ISTAT: I GIOVANI NEET IN ITALIA SFIORANO I 4 MILIONI

disoccupatiNon studiano e non lavorano. Hanno un’età compresa tra i tra i 15 e i 34 anni e non solo non hanno un’occupazione, ma non hanno intrapreso nemmeno un percorso di studi professionale per avviarsi al mondo del lavoro.

In Italia si chiamano “né né”, proprio perché non hanno un impiego né seguono alcun percorso di studio. Oggi si predilige la denominazione «Neet» (acronimo inglese di «Not [engaged] in Education, Employment or Training»), importando come spesso capita un’etichetta anglosassone. Se nel 2009 i giovani “né né” nel nostro Paese erano 270 mila, esclusivamente nella fascia d’età compresa tra i 15 e i 19 anni (ne ho parlato QUI), ora ad ingrossare le fila dei nullafacenti ci pensano i “meno giovani”, quelli che hanno 30-34 anni. Secondo l’ISTAT la percentuale degli under 35 in questa condizione nel terzo trimestre sfiora i 4 milioni: per l’esattezza sono 3,75 milioni. Solo al Sud i “né né” sono oltre 2 milioni, una percentuale del 36,2% sul totale.

Ora, senza puntare il dito contro nessuno – c’è la crisi, non possiamo negarlo – forse sarebbe il caso di cercare una spiegazione a questo fenomeno.
Può essere semplicistico dire: “Se le famiglie li possono mantenere …”, considerando il fatto che in molti casi anche i genitori, se non entrambi almeno uno dei due, si possono ritrovare disoccupati da un momento all’altro.
Quindi, la crisi occupazionale è una realtà da cui non si può prescindere. Mentre un tempo la minaccia dei genitori ai figli svogliati era: “O studi o ti cerchi un lavoro”, oggi questa prospettiva non c’è, tanto vale lasciare che gli studenti incapaci o svogliati prolunghino la permanenza entro le anguste pareti delle aule scolastiche.

Nonostante tutto, in Italia si registrano ogni anno tanti abbandoni scolastici. Perché?
Secondo dati di Eurostat, nel 2012 il 17,6% degli studenti ha abbandonato la scuola secondaria. Siamo secondi solo alla Spagna (24,9%), mentre la media europea è del 12,8%. La UE si prefigge l’obiettivo di scendere sotto il 10% entro il 2020. L’Italia sarà ancora fanalino di coda?

Ci possono essere molti motivi per decidere di lasciare gli studi.
In primo luogo, spesso la scelta della scuola secondaria superiore è sbagliata fin dall’inizio. Pochi ragazzi si convincono a ripensarci e nella maggior parte dei casi preferiscono rimanere nella scuola prescelta, anche a costo di collezionare debiti ogni anno e bocciature ripetute. Eppure qualcosa si potrebbe fare: il ri-orientamento è sempre possibile.

Il cambio di scuola, tuttavia, richiede spesso dei sacrifici. Prendiamo ad esempio un allievo che, iscritto ad un liceo, decida di cambiare indirizzo di studi optando per un istituto tecnico o professionale.
Certamente le discipline insegnate al liceo sono più approfondite (quelle comuni, come italiano, storia, lingua straniera, matematica), ma negli altri istituti le materie sono più specialistiche (consideriamo, ad esempio, le attività di laboratorio e le discipline prettamente tecniche e/o caratterizzanti). L’idea di dover sostenere degli esami integrativi, impegnandosi a studiare per tutta l’estate, o anche tutto l’anno qualora la decisione sia già presa in corso d’anno, sovente scoraggia gli studenti che si adagiano e rimangono nella situazione critica da cui è difficile uscire indenni.

Mettiamo il caso di chi, nonostante l’impegno, sia demotivato e non riesca a dare il meglio di sé, pensando magari che il tempo passato in aula sia del tutto inutile, che tutto ciò che con grande difficoltà e sacrificio ha tentato di apprendere, sia destinato a rimanere forse un lontano ricordo, di scarsa o nulla utilità per il futuro lavoro.
In casi come questi, l’abbandono prima o poi è l’unica soluzione che questi giovani vedono. E non c’è famiglia che tenga, non c’è alcun consiglio da parte dei docenti che possa venir preso in considerazione. A volte, la testardaggine degli adolescenti non ha eguali e per noi adulti è pressoché incomprensibile.

Di fronte a situazioni come quella descritta, ci si sente impotenti e come genitori e come insegnanti.
Ma una volta usciti da quella sorta di carcere che è considerata la scuola, le prospettive di trovare un lavoro sono scarse, quasi nulle. Anche ipotesi che qualcosa si trovi, a concorrere per un’occupazione umile per cui non è richiesto alcun diploma ci sono molti laureati disposti ad abbassare le proprie aspettative. Ed ecco che, forse perché sono più affidabili – ma in questo caso il pregiudizio la fa da padrone – vengono preferiti a chi offre poche garanzie oltreché nessuna esperienza.

Ed ecco il punto focale della questione: quando un giovane è in cerca di occupazione, molte volte viene respinto perché non ha esperienza. Ma come riuscirà mai a fare esperienza se nessuno gli offre un lavoro?
Non stupiamoci, dunque, dell’alto tasso di disoccupazione giovanile e teniamoci sul groppone i “né né”, almeno fin quando un governo serio sblocchi la situazione. Più che una speranza questa pare un’utopia.

[fonti: La stampa e Il Corriere; immagine da questo sito]

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Pubblicato il 15 dicembre 2013, in giovani d'oggi, Lavoro, scuola, studenti con tag , , , , , , , , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. 4 commenti.

  1. La situazione è caotica, assurda e disorganizzata su tutti i fronti, ma sono del parere che un individuo preparato, competente, umile e volonteroso una chance la trovi sempre dinanzi a sè; certo, bisogna iniziare dalla gavetta, ma è così che funziona ed è così che si impara, però alla base ci dev’essere lo studio e tanta, tantissima forza di volontà per arrivare alla meta. Io ho studiato e faticato, ho preparato gli esami la notte mentre il mio piccolo dormiva e dopo una giornata di lavoro, ma sono felice di avercela fatta e la soddisfazione che ho adesso mi ha ripagata di tutto!
    Un abbraccio,
    Tatiana

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  2. Io ebbi difficoltà per trovare un lavoro in regola, ma a parte ciò non ho mai avuto problemi, anzi, in genere ne avevo persino troppo e non riuscivo a staccare la spina: chissà se è ancora così. o se ai miei tempi c’erano più possibilità di “arrangiarsi”. 🙄

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    • Erano altri tempi, non c’è dubbio. Credo che ora prevalga quasi la rassegnazione, forse si attendono momenti migliori. Io penso, comunque, a quelle famiglie in difficoltà che, oltre ad avere qualche giovane sfaccendato per casa, hanno anche degli adulti disoccupati. Questo a me sembra ancora più grave.

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