DOVE TI ISCRIVO IL PUPO? DOVE NON C’È IL LATINO di Alessandro D’Avenia

Dal momento che non è possibile rebloggare il post, riporto l’inizio di una condivisibile riflessione sulle iscrizioni alle scuole superiori che Alessandro D’Avenia ha pubblicato sul suo blog.

D'AveniaI dati delle iscrizioni alle scuole superiori parlano chiaro: cala la richiesta di formazione umanistica (classico e scientifico tradizionale) e cresce quella applicata e spendibile (lingue e scientifico, nella versione scienze applicate o tecnologico , cioè senza latino).

Questo riguarda quasi il 50% degli iscritti.
L’altra metà continua a guardare alla formazione professionale e tecnica che, per fortuna, rimangono forti (se solo le curassimo di più invece di farne troppo spesso un contenitore di frustrazioni sociali…). Le famiglie italiane e i loro figli si orientano quindi verso ciò che apparentemente dà più certezza di lavoro e quindi di futuro. Non tutti i mali vengono per nuocere. I ragazzi in questa epoca hanno bisogno di maggiore rigore logico. La loro relazione con la realtà è emotiva e reattiva.

L’abitudine al ragionamento astratto, alla logica matematica, potrebbe aiutare ad acquisire maggior raziocinio e dominio di sé. Potrebbe. Resta chiaro che la formazione umanistica è in declino, come la cultura occidentale. I licei classici sono spesso luoghi autoreferenziali in cui ci si lamenta del fatto che i ragazzi non leggono più, non si interessano più, lo schermo del loro smart­phone ​è stranamente più interessante delle declinazioni… Prevale la geremiade senza soluzione. Per carità, la geremiade ha la sua ragion d’essere, ma viene spesso e giustamente da un docente attempato che non ha stipendio e voglia sufficienti a cercare soluzioni totalmente o parzialmente nuove.

E non lo fa perché le soluzioni nuove – diciamocelo chiaro – richiedono più lavoro: più ore di lavoro. Se la scuola si salva è per il volontariato di quei docenti (di qualunque età) che amano lavoro e ragazzi e in qualche modo riescono a realizzare queste nuove pratiche in modo individuale o a piccoli gruppi, ma non riescono poi a farle diventare pratiche virtuose di sistema. Perché? Perché sono oggetto di invidia, pettegolezzo, in quanto minaccia per il quieto e pigro vivere generale. Non basterebbe chiedere ai professori migliori cosa e come fanno? CONTINUA A LEGGERE >>>

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Pubblicato il 1 Maggio 2013, in famiglia, giovani d'oggi, iscrizioni scolastiche, Latino, Lavoro, scuola, studenti con tag , , , , , , , , , , . Aggiungi il permalink ai segnalibri. 4 commenti.

  1. Letto. Io sarei stata persino più arrabbiata. Anzi, sarei stata arrabbiata e basta, perché non mi sembra che lui lo lo fosse. Io sono un’accanita sostenitrice dell’insegnamento del latino a scuola (e anche del greco!), perché ho toccato per mano quanto lo studio di queste lingue aiuti a ragionare, davvero più della matematica, quanto insegni a capire, e quanto renda la mente allenata e pronta all’apprendimento: gente uscita dal classico ha avuto risultati brillantissimi nello studio delle materie scientifiche, per non parlare delle lingue.

    Quando andai in Israele, stupii tutti per come in tre mesi imparai l’ebraico: se non avessi studiato latino e greco, sicuramente non ce l’avrei fatta.

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    • Alessandro non è certo uno che si arrabbia. Io la penso come lui ma mentre lui non è rassegnato, io lo sono … abbastanza. Diciamo che i quasi 20 anni che ci dividono fanno la differenza. Lui è un giovane dalle belle speranze, io una “vecchia” prof che ha visto già affondare abbondantemente le belle speranze. 😦

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  2. Sono pienamente d’accordo! Il latino è una materia che insegna a ragionare. E bisogna insegnarlo BENE, affiancando tradizione e innovazione,in modo da farlo amare, perché è soprattutto quello che studiamo volentieri che contribuisce alla nostra formazione. E nella società moderna la formazione “umanistica” andrebbe rivalutata.

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    • Sull’utilità del Latino riporto (anche per Diemme) un vecchio articolo di Luca Cavalli Sforza.

      STUDIANDO, STUDIANDO
      [Repubblica — 27 novembre 1993 pagina 33 sezione: CULTURA]

      Il futuro di una nazione dipende dalla qualità delle sue scuole. Non se ne parla molto nei giornali, ma oggi è in corso una battaglia silenziosa a proposito della scuola italiana del futuro, in cui uno dei probabili perdenti sarà il latino. Io ho fatto gli studi secondari al liceo classico perché quello scientifico, che allora era da poco iniziato, non dava ancora molto affidamento. Vi imperava il latino: per otto anni ho dovuto dedicargli anch’ io molte ore della settimana. Non l’ ho mai amato; mi sono state imposte opere letterarie noiose, di scarsa importanza artistica o storica, invece di altre molto più stimolanti. La sintassi è veramente difficile, e non sempre ben spiegata. Perciò durante quasi tutta la vita ho considerato un handicap di essere stato costretto a studiare tanto latino invece che matematica e fisica, materie su cui ho dovuto faticare più tardi quando mi sono accorto di quanto fossero importanti. Ventitré anni fa mi sono trasferito in Usaed ero all’ inizio entusiasta delle scuole secondarie americane. Mi piaceva il fatto che vi si insegnassero materie come economia, psicologia, sociologia, che nel nostro liceo non esistevano. Ma nel seguito ho dovuto rimangiarmi pian piano tutto l’ entusiasmo. In realtà, con l’ eccezione della storia degli Stati Uniti, quasi tutto il resto viene insegnato in modo estremamente superficiale; e ho dovuto concludere che nelle scuole secondarie americane si impara veramente troppo poco. Vi sono aspetti positivi, ma sono altri. I ragazzi americani vengono incoraggiati a discutere, e non a restare passivi ad ascoltare, o fingere di ascoltare il professore come avviene da noi, senza esprimere le proprie idee e le proprie critiche. Molto tempo viene dedicato allo sport e ad attività all’ aria aperta, specie di gruppo, che promuovono la cooperazione ed anche la competizione. In alcune scuole di élite esistono corsi speciali, “avanzati”, in cui si possono imparare bene scienze dure, e questi corsi hanno una validità sufficiente da permettere di evitare di seguire, più tardi, corsi equivalenti all’ università. I corsi veramente obbligatori sono assai pochi. In alcune scuole più ricche vi sono molte possibilità di scelta di corsi facoltativi, di solito di natura pratica (di calcolatori, meccanica di motori, elettronica, cucito, cucina e così via). Intellettualmente però la scuola secondaria americana è assai poco stimolante. […] Copiare in Europa e in Italia la scuola secondaria americana è quindi un assurdo.
      Torno al latino. Mi sono reso conto, con qualche ritardo, che la mia reazione di antipatia era sbagliata, dovuta in parte all’ amarezza per il mancato insegnamento a un buon livello della matematica e della fisica. Ho avuto nel corso della mia vita anche qualche occasione di fare professionalmente uso delle conoscenze di lingua latina, ma soprattutto ho capito che se ho imparato veramente a ragionare e risolvere problemi difficili nel corso del ginnasio e liceo è stato grazie all’ esperienza di traduzione dal latino. La traduzione in genere è ancora un’ arte molto difficile. Con tutta la ricerca sull’ intelligenza artificiale che si fa nel mondo dell’ informatica, il problema della traduzione in calcolatore è ancora lungi dall’ essere risolto soddisfacentemente. Posso dire che, fra tutte le mie esperienze scolastiche, la traduzione dal latino è stata l’ attività più vicina alla ricerca scientifica, cioè alla comprensione di ciò che è sconosciuto. Proprio questo è l’importante: esercitarsi nel procedimento logico-induttivo che è necessario in qualunque ricerca, quel che gli inglesi chiamano l’ inferenza scientifica. Il processo di base è lo stesso in tutto il sapere. Resta poi a fare, per noi italiani, un’ altra considerazione. Anche se il fascismo ci ha reso allergici alla retorica dell’ Impero Romano, è sempre vero che una parte importante della cultura europea è di origine latina, e noi italiani ne siamo i discendenti più diretti. La storia politica dell’ Italia post-romana non ci ha dato motivi di orgoglio nazionale, o una identità di cui essere fieri come è successo a quasi tutte le altre nazioni europee. Ma la cultura latina è stata di importanza fondamentale per una frazione notevole dell’ Europa, e per quella parte della storia culturale italiana di cui possiamo essere più orgogliosi, il Rinascimento, che ne è una filiazione diretta. Vi è abbastanza “noblesse” nella cultura latina che essa ci “oblige” a non dimenticarla. E’ bene quindi continuare lo studio della sua lingua in profondità non solo per il suo apporto intellettuale, ma anche per quello di natura emotiva. Sostituirlo con materie di nessun impegno è come togliere lo scheletro a un organismo che deve reggersi in piedi e camminare. Sono convinto che nel mondo del duemila diventeranno sempre più importanti gli orientali, non perché si riproducono molto – per fortuna stanno smettendo – ma perché sono forti lavoratori e hanno un elevato livello intellettuale, come mostrano i test di intelligenza, per quanto grossolani ed imperfetti essi siano. E non credo ciò sia dovuto a una superiorità genetica degli orientali, ma semplicemente al fatto che a differenza della maggioranza degli occidentali studiano moltissimo a scuola. Vi è poi un altro motivo che io ritengo determinante, e che è simile a quello che ho discusso per il latino: la difficilissima scrittura cinese li impegna a dedicare molto tempo e fatica per imparare migliaia di caratteri. Alcuni popoli orientali l’ hanno sostituita con alfabeti di tipo occidentale. Ma i più forti e importanti, i cinesi e i giapponesi hanno preferito persistere nel grosso investimento intellettuale necessario per imparare la scrittura tradizionale. Così possono anche continuare a tener viva una cultura ricchissima di cui sono profondamente e giustamente orgogliosi.

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