peccato!) le riepilogo di seguito.

LE 5 REGOLE “AUREE” PER UNA BUONA TRADUZIONE.

1. Leggere, leggere, leggere … un’attenta lettura è già un avvio verso la comprensione del testo (non si può tradurre senza capire!). Anche il titolo è importante: può non dirvi nulla ma può anche essere una preziosa fonte di informazioni. Ad esempio, dal titolo si può capire se il testo è narrativo (un aneddoto o una favoletta, ad esempio) o se è storico.

2. Non iniziare mai a tradurre parola per parola; bisogna fare l’analisi di ogni frase, partendo dal VERBO (ricorda che ad ogni FORMA VERBALE corrisponde UNA FRASE).
È buona regola sottolineare i verbi alla prima lettura e individuare i vocaboli che non si conoscono nella rilettura.
Se vi trovate di fronte una versione complessa, durante la lettura successiva alla prima potete distinguere le congiunzioni coordinanti e/o le subordinanti (o, come nel caso della relativa, il pronome che la introduce; oppure, nel caso dell’infinitiva, sarà necessario individuare, oltre all’infinito, naturalmente, anche un accusativo che può fungere da soggetto)

3. Una corretta analisi, oltre ad individuare le funzioni dei casi, deve tener conto del sistema di concordanze. Per fare ciò bisogna innanzitutto osservare le desinenze, ma non solo, perché a volte ingannano; si parte dalla concordanza predicato-soggetto, si cercano eventuali aggettivi [attributi] o apposizioni; si ricostruisce, in altre parole, il NUCLEO della FRASE e per farlo bisogna innanzitutto distinguere i verbi transitivi e quelli intransitivi: nel primo caso, oltre al soggetto, si dovrà cercare un complemento oggetto, quindi un accusativo (attenzione: molte preposizioni latine reggono l’accusativo: non confondetevi!); nel secondo caso, si andrà alla ricerca del complemento indiretto che meglio “completa” il significato del verbo (ad esempio, se vi trovate di fronte ad un verbo che indica movimento, cercherete un complemento di luogo)

4. Bisogna imparare il significato del maggior numero di vocaboli possibile, non solo sostantivi, aggettivi o verbi, ma anche e soprattutto le congiunzioni, le preposizioni e gli avverbi (anche con il vocabolario di fronte, conoscere i vocaboli fa risparmiare un sacco di tempo!).
Quando proprio i vocaboli non ve li ricordate, nella ricerca sul dizionario prestate attenzione alle indicazioni riguardo alla costruzione. Ad esempio, ci sono verbi in latino che reggono il doppio dativo, oppure altri che reggono un determinato tipo di subordinata (impero + ut e congiuntivo). Il vocabolario dà molte informazioni (quelli moderni, inoltre, hanno pure le “finestre” riepilogative per i vocaboli con molti significati: dando una scorsa veloce, sarà facile individuare il significato più adatto al contesto e quindi basterà concentrarsi su quello, leggendo gli esempi) ma è necessario saperlo leggere! Ci vuole molta attenzione e la fretta non aiuta.

5. Non perdere tempo a tradurre una frase che proprio non si riesce a capire; procedendo nella traduzione si possono comprendere molte cose e anche ciò che è oscuro prima, può diventare chiaro dopo.

Si potrebbe aggiungere ancora una “regola”: usare il buonsenso! Non avere fretta, non lasciarsi prendere dall’ansia o dal terrore di non finire, rileggere la traduzione sulla “brutta” e “sistemarla” prima di ricopiare: una “bella copia” non può essere mai uguale alla “brutta”!!!

NON MI RESTA CHE AUGURARE A TUTTI BUON LAVORO! 😉

P.S. Se vuoi, puoi leggere anche l’articolo correlato: Latino: un metodo per tradurre

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